Chi ci segue sa che non siamo teneri nei riguardi della destra.
Uno schieramento politico, da Forza Italia a Fratelli d’Italia passando per la Lega, immaturo politicamente, poco liberale sotto il profilo programmatico, privo di leader qualificati. E cosa più grave di ogni altra, ambiguo verso un’ estrema destra ancora ideologicamente legata al fascismo e capace, come accaduto sabato scorso, di devastare la sede del più importante sindacato italiano.
Un attacco che non può non ricordare la violenza fascista che, unita ad altri fattori, portò Mussolini al potere, e in seguito alla dittatura, alla guerra mondiale e civile.
Ecco, guerra civile. Qui, si apre una riflessione sulla principale vittima di sabato scorso: il sindacato.
Fortunatamente la devastazione neofascista non ha causato danni alle persone. La solidarietà delle istituzioni è stata immediata. Il giorno dopo si è subito tenuta un cerimonia, dinanzi alla sede romana della CGIL, per esorcizzare, anche simbolicamente, ciò che era accaduto.
Ora, un sindacato moderno, riformista, finalmente lontano dalle logiche della guerra civile, avrebbe dovuto chiuderla lì. Infatti, alla Camera, a breve, si discuterà sulla base di quattro proposte dello scioglimento di Forza Nuova e di altre organizzazioni neofasciste. Si prospetta anche un provvedimento del governo. Ciò significa che la “macchina” della democrazia parlamentare si è messa in moto. Perfetto.
E invece cosa succede? Che Landini, unitamente ai segretari di quella famosa “Triplice” (le tre confederazioni), che negli anni Settanta pontificava sul salario come “variabile indipendente”, ha decretato una manifestazione nazionale, che si terrà oggi a Roma, contro il fascismo. Per essere più precisi all’insegna del”Mai più fascismi”.
Che cos’è questo, se non una specie di richiamo della foresta? Che ripropone, facendo il gioco degli opposti estremismi, la logica della guerra civile?
Attenzione, logica. Perché la manifestazione di San Giovanni sarà sicuramente pacifica. E va anche giustamente ricordato che il sindacato ha pagato a suo tempo un cospicuo tributo di sangue al terrorismo rosso, proprio per combattere l’estremismo leninista.
Però le parole sono pietre. E cosa ancora più significativa, una manifestazione del genere ha una carica antipartitica e antiparlamentare, antiliberale tout court, che sembra aver conservato nel tempo tutto il suo potenziale esplosivo.
L’antifascismo purtroppo non è mai stato sinonimo, soprattutto a sinistra, di antitotalitarismo: di lotta a ogni tipo di dittatura, prescindendo dal colore politico.
Non si dimentichi, che tuttora, qualsiasi critica alle politiche del sindacato, viene liquidata come “fascista”. Quel “Mai più fascismi”, semplificando, si può tradurre con un “Mai più licenziamenti”. Perché, i padroni che licenziano – questa tuttora la vulgata sindacale – sono fascisti.
Proprio, come nel 1945, quando si voleva procedere alla requisizione operaia delle fabbriche per liberarle dai padroni fascisti, proponendo apertamente, in particolare i sindacati comunisti e socialisti, paralleli politici tra la Resistenza antifascista in Italia e la Rivoluzione d’ottobre bolscevica.
Esageriamo? Forse. Tuttavia nella rabbia di Landini scorgiamo l’antico livore, mai sopitosi della sinistra social-comunista (cui si aggiunse in seguito quello dei cattolici di sinistra) verso la libera impresa e verso le logiche di mercato basate sulla mobilità dei fattori economici.
Logiche che il sindacato italiano, mai modernizzatosi in senso liberale, ha sempre guardato con antipatia.Preferendo, in ultima istanza, una logica statalista e assistenziale, che tra l’altro, paradossalmente, rinvia allo stato padrone reinventato dal fascismo e recepito da una costituzione repubblicana molto socialista e poco liberale. Il che, per inciso, spiega la strenua e interessata difesa sindacale della costituzione.
Insomma, la logica antifascista rinvia, grosso modo, alle politiche sociali del fascismo, dello stesso fascismo che si vuole combattere… E che, per carità, va contrastato, ma con una mentalità differente: moderna, aperta, liberale e riformista. Non con le manifestazioni di natura archeologica in stile 1948.
Carlo Gambescia
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