Tony Soprano
o della
banalità del male
Ci piaceva molto
James Gandolfini nella parte di Tony Soprano: mafioso depresso e
padre affettuoso, spietato boss di mezza tacca, ma pieno di rimorsi,
rimpianti e complessi. Eppure incapace di fermarsi, perché sospinto
dalla pervasiva leggerezza della routine.
Un ruolo molto
articolato, magnificamente interpretato in tutte le sue sfaccettature e persino
sfumature. Evitando, anche per merito degli autori, di incorrere, per
fare solo alcuni esempi, nel manierismo di Marlon Brando, nei ghigni di
Robert De Niro e nei deliri di Al Pacino. D’altra parte
parliamo di tre divi obbligati a immedesimarsi in caricature di
mafiosi. E non in personaggi autentici come Tony Soprano.
Peccato che James
Gandolfini sia morto, prima di poter offrire, come si dice, altre grandi
prove attoriali. La terra gli sia lieve.
Quanto alla serie,
l’uso del termine capolavoro usato da molti critici, a prima vista può
sembrare eccessivo. Non abbiamo la preparazione necessaria per poter
confermare o meno. Tuttavia, come spettatori e studiosi di sociologia
abbiamo apprezzato "The Sopranos". Mai perduta una
puntata. Da spettatori non
possiamo non ricordare con piacere il ritmo e la coerenza della
sceneggiatura, la bravura degli attori, nonché le musiche sempre
appropriate. Indimenticabile, la lunga notte trascorsa da
Tony accanto al suo cavallo da corsa malato, sulle note di
"My Rifle, My Pony and Me", celebre canzone tratta dal film
"Rio Bravo", cantata da Dean Martin. È la miracolosa goccia
d'acqua attraverso la quale, per un attimo, si scorge l'oceano
del sogno americano versione
frontiera. Da antologia.
Dal punto di vista
sociologico abbiamo molto gradito il puntuale
riferimento non alla mafia come macro-fenomeno
cospirativo, centralizzato, una specie di megamacchina del male assoluto
(come si usa fare in Italia), ma alle mafie, come micro-fenomeno, diffuso sul
territorio, hobbesianamente divise in bande sempre sull'orlo del
conflitto. E per giunta composte, non dai soliti zombi decerebrati con la
pistola in mano, ma da persone con gli stessi problemi esistenziali
del mondo “normale” : individui concreti, che però ogni
giorno, dalle 8 alle 17, si trasformano in banali maestranze del
male.
Una chiave interpretativa interessante che permette al tempo stesso di spoetizzare la mafia e fare dell’ottima televisione, evitando - cosa ancora più importante - di costruire fangose soap cospirative. E probabilmente, per quest'ultimo motivo, la serie non ha avuto successo in Italia, Paese, per eccellenza, dei “romanzi criminali”... (*)
Una chiave interpretativa interessante che permette al tempo stesso di spoetizzare la mafia e fare dell’ottima televisione, evitando - cosa ancora più importante - di costruire fangose soap cospirative. E probabilmente, per quest'ultimo motivo, la serie non ha avuto successo in Italia, Paese, per eccellenza, dei “romanzi criminali”... (*)
Carlo Gambescia
(*) A proposito, se vera - la storia ( di oggi: 8/8/13) del rolex di Pandolfini rubato nei momenti successivi al mortale attacco di cuore - c'è veramente di che vergognarsi. Qui l'articolo: http://www.tmz.com/2013/08/07/james-gandolfini-rolex-submariner-watch-case-theft-stolen .
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