Il libro della settimana: John Witte jr, Diritto e protestantesimo. La dottrina giuridica della Riforma luterana, a cura di Andrea Pin, intr. all’ ed. it. di Brian E. Ferme, pref. all’ed. or. Di Martin E. Marty, Liberilibri, Macerata 2013, pp. XXVIII-458, euro 20,00
http://www.liberilibri.it/john-witte-jr./208-diritto-e-protestantesimo.html |
Ci sono libri che
rinviano ad altri libri e che scatenano nella mente del lettore autentiche
tempeste mnemoniche, teatro naturale di eclettiche
riflessioni, ricche associazioni di idee, spunti interdisciplinari:
una manna per l'intelligenza. A tale creativa categoria appartiene Diritto
e protestantesimo. La dottrina giuridica della Riforma luterana (Liberilibri), scritto da John Witte
jr, già allievo d Harold J. Berman e al presente direttore del
Center for the Study of Law and Religion, importante centro di ricerca
plasmato da Berman (per maggiori informazioni su Witte: http://cslr.law.emory.edu/people/person/name/witte-jr/ ).
Il libro,
sostanzialmente, fa il punto sul ruolo storico della Riforma
protestante - che a dirla tutta fu una vera e propria rivoluzione
(politica, sociale, eccetera) - , puntando le luci
sulla doppia interazione tra luteranesimo e società moderna
e tra diritto e religione. Tuttavia, l'opera di Witte
non è una ricostruzione (l'ennesima) tracciata da
un tardo epigono dello storicismo tedesco. In
realtà, Diritto
protestantesimo, che per finezza ricostruttiva fa
concorrenza a Diritto e rivoluzione I e II di Berman (di cui ci siamo occupati
qui:http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/2011/12/il-libro-della-settimana-harold-j.html -http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/2007/02/i-libri-della-settimana-hj-berman.html ), ruota magnificamente
intorno a due grandi questioni sociologiche: a) la
continuità della tradizione, comunque la si intenda; b) la normalizzazione
post-rivoluzionaria, come fattore ciclico.
Il che serve a
spiegare le tempeste mnemoniche di cui sopra.
Infatti, leggendo il libro di Witte il nostro pensiero è
subito andato ai lavori di Shils sul tradizione (Tradition ) e di Sorokin sulla
rivoluzione ( The Sociology of Revolution).
Shils si sofferma sull'impemeabilità alla decadenza
politica delle grandi tradizioni, dovuta a profonde ragioni
organizzative come nel caso del più che longevo diritto
romano; Sorokin invece ipotizza, e in larga misura riesce a
provare, come nelle rivoluzioni,
ciclicamente, alle fasi di anarchia sociale ne
seguano altre di riorganizzazione
societaria.
Si tratta, per così
dire, degli stessi fondati sillogismi sociologici che
innervano Diritto e protestantesimo,
per inciso, ottimamente tradotto da Elena Frontaloni. Scopriamoli insieme.
Fase I: Lutero, il teologo, attacca, e non solo verbalmente, le istituzioni della Chiesa Cattolica, a partire dal diritto canonico; Fase II: le terre germaniche precipitano nell’anarchia; Fase III: Filippo Melantone, Johannes Eisermann Johann Oldentorp pongono le basi intellettuali per una normalizzazione sociale e politica, recuperando all’interno della dottrina giuridica luterana, il diritto canonico; Fase IV: sorgela Germania westfaliana,
polverizzata politicamente ma libera dalle devastanti lotte sociali e
religiose. Il tutto, tra il 1517 e il 1648. Ma cediamo
la parola a Witte: « I giuristi luterani citarono il diritto canonico cattolico
come valida fonte per il diritto civile protestante, con più disinvoltura di
Lutero. Lutero alla fine aveva stretto una riluttante pace con alcune leggi del
diritto canonico, riconoscendo la loro utilità nella definizione dei codici disciplinari
della Chiesa e dell’ equità (aequitas)
delle norme per lo Stato. Ma rimase fermamente contrario all’uso della
tarda legislazione medievale papale, sia nella creazione delle leggi, sia
nell’insegnamento del diritto» (p. 27). Per contro, in seguito, « i
giuristi luterani furono meno severi. Fecero uno spigliato utilizzo dell’intero Corpus
iuris canonici nei
loro testi, corsi, pareri opinioni giuridiche, e progetti di legge. E
condensarono quest’uso del diritto canonico dentro innovative teorie della
Chiesa e dello Stato» (pp. 26-27). Perché?
Per considerazioni organizzative e antropologiche:
due questioni, non da poco, con le
quali - ecco il punto sociologico - anche i
rivoluzionari, prima o poi devono fare i conti: « Sostennero [i giuristi
luterani, ndr]. che la Chiesa invisibile del regno
celeste poteva sopravvivere bene con i soli insegnamenti della Bibbia, libera
dagli ulteriori vincoli del diritto canonico. Ma la Chiesa visibile del regno
terreno, colma di peccatori e di santi, necessitava sia degli insegnamenti
biblici sia della giurisprudenza ecclesiastica per essere ben governata,
Sostennero che il diritto canonico medievale , come distillato delle norme
contenute nelle Bibbia fosse una valida legge per la Chiesa visibile e per questo
andasse comunque usato» (p. 27). Cosicché, conclude Witte, «questa somma
di idee, che è insieme una nuova ecclesiologia e una nuova giurisprudenza,
diede un robusto fondamento logico per un’ampia conversione e convergenza tra
il diritto canonico medievale cattolico e il diritto civile luterano» (Ibid.). Il che prova
la natura sottilmente conservatrice di tutte le rivoluzioni,
nonché l’esistenza di un' importante costante della politica.
Quale? Quella che impone a ogni movimento, pena la sparizione
immediata, la trasformazione, in istituzione, come è avvenuto anche
per il protestantesimo. Ciò però non implica, da
parte nostra, l'adesione in toto alla nota tesi di
Troeltsch sul protestantesimo come "Tipo-Chiesa", tra
l'altro molto ben riformulata e discussa da Witte (pp.
45-52). Non vorremmo però imbrogliare le acque
con troppe sottigliezze critiche e far
così fuggire i possibili lettori del libro.... A dire
il vero, abbiamo privilegiato solo alcuni aspetti, quelli più interessanti
dal punto di vista sociologico, di un testo ricco e
ben costruito, che affronta con larghezza di dettagli e giusta densità tutti
gli aspetti della teologia politico-giuridica luterana: dalla dottrina dei due
regni ( e del potere terreno, conteso e "teso"
tra verticalità e orizzontalità) alla teologia evangelica del
matrimonio; dal ruolo infragiuridico della cultura biblica e del Decalogo
( tra l'altro, quest'ultimo, tema bermaniano per eccellenza) alle conseguenti
stratificazioni nei campi della pubblica istruzione e
della lotta alla povertà. Una trattazione da cui emergono le diversità tra
protestantesimo (in particolare luteranesimo) e illuminismo: due correnti
di pensiero spesso frettolosamente accomunate e respinte en
bloc. In questo senso, Diritto e protestantesimo - come del resto gli ottimi libri
di Berman - può essere un’importante occasione di riflessione sine
ira et studio.
Fase I: Lutero, il teologo, attacca, e non solo verbalmente, le istituzioni della Chiesa Cattolica, a partire dal diritto canonico; Fase II: le terre germaniche precipitano nell’anarchia; Fase III: Filippo Melantone, Johannes Eisermann Johann Oldentorp pongono le basi intellettuali per una normalizzazione sociale e politica, recuperando all’interno della dottrina giuridica luterana, il diritto canonico; Fase IV: sorge
Esemplari, al
riguardo, le salomoniche conclusioni di Witte: « L’eredità giuridica di Lutero
pertanto non dovrebbe essere indebitamente romanzata né condannata. Coloro che
difendono a spada tratta Lutero come padre della libertà, dell’uguaglianza e
della fratellanza farebbero meglio a ricordare le sue grandi simpatie per l’
élitarismo, lo statalismo e lo sciovinismo. Chi vede nei riformatori soltanto
dei belligeranti alleati della repressione dovrebbe riconoscere che erano anche
benevoli rappresentanti del welfare. Incline come era al ragionamento
dialettico, e consapevole delle intrinseche virtù e dei vizi delle conquiste
umane. Lutero medesimo sarebbe probabilmente giunto a conclusioni simili» (p.
336).
Concludendo, un libro da
non perdere. Di quelli che aiutano il lettore a coltivare il senso critico
senza mai rinunciare al buon senso. Insomma, a volare alto senza
farsi male.
Carlo Gambescia
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