lunedì 29 luglio 2019

La foto  del ragazzo  americano bendato
Qui l’unica benda è quella davanti agli occhi degli italiani


Nell’iconografia politica dell’Occidente la Giustizia viene rappresentata con una benda davanti agli occhi, per simboleggiarne l’imparzialità.  Per contro la figura del  prigioniero  bendato rinvia a un immaginario di umiliazione e abbrutimento.

Basta fare un giro su Google immagini, impostando i due termini "prigioniero bendato", per ritrovare migliaia di foto “dedicate”. Accanto a ogni  prigioniero, di guardia,  si ritrovano soldati  americani, iracheni, israeliani, russi, cinesi, eccetera. La  “bendatura” è una tecnica di tortura, ai primi stadi, per estorcere confessioni,  diffusa da Oriente a Occidente. 
Ovviamente, la diffusione di una tecnica per disorientare fisicamente e demoralizzare il prigioniero, particolarmente gradita a militari e polizie militari, non può  incidere  sul giudizio  negativo dal punto di vista dello stato di diritto, meritoria  invenzione dell’Occidente, e del rispetto della dignità delle persone. Soprattutto, quando  si parli di  indagati, come nel caso dei giovani  americani accusati dell'omicidio del carabiniere.  Anche perché, dal punto di vista dello stato di diritto, una confessione estorta con la violenza non ha  nessun valore legale.
Certo, realisticamente,  esiste il cosiddetto stato di eccezione, ad esempio lo stato di  guerra, dove  necessariamente, alcune libertà non possono non essere sospese. Primum vivere, autoconservarsi innanzitutto, resta la regola principale a cui si attengono i macro-attori politici, davanti al nemico in armi che li indica apertamente come tali.  Insomma, in certe situazioni  estreme,  si può togliere la benda giustizia e metterla al prigioniero o indagato che sia. Si chiama etica della responsabilità.

Ora, però,  per venire alla foto diffusa ieri, lo scatto rivela   un  trattamento,  verso un indagato,   privo di qualsiasi ragione fattuale e giuridica.  Ripetiamo:  la  bendatura del giovane americano, presunto colpevole di omicidio  non può avere  alcuna ragione di essere, né legale, né morale, né umana.   Risulta evidente  la sproporzione colossale tra la misura presa e il contesto in cui sono avvenuti i fatti.  
A meno che sul contesto - ecco il punto, in  negativo -  non abbia  agito quella sindrome da accerchiamento (dai “clandestini”,  dalle “mafie” di terra e di mare, dai “burocrati di Bruxelles”, “dai nemici dell’Italia", eccetera), che sta distruggendo il dibattito pubblico italiano per fare la fortuna di Salvini e delle destre che vedono nemici assoluti ovunque.  Di conseguenza,  i carabinieri,  si sarebbero sentiti autorizzati, in  una situazione creduta come di guerra,  a comportarsi secondo tecniche - semplificando -  di tipo anti-insurrezionale.  
Il  che non vale come giustificazione. Perché questa brutta storia, oltre a fare il giro del mondo e  metterci in cattiva luce  dinanzi all’opinione pubblica americana,  indica una cosa gravissima:  come l’isteria politica si sia ormai impadronita dell’Italia. Ne  scrivevamo ieri (*).

Un altro indicatore negativo  è rappresentato dalle reazioni alla foto. Sui giornali e sui social sta   imperversando  il gossip politico, complottista  dell’ “ A chi giovi” e delle chiacchiere roventi su una presunta  “manovra” segreta per distogliere l’attenzione dall’uccisione del carabiniere.  
Il sofisma, dietro queste fantasie, è quello del post hoc ergo propter hoc (dopo di questo quindi a causa di questo).  In tal modo,   si   spezza   la catena causale, che invece, come sappiamo, riconduce la vicenda della bendatura al clima isterico instaurato da Salvini e dalle destre,  per accreditare che cosa?   La pseudo-idea,  limitandosi agli ultimi  due eventi (arresto e foto), che se un evento  è  seguito da un altro (post hoc), allora il primo deve essere causa del secondo (ergo propter hoc).  Tradotto:   che l’arresto, intervenuto prima della foto,  sia la causa della diffusione della foto.  Però quando ai nostri fantasiosi  interlocutori si chiede il perché, ci si  sente  rispondere  con fantasticherie politiche sui vantaggi, tutti da provare,  di cui avrebbe goduto questo o quello, vantaggi inevitabilmente  incasellati in  una visione complottistica della storia, dove -  ci si risponde illudendosi di far quadrare il cerchio - c'è sempre qualcuno che tirerebbe le fila, eccetera, eccetera.  La storia è un complotto? Dio esiste?

Sono argomenti né veri né falsi. Dunque indeterminati.  Infalsificabili. Riguardano  le credenze individuali.  Che però, una volta sviluppatesi in collettive, si trasformano in forze devastanti, soprattutto se usate come base pseudo-teorica,  per sollevare dubbi e seminare -  volenti o nolenti -  il curaro dell'isteria dove l'isteria già fiorisce rigogliosa  e dove  nessuno è in grado di comprendere la sottilissima  distinzione -  ammesso e non concesso che esista -  tra congiure e teoria del complotto.
Insomma, quel che può valere all'interno di un raffinato circolo di studiosi, abituati  a spaccare il capello in quattro, perde qualsiasi senso all'interno della società di massa, dove si ragiona per stereotipi. E figurarsi nell'universo social. Di qui le grandi responsabilità del cosiddetto giornalismo investigativo  nel non superare i limiti tra informazione e pensiero mitico.  Ma questa  è un'altra storia.
In questo modo però, tirando le fila del nostro  discorso,  si  sorvola, neppure elegantemente,  sul clima isterico che ormai regna in Italia. Che è  la causa delle cause. Perché  senza l’odio e il veleno sparsi da Salvini e dalle destre nessuno avrebbe bendato il ragazzo, nessuno avrebbe diffuso la foto.  Purtroppo  la benda davanti agli occhi sembrano averla  gli italiani. E si chiama  isteria politica.
Così siamo messi. Altro che teoria del complotto.


Carlo Gambescia