Per coloro che amano questionare, spaccare il capello in quattro, magari su questioni inessenziali come la distinzione tra crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, rimandiamo a un articolo di Veronique Virgilio, un buon esempio di giornalismo informativo che in poche battute spiega le differenze (*).
In realtà, come sa ogni buon sociologo (o se si preferisce studioso di metapolitica), esiste negli uomini quel che Pareto ha denominato “istinto delle combinazioni”. Cioè un tipo particolare di residuo comportamentale, una regolarità che attraversa la storia umana, che spinge gli uomini a mettere insieme argomenti diversi sul filo della logica e della non logica, pur di conferire un senso agli eventi e alle proprie azioni. Siamo dinanzi alla razionalizzazione postuma dei fatti, spesso pseudo, che va dal mito alla magia, dall’ideologia all’ideologia della scienza, insomma allo scientismo che giustifica l’agire anche improprio della scienza.
E per la guerra, che non è un vera e propria scienza, vale però la stessa cosa: come fatto sociale la si deve giustificare o condannare. Di qui, in particolare, nei tempi moderni, l’edificazione, sulla falsariga del diritto positivo, come codificazione, di una serie di regole dal sapore mitologico, perché, di regola non sono rispettate dai combattenti ma influiscono, come vedremo, sullo spirito di coesione.
Di qui, l’uso, il più del volte strumentale, del concetto di crimine di guerra, crimine contro l’umanità, eccetera, eccetera.
Un termine che rinvia, come ben spiega il latino, a crimen -mĭnis, der. di cernĕre “distinguere, decidere”, nel senso di “decisione giudiziaria”, quindi “accusa” di un “delitto”.
In parole povere, il concetto di crimine introduce, in un contesto dove invece non si discute tra avversari ma si spara e uccide, la decisione giuridica, che è l’esatto contrario del comportamento violento finalizzato all’eliminazione fisica del nemico.
Il risultato della “giuridicizzazione” della guerra sarà che inevitabilmente i combattenti si accuseranno a vicenda di aver violato le regole, eccetera, eccetera.
Pertanto il concetto di crimine è strumentale. Si tratta di un concetto che nella migliore delle ipotesi può aiutare moralmente a vincere. Mentre nella peggiore può trasformarsi in una forma di vendetta “giudiziaria” postuma contro gli sconfitti. E questo a prescindere dalle buone intenzioni o meno di coloro che dotati di grandissimo istinto delle combinazioni hanno tentato o tentano di giuridicizzare la guerra, introducendo in merito i concetti di crimine, accusa, decisione giuridica e così via.
Ovviamente, il nostro ragionamento non intende assolutamente attenuare le responsabilità dei russi, capeggiati da Putin, che bombardano senza pietà i civili ucraini, ritrovatisi improvvisamente al centro di una guerra di conquista, che purtroppo può essere contrastata e ribaltata, puntando soltanto su una determinazione politica e militare superiore a quella del nemico.
La logica della guerra, purtroppo, è quella a spirale della non esclusione di colpi. Ora tocca agli ucraini, dopo, se gli equilibri in campo dovessero mutare, potrebbe toccare ai russi. Potrebbe… Facciamo un passo indietro.
Si dirà che il quadro tracciato non fa onore alla cultura giuridica dell’Occidente, che tra l’altro si considera superiore a quella dell’Oriente (russo).
Diciamo allora che la cultura giuridica dell’Occidente potrà una volta vinta la guerra, ossia respinto oltre i confini dell’Ucraina l’esercito russo, ragionare intorno a un equo trattato di pace, capace di salvaguardare le minoranze russe nel Sud dell’Ucraina. Occorre la stessa larghezza di vedute degli antichi romani, la cui cultura giuridica è alle origini della nostra.
Certo, l’atteggiamento di Putin e dei generali russi è criminale dal punto di vista del vivere civile, del vivere in tempi di pace, quando la sicurezza fisica delle persone è tutelata dalla legge. Ora però si è in guerra. Quindi il concetto di crimine, piaccia o meno, assume un plusvalore propagandistico, un surplus morale che però può aiutare a vincere la guerra.
Questo surplus, frutto di un raffinato istinto delle combinazioni, non è però che una delle possibili componenti del successo finale. Agli ucraini per avere la meglio sui russi servono alleati fidati, armi, truppe. È stupido, come sta accadendo in Occidente, insistere sulla natura criminale del nemico, senza agire di conseguenza, ossia fornire i mezzi, tutti i mezzi, agli ucraini, per mettere i russi in condizioni di non nuocere.
In questo modo, si alimenta la propaganda in senso contrario dei russi, si rafforza la coesione interna del nemico e si rischia di esporre gli ucraini, se sconfitti, a terribili ritorsioni, dipinte, da parte russa, come le giuste e giustificate pene verso criminali di guerra nazisti.
Come si può capire, c’è un tempo per le parole e un tempo per le armi. Ora è il tempo della guerra. Così insegna la saggezza di Gerusalemme. Ora si deve vincere. Poi verrà quello della pace e dei ragionamenti. Il tempo di Atene e Roma.
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://www.agi.it/estero/news/2022-04-13/crimini-guerra-genocidio-quali-differenze-16370429/
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