sabato 20 luglio 2019

Riflessioni
Camilleri, De Crescenzo e il Canone Occidentale


Un amico notava  che  i romanzi e racconti di  Andrea Camilleri  andrebbero ricondotti nell’alveo della letteratura di svago. Insomma,  nel grande market  dei libri poco profondi sul piano dell’analisi degli uomini e delle cose.
In che senso però parlare della  profondità di un libro?  Mann era profondo, eppure ci dicono i critici, I Buddenbrook, un capolavoro di analisi storica ed esistenziale, ottenne  grande  successo di cassetta. Per contro,  passando  alla saggistica politica, il Mein Kampf,  tecnicamente parlando,  testo mal scritto e peggio concepito,   resta uno dei libri più venduti del XX secolo.
Si può dire allora che  un libro ha un valore compiuto quando profondità di contenuti  - valga l’esempio dei Buddenbrook -   e orizzontalità  - quantità di copie  vendute -  coincidono?  E sia.
Il che però  è cosa piuttosto rara, dal momento che  insigni critici  non riconoscono dignità letteraria compiuta a Camilleri (e  Simenon, ad esempio,  i cui romanzi vendevano e piacevano come i gialli). 
Si pensi anche a  Luciano De Crescenzo,  mancato il giorno successivo alla scomparsa di Camilleri, anch’egli  novantenne. La sua opera, in particolare quella  filosofica, si può definire di alta divulgazione?  Sul punto, non tutti sono d’accordo. Per alcuni critici era un genio, per altri  uno scrittore minore, addirittura dialettale.
Eppure, come  ci ricorda Wiki,  De Crescenzo  ha pubblicato in totale cinquanta libri, vendendo 18 milioni di copie nel mondo, di cui 7 milioni in Italia,  mentre Camilleri  più di cento  per  10 milioni di copie. Ovviamente, televisione e cinema hanno giocato un effetto moltiplicatore  non secondario. Che pensare?  Tempi moderni.
Si dirà, storcendo il naso, anche giustamente, che quantità non è sinonimo di qualità.  Il punto è che  l’editoria, e per prima quella statunitense (la madre di tutte, eccetera, eccetera),  badando alle vendite, impone cliché e tiranneggia gli autori, a parte i grandissimi.  Obbligandoli a scrivere sempre dello stesso argomento di cassetta.  E in Italia, per emulazione produttiva, ovviamente in micro-scala,  si fa la stessa cosa.  Il che decreta e consolida il successo, per così dire dei Camilleri.  Mentre il lavoro di scouting, spesso meritorio,  è svolto  dalla piccole case  editrici  che scoprono e  lanciano autori, poi inevitabilmente  assorbiti dal mercato maggiore. Si chiamano economie di scala.  Ma questa è un’altra storia. 
Dobbiamo però ancora rispondere alla domanda iniziale. Camilleri, fu  vera gloria?  Potranno rispondere solo i posteri. La vera gloria rinvia ai secoli, al valore classico di un romanzo o di un’intera opera.  Classicità che  resta  frutto del consolidamento di un canone letterario. In argomento si può leggere  l’opera di Harold Bloom  dedicata al Canone Occidentale.  Un vero e proprio trattato che riflette, valorizzandola, la grande tradizione umanistica dalle radici ebraico-cristiane e greco-latine. Proprio quel che altrove è invece giudicato, piaccia o meno, come il portato culturale dell'imperialismo politico occidentale.  Probabilmente Camilleri e  De Crescenzo, pur essendo rami minori, attingono, per problematiche a questo canone. Perciò la loro fama, grande o piccola, sopravviverà se sopravviverà il Canone Occidentale.
Ciò  significa che le vendite sono solo un aspetto, orizzontale  per giudicare la compiutezza di un' opera.  Un aspetto  importante, che però da solo non basta.  Perché si  impone, sempre in termini di giudizio, l'analisi del taglio verticale.   Benché, ribadiamo,   sia regola ferrea dell’editoria moderna, che faremmo cominciare con i tascabili (per così dire) di Aldo Manuzio,  quella che uno scrittore, per essere tale,  deve essere letto, e per essere letto deve essere pubblicato.
La scrittura  - mai dimenticarlo -  è al contempo  atto privato (addirittura egoistico, perché chi scrive si isola) e atto pubblico, spesso inintenzionale (per l’effetto di ricaduta editoriale). Effetto che però  può rendere ricchi.
A titolo di curiosità ecco la lista, per incassi (diritti di autore),  dei romanzi  più venduti in Italia  nel 2016 (*) :

1) Andrea Camilleri, L’altro capo del filo (283 mila).
2) Roberto Saviano, La paranza dei bambini (180 mila).
3) Chiara Gamberale, Adesso (150 mila).
4) Elena Ferrante, L’amica geniale (130 mila).
5) Antonio Manzini, 7-7-2007 (127 mila).
6)  Simonetta Agnello Hornby, Caffè amaro (114 mila).
7) Marco Malvaldi, La battaglia navale (104 mila). 
8) Fabio Volo, È tutta vita (101 mila).
Come si può vedere, Camilleri è in testa. E  per gli altri?  Altra vittoria del  Canone Occidentale?   Chi lo può dire.   Siamo del parere   mettendo a rischio  il  pane dei  critici letterari -   che sulla letteratura contemporanea,  diciamo degli ultimi venticinque anni (dividendo un secolo in quattro cicli), si debba prudentemente  sospendere il giudizio.  
Come definire, in senso assoluto,  ciò che è svago da ciò che non lo è?   Servirebbe la prospettiva storica, cosa che rinvia al trascorrere del tempo.
Ma i critici devono pur  scrivere, gli editori pubblicare, i lettori leggere. L’introduzione della gratuità non sposterebbe di una virgola la questione nei suoi aspetti essenziali.  Aspetti che sono qualitativi. Ma della qualità, quella vera,  decidono i posteri.  E soprattutto la sopravvivenza di un Canone.  Nel caso, ripetiamo per i duri di comprendonio, quello Occidentale.
Carlo Gambescia