Ringrazio innanzitutto l’amico Bernard Dumont, direttore di “Catholica”, per la gentilissima replica al mio post (*), addirittura dalle pagine della prestigiosa rivista. Lo considero un onore. Ho tradotto personalmente il suo articolo.
***
Rilevo due appunti di Dumont, ben argomentati tra l’altro. Ai quali provo a ribattere. Il primo è di tipo metodologico, il secondo, rinvia invece ai contenuti.
Questione metodologica. Dumont, sottolinea che dietro le azioni umane, a differenza di quel che sostengo, c’è sempre un qualche piano, e che il compito dei sociologi, dei filosofi, dei teologi eccetera, è quello di individuarlo, usando schemi e per l'appunto concetti. Ovviamente ex post. Come non posso essere d’accordo su quest'ultimo punto? Invece la vera questione è che gli attori storici, ex ante, non ne sono mai consapevoli.
Questione contenuti. Dumont riconduce la percezione del piano da parte di alcuni attori storici alla condivisione di una mentalità comune. In realtà, nel caso esaminato, si tratta di uno stato d'animo: qualcosa di fuggevole, indeterminato. Per contro, lo spirito e la mentalità sono invece qualcosa di permanente, determinato. Tra stato d’animo capitalista e spirito capitalista c’è la stessa differenza che passa tra la risposta a un sondaggio politico e una decisione politica effettiva. I due aspetti non possono essere confusi. Lo stato d'animo - semplificando - non costituisce prova di reato costruzionista. A meno che non lo si voglia forzatamente ricondurre nell'alveo della mentalità.
Quanto, infine, alla questione della società di massa, ammesso e non concesso che si possa parlare di mentalità e spirito, parlerei, ribadendo quando ho già scritto, di spirito e mentalità statalista piuttosto che capitalista. Sarebbe perciò preferibile non fare confusione. Ripeto, liberalismo, capitalismo e altri fenomeni moderni non possono essere giudicati in blocco, né tanto meno sulla base di gerarchie morali. O, per ciò che rinvia ai contenuti, non distinguendo tra stato d'animo e mentalità. E, comunque sia, dal punto di vista della storia delle idee come dello sviluppo sociologico e storico effettivi, tra Guizot e Macron, come scrivo, esiste un abisso. Non aggiungo altro...
Carlo Gambescia
(*) Qui il mio post: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/sullo-spirito-borghese/
***
"Lo spirito borghese"
("Catholica" n. 153 - Autunno 2021, pp. 108-109)
di Bernard Dumont
A seguito del mio editoriale, uscito sul numero precedente di Catholica (1), che riprende nel titolo un’ espressione del filosofo Augusto Del Noce, Carlo Gambescia, sociologo e saggista romano, membro del consiglio scientifico della nostra rivista, ha pubblicato sul suo blog una interessante analisi del mio testo (2), dai toni amichevoli, ma ponendo due obiezioni.
La prima è che gli individui perseguono i propri interessi e la società borghese che ne derivò, fu priva di un piano prestabilito; solo dopo si è stati in grado di identificarne la continuità logica, come mostrano i lavori di Weber, Sombart e Scheler. Tuttavia, egli prosegue, la storia delle idee (nella sua logica) non restituisce quella della storia sociale (nella sua complessità).
La seconda, continua Gambescia, è che non si deve stabilire alcuna continuità storica tra la borghesia delle origini, la cui piena realizzazione rinvia al XIX secolo, e il mondo che viene dopo, che per molti aspetti ne differisce: da una parte, sistema censitario e liberalismo economico, dall’altra benessere e consumo di massa sotto un regime dirigista. In qualche modo, l’insistenza sulle idee, come fattore relazionale, finisce per distorcere la realtà. Non esiste infatti alcun legame tra società di massa e spirito borghese.
Le critiche così formulate, sono ben articolate. il che permette di constatarne l’ esattezza, come pure, forse, per alcuni punti, l’inadeguatezza.
Che la situazione economica e politica, così come il modo di vita borghese, si siano formati in modo imprevisto in una parte della società che all’origine costituiva una piccola élite prima ancora di diventare un modello sociale, resta una questione che può essere discussa secondo il punto di vista dal quale ci si pone.
Certamente, gli imprenditori (e in particolare i "parvenu" del Periodo Rivoluzionario e dell’Impero) si lanciarono nella corsa verso il profitto con quello spirito ben definito da Adam Smith, e poi riassunto nella famosa parola d’ ordine di Guizot: “Arricchitevi”. Perciò non è impreciso dire che un piano ha guidato questo fenomeno sociale. La corsa all’arricchimento non è solo il portato di una somma di desideri individuali, ma prima di tutto una passione sufficientemente condivisa ed espressa in modo che potesse essere legittimamente considerata come l’ espressione di una mentalità. Lo spirito borghese, per l'appunto. O no?
Dal momento che tale identificazione può essere tratta dallo studio della realtà sociale per un lungo periodo, non si capisce perché debba essere liquidata come un costrutto mentale realizzato dopo il fatto. Del resto non è proprio questo il lavoro dell’analista, che sia sociologo, storico, filosofo, teologo o altro?
Carlo Gambescia, fondando il suo disaccordo su un’opposizione tra idealizzazione e realtà effettiva, vede invece nell’identificazione dello "spirito borghese" e il suo dispiegamento nel tempo una ricostruzione intellettuale che non tiene conto delle discontinuità.
A ciò risponderemo che lo spirito borghese in questione non è anzitutto un fenomeno di ordine intellettuale ma morale. Vi è sottesa una certa concezione della vita umana, della relazione dell’uomo con gli oggetti e con il denaro. La gerarchia dei beni (utili, “onesti” - ossia corrispondente alla natura ragionevole dell’uomo -, spirituali), implica nella sfera pratica una risposta. Ciò può o non può essere ordinato, ossia definito in relazione a un bene ultimo, misura di tutti gli altri beni, ognuno secondo il suo grado. La coscienza di questa scala di valori si trova già nelle società tradizionali, ed è soprattutto spiegato in modo molto chiaro ed esteso nel Vecchio come nel Nuovo Testamento e quindi, per ricaduta, profondamente presente nel mondo cristiano. Così come per esempio nelle infinite lodi per celebrare i santi: “Beato il ricco che si trova senza macchia
e che non corre dietro all'oro" ("Ecclesiastico" 31,8). Non va dimenticato che è proprio l’accresciuta passione per il lucro che dà libero sfogo alla nascita dello spirito borghese. E che suscitò la risposta profetica di san Francesco d'Assisi.
Rimane la questione di quella che sembra essere una contraddizione in termini: come può esistere una borghesia di massa, dando per scontato che la borghesia costituisce solo una minoranza nella società globale, un’oligarchia di denaro e potere. L'era della borghesia non può essere che quella del XIX secolo, mentre il XX resta molto diverso. Ricordiamo che si tratta sempre di "spirito" borghese, che Del Noce vedeva diffondersi “allo stato puro”, già all’indomani del maggio 1968.
La borghesia, naturalmente, costituirà sempre una minoranza sociale, definita dal denaro, dal potere e in certa misura dalla distinzione culturale, per acquisizione come per imitazione. In quanto tale, può riunire solo un numero più o meno ristretto di individui e su una scala sociale variabile (intellettuali molto ricchi, socialmente riveriti, bobos...).
Tuttavia la borghesia sembra essere onnipresente nel desiderio, tanto più intenso nella società di massa quanto più i media di ogni genere si mostrano pronti ad eccitarlo (3). Nei paesi dell’Est, la mentalità borghese degli ex dirigenti, convertitisi in oligarchia estremamente ricca, si è subito diffusa tra la popolazione, come prova in particolare la schiacciante preferenza dei giovani per gli studi di tipo economico-commerciale.
La borghesia effettiva, quella degli “eredi” descritti da Pierre Bourdieu, rimarrà sempre, per status, nelle mani di un piccolo numero. Tuttavia l’aspirazione all’inclusione, all'adozione di alcuni modi di comportamento, e, prima di tutto, certa mentalità, sembrano diventare patrimonio sempre più esteso di larghi settori della società.
Agli albori della modernità, i primi borghesi giocavano a fare i nobili, oggi è tra le masse che possono incontrarsi comportamenti simili. Grazie, oltretutto, alla capacità di pressione sociale di tutta una serie di veicoli mediatici.
È vero che se in futuro una piccola minoranza, dotata di immense ricchezze, dovesse offrire al resto dell’umanità nient’altro che la scelta dell’austerità, il sogno potrebbe cessare e lo spirito borghese, giunto al suo stato più puro, tornare di nuovo ad essere... patrimonio di pochi eletti.
Bernard Dumont
(1) Bernard Dumont, "L’esprit bourgeois à l’état pur" (Catholica n. 152, Autunno 2021, pp. 4-15; online: https://www.catholica.presse.fr/2021/11/10/debat-lesprit-bourgeois-suite/ ) .
(2) Cfr. https://cargambesciametapolitics.altervista.org/sullo-spirito-borghese/ (14 juillet 2021).
(3) Vedere, tra gli altri, François de Negroni, "Le BCBG et les usages de masse de la distinction", Communications (n. 46, 1987), pp. 315-319 ; Jean-François de Vulpillières, "Le printemps bourgeois", La Table Ronde, 1990.
Nessun commento:
Posta un commento