giovedì 25 luglio 2019

Geopolitica dell’Unione europea
Boris Johnson?
L'ultimo dei nostri problemi



Boris Johnson, di cui tutti conoscono il grossolano stile personale e politico,  promette  di uscire in autunno dall’Unione Europea,costi quel costi.  Ci riuscirà?  Difficile dire.   
In realtà, il punto un altro: il vero nodo europeo va oltre la permanenza di una  euroscettica Gran Bretagna addirittura dai tempi di Napoleone. L'autentica questione  che abbiamo davanti  rinvia più concretamente   alla resistenza dell’Asse franco-tedesco. Quanto durerà ancora?  

Se  in Francia vincessero i lepenisti e in Germania una coalizione molto spostata a destra, come accaduto  in Austria e  Italia  sarebbe una sventura:  la fine dell’Unione europea  e  di quella meraviglia storica  che si chiama moneta unica.  Per ora, tuttavia, l’Asse regge.  Per ora, nonostante  i rubli di Putin. Incrociamo le dita.
Chiunque conosca, anche da un punto di vista non  specialistico, i grandi schemi  geopolitici  e in particolare  il valore dei concetti di Heartland e Rimland, non può non preoccuparsi per quanto sta accadendo.  E di conseguenza, se ci si passa l'espressione, non può non fare tifo per l'Asse franco-tedesco, liquidato invece dagli  imbecilli della stampa di destra italiana come un trappolone...
I grandi teorici della geopolitica liberal-democratica,  da Mackinder a Spykman, da  Brzezinski e Huntington,  hanno tutti  evidenziato la pericolosità dell’unificazione dell’Heartland (il cuore eurasiatico) con il Rimland (le nazioni ai confini orientali europei, inclusa l'Europa occidentale)  sotto il tallone euroasiatico.

Sul punto  rinviamo al magnifico libro di Zbigniew Brzezinski, La grande scacchiera (Longanesi), dove si evidenzia  la pericolosità di una strategia del genere a guida  russa.  Si avrebbe  un  blocco dei commerci prodotto  dall’autosufficienza geopolitica ed economica eurasiatica con il  conseguente isolamento  degli Stati Uniti, circondati e limitati all’emisfero occidentale. Inutile ricordare, che si tratta della stesso progetto concepito da Hitler (  e  Stalin): due nemici della liberal-democrazia.  Ci ritroveremmo  con l' Europa , ridotta a villaggio vacanze, a gigantesco Club Med,  una  specie di   appendice turistica  euroasiatica.

Pertanto,  l’ascesa delle  destre razziste, nazionaliste e  antiliberali, che come in Italia celebrano addirittura l’idea eurasiatica, accogliendo  fanatici sostenitori del progetto  come Dugin,  ne rappresenta la pericolosa  e antidemocratica  testa di ponte politica.
Trump, le cui scelte e decisioni sono dettate da uno sciocco autismo nazionalistico,  non si rende conto di lavorare in modo beffardo a danno degli Stati Uniti: vuole l’America più grande, rischia di rimpiccolirla, isolandola dalla grandi correnti geopolitiche. Vuole il bene, ottiene il male.  Per  dirla brutalmente, Trump, geopoliticamente parlando,  ha un cervello di gallina.

I nostalgici del pre-1945 potrebbero invece  ironicamente osservare che  per l’Europa non cambierebbe nulla.  Un semplice  mutamento di “padrone”: dagli Stati Uniti alla Russia. Con la Cina sulla sfondo, ultimo lembo (si fa per dire)  di terra  eurasiatica.  

In realtà, al di là dell’importanza di sottolineare il comune  patrimonio di ideali,  storia e interessi economici al libero commercio di uomini e idee,  che pure unisce l’Occidente europeo a quello Americano,  l’ Europa,  una volta separata dagli Stati Uniti e una volta caduto l’Asse franco-tedesco, tornerebbe a dividersi in tanti piccoli e rissosi frammenti nazionali. In attesa, per tornare al punto,  dell' unificatore eurasiatico con il filo spinato.  Con il quale l’Europa  non ha  nulla in comune: né storia,  né ideali,  né interessi autarchici.

Dicevamo dell’importanza dell’Asse franco-tedesco: se una delle due potenze europee si avvicinasse troppo alla Russia, il gioco geopolitico di Mosca diverrebbe  più facile. Di qui  l’importanza, ad esempio,   di sostenere le sanzioni alla Russia,  di   appoggiare l’Ucraina e le  Repubbliche baltiche,  di non defilarsi dalla politica medio-orientale. E soprattutto di contrastare i sovranisimi europei. 
Brzezinski scorge  nell’Europa occidentale, realisticamente, una testa di ponte americana,  una spina nel fianco prima dell’Unione Sovietica, poi della Russia di Putin. Non solo questo però. Brzezinski, guardando più lontano vede nell'Europa un attore politico capace di  difendere  l’ordine liberale e democratico, nonché, in prospettiva di favorire l' allargamento dei confini a Est.  Se,  essere considerati una testa di ponte può apparire spiacevole,  svolgere invece  il ruolo  di  katéchon  liberal-democratico  non può non apparire una missione esaltante.    Come in fondo   fu contro Hitler. Una pagina eroica della storia europea. Si tratta di recuperare quello spirito. Certo,  cosa non facile.
Comunque sia, appare chiaro che  siamo davanti a una strategia complessa dove, per l’Europa,   Boris Johnson rappresenta l’ultimo dei problemi. 
Carlo Gambescia