A volte
ritornano. Luciano Lanna, già direttore responsabile del "Secolo
d'Italia, con l' articolo apparso su “Segnavia” ( http://segnavi.blogspot.it/2013/06/quelli-che-con-la-destra-e-la-sinistra.html?spref=fb ), si
inserisce nel dibattito in corso sulla diaspora post-aennina.
E in che modo? Intonando il vecchio mantra fascista del né
destra né sinistra, ovviamente condito, come piace a lui,
in salsa libertario-fliellina con pendant maggioritario.
Tentativo, quest'ultimo, punito dagli elettori.
Tuttavia nel pezzo non si capisce se per colpa
di Fini o dei colonnelli di Fli. Comunque
sia, viene condannata l’ alleanza con
Casini e Monti. Per la cronaca, Lanna, a suo tempo, quando era in
atto la contro-campagna di protezione mediatica a favore del Fini
anti-Cavaliere, scrisse un libro, Il fascista libertario( http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/2011/02/il-libro-della-settimana-luciano-lanna.html ), che non sfigurerebbe tra i classici del giornalismo
politicamente embedded. Quello che una
volta si chiamava organico... E ancora prima agiografico.
Visto il clima di esaltazione intorno all'
ex bardo fliellino che sembrava regnare nel
volume. Ma entriamo in argomento.
In realtà, e prescindendo
dalle polemiche sulla qualità degli uomini
(Fini, colonnelli, eccetera), il “né destra né
sinistra”(vecchio grido di guerra del movimentismo fascista e neofascista),
in una repubblica democratica e parlamentare può essere
legittimato e rappresentato solo da una forza di centro: è un fatto
sistemico, come insegna la politologia. Perciò sembra
che Lanna non abbia capito che le truppe di Fini, una volta abbandonato
il Pdl e la destra, a meno di non allearsi con la
sinistra, non potevano non confluire
inevitabilmente nel centro democratico e moderato. Pertanto,
nessuna «involuzione residuale, piccolo-partitica (e tardo-destrorsa)»,
ma percorso obbligato, se si vuole restare nelle democrazie
parlamentari, dove è buona regola che i numeri
elettorali e le idee politiche procedano sempre
insieme. Che poi gli elettori lo abbiano
duramente castigato, prova quanto fossero confuse -
a differenza di quel che sembra ritenere l’ex direttore del “Secolo” - le
idee dei fliellini, già prima di confluire nel
centro. Certo, è vero che gli elettori hanno
preferito altre offerte, come quelle di Grillo, Crocetta e Pisapia,
esempi impropriamente citati come positivi da Lanna. Ma, allora,
Fini che avrebbe dovuto fare? Allearsi con Grillo (cosa
che fa ridere)? O imitarlo ( cosa che fa piangere)?
Oppure presentarsi, novello Peppone, con cappello in mano e
fazzolettone rosso al collo, davanti a Bersani, Vendola e compagnia
cantante? Magari, per sentirsi dire di no. Dal momento che a
sinistra, al di là delle liti, la parola identità è sacra.
Non ci stancheremo mai di ripetere che nelle democrazie parlamentari - della Cina maoista, che sembra tanto piacere a Lanna, nulla sappiamo - ci si conta e divide sulla base di tre spazi politici ben definiti: destra, sinistra, centro. Le scelte pro-mercato sono di destra; quelle solidariste di sinistra; quelle pro-mercato e solidariste insieme sono di centro. Ovviamente, sui diritti civili, ci si può dividere o unire, perché sono opzioni economicamente a costo zero. Fatta salva la concessione della cittadinanza agli immigrati, dove destra e sinistra rimangono su fronti opposti.
Non ci stancheremo mai di ripetere che nelle democrazie parlamentari - della Cina maoista, che sembra tanto piacere a Lanna, nulla sappiamo - ci si conta e divide sulla base di tre spazi politici ben definiti: destra, sinistra, centro. Le scelte pro-mercato sono di destra; quelle solidariste di sinistra; quelle pro-mercato e solidariste insieme sono di centro. Ovviamente, sui diritti civili, ci si può dividere o unire, perché sono opzioni economicamente a costo zero. Fatta salva la concessione della cittadinanza agli immigrati, dove destra e sinistra rimangono su fronti opposti.
Perciò di
trasversale, sia sul piano coesivo che divisivo, restano solo
i diritti civili. Ben poco per varare, soprattutto in tempi di
crisi, alleanze maggioritarie e durature. Per giunta Fini,
sui diritti civili, pur avendo sposato dopo alcune giravolte
posizioni di sinistra, in campagna elettorale ha ammorbidito
di nuovo i toni, particolarmente sulla cittadinanza agli
immigrati. Ondeggiamenti poco capiti e apprezzati, come è ovvio,
dagli elettori di destra e sinistra, ma neppure da
quelli di centro. Di qui, la catastrofe. Insomma, idee politiche
confuse danno sempre cattivi numeri elettorali.
La prossima volta -
se pure sarà presente - la destra post-fliellina, post-aennina eccetera,
dovrà muoversi con assoluta linearità, nel senso di prendere una
posizione netta - di destra, sinistra, centro -senza
mai deflettere strategicamente.
La questione della
linearità politica rinvia alla debolezza della proposta
di Lanna, incentrata su una specie di
monomania: che l’eredità del fascismo, sedicente
libertario, sia spendibile in democrazia. Un’ossessione che per un
verso affonda le radici nella cultura del neofascismo movimentista,
in certa misura assorbita anche dall' ex
direttore del "Secolo", e per l’altro in qualche
carezza concettuale ricevuta, non solo da Lanna, da parte dei soliti
intellettuali gauchisti, da trent’anni così generosi di
consigli verso il neofascista figliol prodigo, ma poco inclini a uccidere
il vitello grasso - anche perché ininfluenti - al momento del
voto. Insomma, parliamo di scelte plausibili solo per chi si proponga di
demolire la democrazia rappresentativa: uno sport, per così
dire, in voga da un paio di secoli. Ora, nessuno nega la
libertà di critica, anche demolitoria, ci mancherebbe altro. Ma -
anche ammessa e non concessa la buona fede individuale - è
totalmente errato proiettare i propri desideri sulla
realtà politica, deformandola: il fascismo è il fascismo; inutile cercare
di abbellirlo. Politicamente resta inutilizzabile, perché
antidemocratico, culturalmente rimane ancora più pericoloso perché
antiliberale. Altro che libertario… Il fascismo, come del resto
si autorappresentava, è agli antipodi
della cultura liberaldemocratica. E questo, tra l’altro,
spiega - ma si tratta di storia vecchia - il matrimonio di convenienza,
all’insegna del né destra né sinistra, di tutti coloro (rossi e neri) che
odiavano e odiano il pensiero liberale.
Perciò
ricapitolando, nelle democrazie rappresentative l’unico né destra né
sinistra praticabile, anche con innegabili ricadute maggioritarie, è
quello perseguito dalle forze di centro. Perciò per i post-aennini, in alternativa,
restano due possibilità: o il ritorno a destra, conservatrice o
liberale che sia, o il definitivo spostamento a sinistra.
Del resto, giocare
al centro richiede equilibrio, lungimiranza, capacità di mediazione: come
ricercare, a proposito della cittadinanza agli stranieri, una via
di mezzo traius soli e ius sanguinis; tra diritti gay e
diritti della famiglia; tra mercato e solidarietà, e così via. Se la
sentono gli orfani di Fini e quel che resta della destra post-aennina di
sposare la causa del centro moderato? Ecco la tesi che
dovrebbe difendere Lanna se fosse coerente con la causa della
democrazia liberale, invece di civettare con
l’antidemocrazia, immaginando D’Annunzio che va a braccetto con Che
Guevara, Berto Ricci con Kerouac, Mussolini con de Gaulle, e così via fino a
Topolino con Gambadilegno.
Lanna che sostiene
di aver letto tanto, probabilmente non ha letto o recepito
Max Weber: liberale triste, consapevole delle leggi del politico e
della profonda diversità tra Parlamento e Accademia. Non si possono servire,
scriveva, due padroni: o si è intellettuali o si è politici.
Per contro Lanna non è intellettuale puro, perché, seppure onorevolmente, ha sempre vissuto di politica, né politico puro, perché è sempre rimasto, ovviamente con dignità, nelle retrovie del giornalismo politico-culturale. Pertanto, più che fascista libertario, ora che non è più direttore del "Secolo", lo definiremmo fascista in libertà condizionale. Dalla politica s'intende. Qualcuno però dovrebbe, finalmente, spiegarglielo.
Per contro Lanna non è intellettuale puro, perché, seppure onorevolmente, ha sempre vissuto di politica, né politico puro, perché è sempre rimasto, ovviamente con dignità, nelle retrovie del giornalismo politico-culturale. Pertanto, più che fascista libertario, ora che non è più direttore del "Secolo", lo definiremmo fascista in libertà condizionale. Dalla politica s'intende. Qualcuno però dovrebbe, finalmente, spiegarglielo.
Carlo Gambescia
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