lunedì 8 luglio 2019

Lega e Fratelli d’Italia al 46 per cento
Gli italiani? 
Democratici per caso


Oggi  “Il  Messaggero” riporta  un   sondaggio che  dà Lega e Fratelli  d'Italia  al  46 per cento ( rispettivamente, 38 e 8 per cento ).  Cosa dire? Che, se si conta anche il 6  di Forza Italia,   un italiano su  due   è razzista.
Nel Gioco dell’Oca della politica,  l’Italia sembra essere ritornata alla casella iniziale delle Leggi  razziali del 1938. Ciò  significa che  l’antifascismo, la cultura democratica, il solidarismo cattolico, la sindacalizzazione non hanno esercitato alcuna influenza sull’antropologia sociale italiana uscita dalla guerra.  Punto e a capo.  Perché?  Trovare una risposta univoca è molto difficile. Probabilmente, la cultura politica repubblicana non è mai stata assimilata da una congrua parte degli italiani, perché giudicata come un corpo estraneo. Una specie di protesi ortopedica  voluta  dai vincitori.
Del resto, una Repubblica, nata dalle ceneri di una guerra civile,  a che  tipo di legittimazione poteva aspirare?  Un paese orgogliosamente bellicista  e razzista per più di venti anni,  si ritrovò  in fondo alla fila delle nazioni,  costretto a indossare, e meritatamente,  i panni dello sconfitto e del pentito.  Di qui, passando da un estremo all’altro, seguirono il   ripudio della guerra, il  trionfo dell’inclusione  sociale democratica, la  massima apertura all’idea europea.  L’Italia di colpo divenne una nazione pacifista e universalista,  non  per convinzione, ma perché costretta dagli eventi. Democratici per caso.  Ecco la radice di ogni male italiano.
Potremmo parlare di uno strato di vernice, sbiaditosi nel tempo, sotto il quale  si scorgevano, sempre più  evidenti, le macchie di colore del Ventennio.  Un quadro nel quadro. Un'opera  in nero.  
Qui  andrebbe fatta una riflessione sui danni prodotti dal bellicismo e dal razzismo  nell’antropologia sociale degli italiani. Danni  enormi  che nel dopoguerra si cercò  di  mascherare  sotto dosi  massicce di cultura repubblicana, ma in realtà sempre  incombenti. Dicevamo dell’antifascismo, della cultura democratica,  del solidarismo cattolico, della  sindacalizzazione. Ebbene si sono rivelati, per quel che riguarda l' influenza sugli italiani,  semplici maschere, o se si preferisce  scelte di comodo, fin quando convenienti.  Durante la Prima Repubblica  gli unici a interrogarsi, ma in modo isterico e partigiano, sul basso continuo fascista furono  azionisti e  comunisti. Per  contro,  liberali e socialisti sperarono negli effetti di ricaduta del benessere. I democristiani, maggioritari,  da buoni eredi dei monsignori, si accontentarono del silenzio assenso degli italiani. 
In realtà,  una volta ricondotta in modo proditorio  la cultura pacifista e l' universalismo  nell’alveo del cosiddetto politicamente corretto,  si sono rotti gli argini sotterranei  e la cultura del razzismo è tornata alla luce del sole. Un'operazione propagandistica, quella della parificazione  tra   mitologia repubblicana e  politicamente corretto,  di cui sono responsabili le nuove destre (nuove per così dire...) della Seconda e Terza Repubblica. Secondo le destre  il politicamente corretto sarebbe una continuazione della cultura antifascista con altri mezzi. Ma l'antifascismo, per quanto male assimilato nasce dalla guerra civile, il politicamente corretto da una guerra culturale. Il primo ha un fondamento militare il secondo no. Evocarli  unitamente significa  ri-evocare la logica polemica della guerra civile.  Da democratici per caso...              
Di conseguenza,  il nazionalismo ha abbandonato i campi di calcio e le cucine per tornare a esplicitare  la parte del leone  in tutti gli altri campi, della politica, dell’economia, della cultura.  E con esso il razzismo.
Certo, si può sempre dire, scorgendo il bicchiere mezzo pieno,  che un italiano su due non è razzista.
In realtà dopo settant’anni di democrazia,  l’Italia  appare più  divisa del 1945. Allora la guerra civile fu conflitto tra minoranze, grosso modo otto  italiani su dieci rimasero alla finestra, in attesa che finisse tutto. Oggi invece  l’Italia è divisa a metà: cinque italiani contro altri  cinque italiani.
Nel 1938, in occasione delle Leggi razziali, nessuno dissentì pubblicamente: in teoria perciò  dieci italiani su dieci erano d’accordo con il Duce.  Oggi, cinque con il Capitano e sodali. 
Non  sono comunque troppi? 

Carlo Gambescia