Ricordiamo un testo di Sartre, dal titolo omonimo, di una banalità assoluta. In cui si riconduceva la letteratura nell’alveo dell’impegno politico e dell’egocentrismo, per quanto socializzato, non immune dalle stesse barriere piccolo-borghesi, che lo scrittore francese, diceva invece voler infrangere: la famiglia, l’infanzia, il “dovere” di scrivere”, di “dire” eccetera.
Che cos’è allora la letteratura?
La letteratura in primo luogo è un sistema (e in fondo lo è sempre stato): case editrici, tecnici dell’editoria, critici e infine scrittori. In secondo luogo, un mito, che rinvia alle varie epoche e al sentire del tempo. Ogni periodo storico ha i suoi letterati comunque legati - pro o contro -alle convenzioni del tempo. Ma non solo come vedremo. In terzo luogo, la letteratura è il letterato, ossia lo scrittore: un essere che crede di saperne più degli altri e di notificarlo al mondo. Diciamo pure che chi scrive compie un atto di immodestia.
E quasi mai l’ immodestia è stata amata. Tra il mondo antico e il mondo moderno si stese sulla letteratura il velo della religione e delle chiese. Dopo di che il posto della religione fu preso dalla religione secolarizzata dell’impegno sociale e del progresso umano.
Se prima si scriveva per dio, oggi si scrive per gli altri. Così si diceva e così si dice. Ma la sostanza è sempre la stessa, nonostante si proclami di scrivere sempre per qualcun altro. In realtà, quasi ci si vergogna di dire che si scrive, innanzitutto, per se stessi.
Modernamente parlando, la scrittura come impegno individuale quotidiano, discende direttamente dall’ imperativo categorico kantiano.
Però un conto sembra essere la morale, un altro la letteratura.
L’individuo teme di mostrarsi nel suo nudo egoismo. E da sempre: perfino gli antichi, apparentemente al di là del bene come del male, immolavamo agli dei. Sicché il disimpegno di molti scrittori, non è altro che impegno mascherato. Certo, verso se stessi. In definitiva, ripetiamo, la letteratura, dal lato dello scrittore, non è altro che un atto di immodestia a sfondo egoistico, che spesso distrugge, gli altri-vicini, e risparmia gli altri-lontani.
Allora cosa ne è del messaggio universale di Omero, di Dante, di Shakespeare e di tanti illustri nomi? Di ciò che è stato definito il canone occidentale?
Purissimo effetto inintenzionale dell’azione dello scrivere individuale. Lo scrittore si è fatto portatore senza volerlo di valori che poi sono stati considerati da altri scrittori come universali, quindi mitizzati: dalla psicologia alla morale, dalla religione alla filosofia.
E da qui è nato un equivoco storico dalle proporzioni colossali. Gli scrittori, in particolare quelli che sono divenuti grandi loro malgrado, si sono trasformati in modelli per tutti gli altri (in senso positivo come negativo, pro o contro insomma).
Le idee stesse di canone e classico si sono trasformate in letteratura. Anzi in letteratura sulla letteratura. In chiose su chiose:si ripetono le stesse cose, in forma differente, più o meno gradevole secondo il gusto del tempo.
Allora, per concludere, che cos’è la letteratura? Un grande inganno, per chi scrive come per chi legge. Di cui però gli esseri umani, per ora, non riescono a fare a meno.
Le menti acute, soprattutto autocritiche, sanno benissimo che è tutto un inganno, eppure non possono evitare di ingannare prima se stessi e poi gli altri.
Carlo Gambescia
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