martedì 4 giugno 2013


A volte ritornano: Luciano Lanna, 
 il fascista  libertario 
 

 
 A volte ritornano.  Luciano Lanna, già direttore responsabile del "Secolo d'Italia,  con l' articolo  apparso su “Segnavia” ( http://segnavi.blogspot.it/2013/06/quelli-che-con-la-destra-e-la-sinistra.html?spref=fb  ),  si  inserisce  nel dibattito in corso sulla diaspora post-aennina.  E in che modo?   Intonando il vecchio mantra fascista  del né destra né sinistra, ovviamente  condito, come piace a lui,   in salsa libertario-fliellina  con pendant maggioritario.  Tentativo,  quest'ultimo,  punito dagli elettori.   Tuttavia  nel pezzo  non si capisce se  per colpa di  Fini  o dei colonnelli di  Fli. Comunque sia,  viene  condannata   l’ alleanza  con Casini e Monti.  Per la cronaca,  Lanna, a suo tempo, quando era in atto la contro-campagna di protezione mediatica a favore  del Fini anti-Cavaliere, scrisse un libro, Il fascista libertariohttp://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/2011/02/il-libro-della-settimana-luciano-lanna.html  ), che non sfigurerebbe tra i classici del giornalismo politicamente embedded.  Quello che una volta si chiamava organico... E ancora prima agiografico.  Visto  il clima  di esaltazione  intorno all'  ex  bardo  fliellino  che  sembrava  regnare nel volume.  Ma entriamo in argomento.      
In realtà, e prescindendo dalle polemiche sulla qualità degli  uomini (Fini, colonnelli,  eccetera),   il “né destra né sinistra”(vecchio grido di guerra del movimentismo fascista e neofascista),   in una repubblica democratica e parlamentare può essere  legittimato e rappresentato  solo da una forza di centro: è un fatto sistemico, come  insegna la politologia.    Perciò sembra che Lanna non abbia capito che le truppe di  Fini, una volta abbandonato il Pdl e la destra,   a meno di non allearsi   con la sinistra,   non potevano  non confluire  inevitabilmente  nel centro democratico e moderato.  Pertanto,  nessuna «involuzione residuale, piccolo-partitica (e tardo-destrorsa)», ma percorso obbligato,  se si vuole restare nelle democrazie parlamentari, dove è buona regola che   i numeri elettorali e le idee politiche procedano sempre insieme.  Che poi gli elettori lo abbiano duramente castigato,  prova quanto fossero confuse   - a differenza di quel che sembra ritenere l’ex direttore del “Secolo” -  le  idee  dei fliellini, già prima di confluire nel centro.   Certo, è  vero che gli elettori hanno preferito altre offerte, come quelle di Grillo, Crocetta e Pisapia, esempi   impropriamente citati come positivi da Lanna.   Ma,  allora,  Fini che avrebbe dovuto fare?   Allearsi con Grillo (cosa che fa ridere)?  O imitarlo ( cosa che fa  piangere)?  Oppure presentarsi, novello Peppone, con  cappello in mano e fazzolettone rosso al collo,  davanti a Bersani, Vendola e compagnia cantante?  Magari,  per sentirsi dire di no.  Dal momento che a sinistra,  al di là delle liti, la parola identità è sacra.  
Non ci stancheremo mai di ripetere che nelle democrazie parlamentari - della Cina maoista, che sembra tanto piacere a Lanna, nulla sappiamo -  ci si conta e divide sulla base di tre spazi politici  ben definiti: destra, sinistra, centro. Le scelte pro-mercato sono di destra; quelle solidariste di sinistra; quelle pro-mercato e solidariste insieme sono di centro. Ovviamente, sui diritti civili, ci si può dividere o unire, perché sono opzioni economicamente a costo zero. Fatta salva la concessione della cittadinanza agli immigrati, dove destra e sinistra rimangono su fronti opposti.
Perciò di trasversale, sia sul piano coesivo  che divisivo,  restano solo i diritti civili.  Ben poco per varare, soprattutto in tempi di crisi,  alleanze maggioritarie e durature.  Per giunta Fini,   sui diritti civili, pur avendo sposato dopo alcune giravolte posizioni di sinistra,  in campagna elettorale  ha ammorbidito di nuovo  i toni,  particolarmente sulla cittadinanza agli immigrati.  Ondeggiamenti poco capiti e apprezzati, come è ovvio,  dagli elettori di destra e sinistra, ma neppure  da quelli di centro. Di qui, la catastrofe. Insomma, idee politiche  confuse danno sempre cattivi  numeri elettorali. 
La prossima volta - se pure sarà presente - la destra post-fliellina, post-aennina eccetera,  dovrà muoversi con assoluta linearità,  nel senso di prendere una posizione netta - di destra, sinistra, centro -senza mai deflettere strategicamente.  
La questione della  linearità  politica  rinvia alla  debolezza della proposta di Lanna, incentrata  su una specie di   monomania:  che l’eredità del fascismo, sedicente libertario, sia spendibile in democrazia.  Un’ossessione che per un verso affonda le radici nella cultura del neofascismo movimentista, in certa  misura assorbita anche dall' ex direttore  del "Secolo",  e per l’altro in qualche carezza concettuale ricevuta, non solo da Lanna, da parte dei soliti intellettuali gauchisti, da trent’anni  così  generosi  di consigli verso il neofascista figliol prodigo, ma poco inclini a uccidere il vitello grasso -  anche perché   ininfluenti - al momento del voto. Insomma, parliamo di scelte plausibili solo per chi si proponga di   demolire  la  democrazia rappresentativa: uno sport, per così dire, in voga da  un paio di secoli. Ora, nessuno nega la libertà di critica, anche demolitoria, ci mancherebbe altro. Ma -  anche ammessa e non concessa la buona fede individuale -   è  totalmente  errato  proiettare i propri desideri  sulla realtà politica, deformandola:  il fascismo è il fascismo; inutile cercare di abbellirlo.  Politicamente resta inutilizzabile, perché antidemocratico, culturalmente rimane ancora più pericoloso perché antiliberale. Altro che libertario… Il fascismo,  come del resto si autorappresentava,   è  agli antipodi  della cultura liberaldemocratica.  E questo, tra l’altro,  spiega - ma si tratta di storia vecchia - il matrimonio di convenienza, all’insegna del né destra né sinistra, di tutti coloro (rossi e neri) che odiavano e odiano il pensiero liberale.
Perciò ricapitolando,  nelle democrazie rappresentative l’unico né destra né sinistra praticabile, anche con innegabili ricadute maggioritarie, è quello perseguito dalle forze di centro. Perciò per i post-aennini,  in alternativa,  restano due possibilità:  o  il ritorno a destra, conservatrice o liberale che sia,  o il definitivo spostamento a sinistra.  
Del resto, giocare al centro richiede equilibrio, lungimiranza, capacità di mediazione: come  ricercare,  a proposito della cittadinanza agli stranieri,  una via di mezzo traius soli e ius sanguinis;  tra diritti gay e diritti della famiglia; tra mercato e solidarietà, e così via.  Se la sentono gli orfani di Fini e quel che resta della destra post-aennina di sposare la causa del centro moderato?  Ecco la tesi  che dovrebbe difendere Lanna se  fosse coerente con la causa della democrazia liberale,  invece di   civettare con l’antidemocrazia,  immaginando D’Annunzio che va a braccetto con Che Guevara, Berto Ricci con Kerouac, Mussolini con de Gaulle, e così via fino a Topolino con Gambadilegno.

Lanna che sostiene di aver letto tanto, probabilmente non ha letto o  recepito  Max Weber: liberale triste, consapevole delle leggi del politico e della profonda diversità tra Parlamento e Accademia. Non si possono servire, scriveva,  due padroni: o si è intellettuali o si  è politici.  
Per contro Lanna non è intellettuale puro, perché, seppure onorevolmente, ha sempre vissuto di politica, né politico puro, perché è sempre rimasto, ovviamente con dignità, nelle retrovie del giornalismo politico-culturale. Pertanto,  più che fascista libertario, ora che non è più direttore del "Secolo",  lo definiremmo fascista  in libertà condizionale. Dalla politica s'intende. Qualcuno però  dovrebbe, finalmente, spiegarglielo.    

Carlo Gambescia    

Nessun commento:

Posta un commento