sabato 27 luglio 2019

Riflessioni  
La Luna è lontana


Il 20 luglio del 1969 l’uomo  approdò sulla Luna. Approdare sembra il termine giusto, nel senso di giungere in porto. La conquista è altra cosa.  E infatti  dopo cinquant’anni ancora si ragiona, e neppure con tanto slancio,   su cosa  fare   di un pianeta inospitale, l’unico satellite della Terra.
Cinquant’anni dopo  la scoperta dell’America, l’Oceano Atlantico  era percorso in lungo e largo  da navi spagnole. La conquista, soprattutto dell’emisfero Sud  era quasi cosa fatta.  Altro spirito, altri tempi.

La  conquista   dell’ America avviene  all’inizio della modernità,  la pseudo-conquista della Luna, cade nell’ultimo trentennio ( o quasi) del Novecento, agli  inizi la post-modernità, almeno secondo alcuni filosofi.  
La dotazione tecnica, scientifica ed economica  dell’Occidente nel 1969 era  colossale, quella della Spagna e dell’Europa del 1492  di tipo appena post-feudale,  a dir poco spartana. Qual è il fattore, semplificando,   che segna la differenza tra Isabella di Castiglia e la Nasa?  Il fattore Ulisse.
Per quanto mitizzata nell’immaginario dell’Occidente, la figura di  Ulisse  - oggi post-modernamente ridotta al  “fascino della scoperta” -  rappresenta  proprio quel che Dante, uomo del medioevo, pur con una sua nobiltà, condannava: la negazione del limite, in tutti sensi, umani e culturali.  Ulisse non stava al suo posto, sfidava le leggi divine e  umane.  Ecco ciò che gli rimproverava Dante.
Negli anni  Sessanta del Novecento,  contemporaneamente ai progetti di  “conquista della Luna”,  si sviluppò  una nuova  cultura del limite.  Il Primo  rapporto Mit sui limiti dello sviluppo,  punto di partenza del catastrofismo ecologista oggi dominante,  risale al 1972, tre anni  dopo l’allunaggio. 

Dante, se ci si  passa il parallelo, in qualche modo  si vendicava di Ulisse,  traendo nuova  linfa  non da una metafisica religiosa,  ma dalla  metafisica  ambientalista.
Se in Dante l’uomo è un’entità creaturale sottoposta  a Dio e ai suoi emissari terreni, per i profeti dell’ ecologismo, l’uomo diventa  una animale come tutti gli altri, anzi più pericoloso degli altri, sottoposto  a una natura deificata e intoccabile, confinato  in un  un ruolo periferico.
Via gli ideali di grandezza e di progresso. Via la forza trasformatrice della modernità.  Via la potente volontà dell'uomo  di sottomettere la natura  a un disegno ambizioso e solenne.  
Sul piano filosofico, come precursore della cultura del limite, in quanto  nemico di Ulisse,  può essere indicato Heidegger:  il filosofo che non disdegnò Hitler, altro amante della natura ma nemico dell'uomo.  Heidegger  teorizzò  un uomo gettato nel flusso della vita,  teso a  sopravvivere a se stesso o a vivere per la morte,  immergendosi nella natura,  a distanza di sicurezza dalla “civiltà della tecnica”.
Heidegger in un breve scritto, Aletheia (in Saggi e discorsi),  descrive Ulisse  piangente e prigioniero del senso di colpa. Una vittima di se stesso. Che vorrebbe riparare alla distruzione di Troia.  Ulisse come pentito:  una ben triste figura.
Ed è questa la cultura che oggi prevale:  del pentimento post-modernista,  del limite  e  della paura  di ciò che Popper  chiama la logica della scoperta scientifica: il sale   dell’Occidente.
Sì, la Luna è  lontana. Oggi più che mai.   Dove sei Ulisse?

Carlo Gambescia