Il libro della settimana:
Fedele Acciari, Spengler. Un
autodidatta di successo, Edizioni Universitarie 2013, pp. 264, euro
25,00 -universitarie@libero.it .
Non si poteva
trovare titolo più azzeccato. Parliamo del ghiotto libro di Fedele
Acciari , saggista e storico delle idee, dedicato a un modesto professore
di liceo assurto a profeta del declino dell’Occidente: Spengler.
Un autodidatta di successo (Edizioni Universitarie) . Per certi
versi, il saggio di Acciari ricorda quello dissacrante di Anacleto
Verrecchia su Nietzsche.
Per quale ragione
autodidatta? Perché Oswald Spengler fu uomo
dalle molteplici e disordinate letture:
filosofia, storia, matematica, scienze naturali, alchimia,
religione, musica, arte. Tenutosi e tenuto sempre a distanza dalla
cultura accademica tedesca, probabilmente proprio a causa della sua
bocciatura alla prima prova di dottorato (alla seconda
riuscì). Tuttavia, grazie alla enorme
quanto variegata cultura, trionfò nelle librerie: il Tramonto
dell’Occidente, uscito in sordina, fece la fortuna
dell’editore Beck. Tra il 1918 e il 1936, anno della sua morte (a
cinquantasei anni per infarto), nella Germania affamata
prima di pane poi di divertimenti e infine di profeti e
profezie, Spengler divenne famoso al punto di trasformarsi
in una sorta di aristocratico e misterioso santone: un
genio malandato di salute, ipersensibile alle critiche ma
ipercritico nei riguardi altrui; incapace di risolvere qualsiasi
questione pratica, sebbene totalmente convinto di avere il tasca, o
comunque a portata di mano, il segreto della storia.
Una certezza,
secondo Acciari, presto divenuta monomania e causa
di autentici deliri persecutori. Parliamo
di una capacità visionaria, così circonfusa di mistero,
talvolta anche per colpa degli ammiratori, che colpì perfino
Hitler. Altro autodidatta di successo...
Fu nazista Spengler?
Secondo Acciari no. Ebbe, di certo, amici nazisti, soprattutto tra le SA,
alcuni dei quali perirono nella “Notte del lunghi coltelli”, ma politicamente,
scrive Acciari, « era di un'ingenuità sconcertante». Di qui, l’incapacità di
fare scelte politiche concrete. Perciò - continua l’autore - «come
poteva diventare nazista un uomo abituato a frequentare la stratosfera del
pensiero e quindi incapace di calarsi nella realtà delle cose politiche? » (p.
18). Resta il fatto che altri pensatori, altrettanto abituati a solcare i campi
dell’Essere, come Heidegger, lo furono, anche se a termine. Che la differenza
tra le scelte di Heidegger e Spengler fosse nel diverso punto di
arrivo formativo? Il primo accademico, il secondo
autodidatta. Heidegger più legato a mantenere e difendere
posizioni di potere, Spengler no... Acciari non si
pone il problema, a dire il vero più sociologico che
filosofico: Heidegger è citato alcune volte, ma su altre questioni
spengleriane.
Nel libro sono molto
ben ricostruiti i rapporti familiari e in particolare con la
sorelle: Adele (che morì suicida) e Hilde. Nonché i
legami con lo storico Eduard Meyer e altre figure
di rilievo come Leo Frobenius, con il quale però Spengler ruppe nel
1927, per ragioni, secondo Acciari, «più di tipo caratteriale che di
natura scientifica» (p. 128).
Molto interessante
la parte dedicata ai rapporti tra l’autodidatta profeta del declino e il
pensiero alchemico (pp. 150-183). Per «Spengler - si legge - la ricerca
della pietra filosofale da parte degli alchimisti presupponeva il rifiuto della
storia in nome di un sapere più profondo capace di trasformare i metalli in
oro: un compito, a suo avviso, irrealizzabile, perché la comprensione delle
leggi profonde della storia, omologhe a quelle naturali, è l’unica vera
pietra filosofale ». (p. 179).
Concludendo, un
libro notevole, tra l’altro ben scritto, che però dà per scontata,
come del resto la nostra recensione, la conoscenza della teoria storica
spengleriana. Un testo, insomma, rivolto verso l'interno, in direzione
dei lati meno conosciuti di Oswald Spengler, «l’ipersensibile
filosofo della storia, che immaginò un Occidente diverso, probabilmente mai
esistito, se non nella sua mente febbrile
di alchimista autodidatta dei corsi e ricorsi umani» (p. 258).
Carlo Gambescia
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