lunedì 30 dicembre 2013

La posta  del Vice di donna Mestizia

Gentilissimo Vice,
che ci porterà il 2014? 
Distinti saluti,
Pino Strologo

Caro signor Strologo, 
Sia più preciso:  quel che  non ci porterà ... Anzi, che ci toglieranno...

***

Caro Vice,
Mi consiglia di seguire il discorso  di fine anno del Presidente Napolitano o di Beppe Grillo?
Cordiali saluti,
Giovanni Perplesso.


Caro signor Perplesso,
Non sapevo di Beppe Grillo. Comunque sia,  spetta a lei decidere. A proposito, sa  dirmi quando sarà il turno di Mario Balotelli? 

 ***

Esimio  Vice,
Posso porgere i  miei gioiosi auspici di un felice 2014.
Cordialmente,
Senatore Mario Monti.

Caro senatore,
Sì, ma solo se sono esentasse.

 ***
Gentile Vice,
Sono un tifoso laziale molto deluso. Che ne pensa del presidente Lotito?
Vola Lazio vola,
Sergio Olimpia

Caro signor Olimpia,

Purtroppo, di calcio so poco o niente.  Stando però all'ultima campagna acquisti della Lazio, neppure Lotito.    


sabato 28 dicembre 2013
























La partenza
di Guillame Apollinaire

E i vólti erano pallidi
e i tronchi singulti mancarono.

Neve di puri petali
Tue mani su miei baci
cadevano le  foglie autunnali.


               (trad. di Beniamino dal Fabbro)

venerdì 27 dicembre 2013

Si fa presto a dire felicità




Se per un uomo,  come mostrano alcuni millenni di letteratura morale,  è così difficile  sentirsi e dirsi felice, come è possibile scoprire quando, quanto e come  sia felice un intero popolo?  Un mega-aggregato di uomini, talvolta indecisi a tutto… O addirittura  stabilire  “graduatorie della felicità” tra  popoli  dalle tradizioni differenti?
Certo, le tecniche d’indagine sociologica hanno fatto passi  enormi.  Come del resto le conoscenze statistiche. Per non parlare della scontata espansione delle burocrazie pubbliche, autentiche  cavallette divoratrici di informazioni sulla cittadinanza: dal reddito dei nonni alle malattie dei nipotini. Ora, questi  “fabbricatori”  della  felicità (altrui) ci dicono, ad esempio, che i Colombiani sono più felici degli Italiani (  http://www.comequando.it/i-paesi-piu-felici-del-mondo/ ).  Perfetto. Ne siamo  contenti  per i primi  e dispiaciuti per i secondi.  Ma le cose stanno proprio così? Che cos’è  la felicità per gli uni e per gli altri?  Un pasto ricco e vario tutti i giorni? (spesso impresa non facile  quando  manchino  lavoro e reddito sicuro).  O l’ acquisto di  un costoso  telefonino ultimo tipo? (come accade dove invece abbondano possibilità professionali  e reddito certo).
Forse, innanzitutto, si dovrebbe   stabilire  che cosa sia la felicità?  Qui però  ritorniamo al punto di partenza… Nel  Settecento le carte di  indipendenza e delle libertà costituzionali  votate  da  parlamenti in parrucca  sancirono il diritto alla felicità,  o quantomeno il diritto alla ricerca della felicità.  Nell’Ottocento il popolo scapigliato  salì sulle barricate provando a  conquistarlo.  Nel Novecento  felicità fece prima rima con  le  uniformi  militari  e  di partito (unico),  poi con la pensione, le  ferie pagate,  l’ assistenza medica gratuita e il consumismo.  Ma non ovunque. 
Infine, nel nuovo secolo sembra che il diritto alla felicità sia diventato un dovere:  il dovere di essere felici… Di qui,  dando per scontato  che l’uomo non cerchi altro, dotte inchieste  e  conseguente  “fabbricazione” di indici e graduatorie. Che tristezza…


Carlo Gambescia  

mercoledì 25 dicembre 2013

























Natale
di Max Jacob


Lavando  il piccino la vergine santa diceva:
Occorre comprare una spugna nuova e
un catino di smalto.
- Più tardi, risponde  il bambino miracoloso,
la spugna per il fiele
il catino per il sangue!
                                    
                                         (trad. di Franco Cavallo)

martedì 24 dicembre 2013


Il libro della settimana:  Antonio Gnoli  e  Gennaro Sasso, I corrotti e gli inetti: conversazioni su Machiavelli, Bompiani, Milano 2013, pp. 196. euro 11,00. 
(Recensione  a cura  di Teodoro Klitsche de la Grange).



Ricorre in questi giorni il 500° anniversario della stesura del “Principe”. L’indifferenza con cui s’era avviata la ricorrenza si è un poco ridotta. Qualche libro, qualche evento – ma non risulta a carattere pubblico “solenne” – che comunque rompono l’assordante silenzio con cui l’Italia stava dimenticando uno dei suoi pensatori (ed opera) più letti da cinque secoli.
Tra questi è da considerare il libro-intervista di Antonio Gnoli a Gennaio Sasso, uno dei più noti studiosi di Machiavelli.
Scrive Gnoli nell’introduzione che l’analisi di Sasso “rivela, nell’acuta indagine con cui l’interrogato sollecita i testi machiavelliani, una sostanza drammatica che qui vorremmo quanto meno segnalare. Fra i tanti fili, che il lettore potrà tirare, ce ne è uno infatti che Sasso privilegia: il tema della decadenza. Machiavelli ne è interamente compreso”. In effetti Sasso sostiene che “Machiavelli è uno scrittore che ha riflettuto sempre all’interno di una situazione di decadenza. L’atmosfera mentale e al contempo la situazione reale in cui si muoveva, lo indussero a pensare che il problema centrale della politica fosse sì la costituzione di uno Stato, ma, soprattutto, la sua difesa contro la decadenza” e vi ritorna più volte sia col ritenere che “la decadenza è un fenomeno tanto difficile da diagnosticare nelle ‘cagioni’ che la producono, quanto lo è nell’apprestamento degli strumenti indispensabili alla sua risoluzione” e sia sostenendo che occorre un aggiustamento della prospettiva da cui si guarda il pensiero del segretario fiorentino, che negli anni ’40 era considerato soprattutto nel suo rapporto con l’etica e con lo Stato;  mentre secondo Sasso “Machiavelli mi rivelava un volto che si sarebbe lasciato meglio penetrare nel suo carattere se, invece che al tema dell’autonomia della politica o della sua risoluzione nell’eticità, lo si fosse messo in relazione a quello della precarietà e del rischio, nella cui prospettiva la questione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, acquistava un rilievo del tutto particolare. In tal modo, senza averne all’inizio nessuna esplicita consapevolezza, nel Segretario fiorentino scoprii la presenza di un tema alternativo a quelli elaborati dalla filosofia idealistica, che non riusciva, nelle sue formulazioni più rigorose, a concepire l’idea di decadenza”. Hegel, prosegue l’intervistato, ha” un’idea ‘servile’ del negativo, ossia orientata a prospettarlo sempre e comunque nella sua risoluzione positiva in vista di questa”; onde la decadenza è “la laboriosa gestazione del nuovo che alla fine ne sarebbe emerso nel segno della positività”. Machiavelli era assai lontano da ciò, perciò era poco utile a intenderlo “Machiavelli non è un uomo di sintesi, ma semmai di antitesi, di opposizioni, di lacerazioni le quali, posto che si ricompongano, sono sempre esposte al rischio di riprodurre se stesse al di fuori di ogni superiore garanzia sintetica. Da quel momento in poi, il tema della decadenza non mi è più uscito di mente, e si è svolto variamente”.
Tema che Sasso ha dovuto ricomporre con l’altra idea (ricorrente) di Machiavelli, ossia il rapporto tra “costanti” e”variabili” della politica. Per cui il mondo e l’uomo è sempre uguale a se stesso, tant’è che per capire la politica moderna, il segretario fiorentino ne cerca le chiavi interpretative in quello greco-romano. E si meraviglia perché tutti ammirassero opere letterarie ed artistiche degli antichi, ma non si servissero degli insegnamenti che se ne potevano trarre per l’agire politico. Ma accanto alle “costanti” del politico, vi sono le “variabili”: carattere (dei popoli e dei capi); situazioni esterne ed interne, collocazione geo-politica (e altro). Risponde Sasso: “Ai suoi occhi, eterna era la cornice, giacché il mondo non era stato creato da Dio, ma c’era da sempre. Al suo interno le generazioni vanno e vengono, ribadendo, con il loro variare, l’eternità della cornice. E nel variare che si inscrive la decadenza”.
Nell’ultimo capitolo Gnoli sollecita Sasso sulla utilizzabilità dei giudizi e dei consigli di Machiavelli nella successiva storia nazionale, fino ai nostri giorni.
Sfilano le interpretazioni del segretario fiorentino date da De Sanctis, Gramsci, e del Risorgimento come valutato da Gobetti. L’intervistato annuisce alla domanda che la differenza fondamentale tra l’Europa moderna e l’Italia è che manca da noi una concezione statuale e alla domanda successiva “Quelle concezioni statuali sappiamo che daranno vita alle prime forme di assolutismo politico”… risponde “Anche, passando poi per tutte quelle altre forme politiche che l’Europa ha conosciuto con la rivoluzione democratica. Ma in Italia tutto questo non c’è stato. Solo un  lungo sonno della politica”. La mancanza di “sintesi”, che era poi quel che Machiavelli considerava il principale difetto delle classi dirigenti italiane, è continuata “L’inclinazione di questo paese mi pare abbastanza chiara e va nella direzione del ‘tirare a campare’”. per cui “È mancato un potere che sapesse prendere delle decisioni. La politica è anche questo”.
Mentre il Principe di Machiavelli “pur agendo per le spicce, conservava una grandiosa tragicità”. Al contrario i governanti italiani hanno spesso il connotato di un’involontaria comicità, mascherata da una pomposa autoreferenzialità (che non è però carattere esclusivo della classe politica, ma s’estende anche all’aiutantato burocratico, e contagia larga parte della classe dirigente). Per cui gli italiani, dice Sasso, hanno confuso la Mandragola con il Principe: là si perseguivano interessi individuali e privatissimi, qua il Principe può essere crudele ma comunque deve comunque conseguire quello pubblico.
Chi scrive non è d’accordo con le tesi espresse nella chiusura dell’intervista: alla domanda se il “Principe possa essere una buona bussola”; per l’oggi, Sasso risponde distinguendo “l’idea suggestiva che la politica sia forza e che non bisogna essere ipocriti come coloro che vi colgono solo la persuasione e l’edificazione morale, questoIl principe ancora oggi lo insegna. Poi, è chiaro che, se la politica è forza, questa si esprime in vari modi. Ma resta un requisito necessario. La debolezza della politica italiana è che non ha mai saputo usare la forza se non in modo degenerato e mai nel senso giusto, per far vivere le istituzioni”. Perché la forza è “l’energia per costituire un ordine civile”; con ciò non si può che essere d’accordo perché un ordine che non comporti un tasso di coercizione non s’è mai visto al mondo.
Ma si dissente quando Sasso sostiene “No, se si ha presente il quadro di riferimento politico istituzionale. No, perché l’Italia di allora non era in niente simile a quella di oggi”. Nella realtà e in particolare sul concetto di decadenza così attentamente analizzato dall’intervistato (ma non solo) le idee di Machiavelli, non solo quelle esposte nel Principe - sono un ottimo paio di occhiali  per interpretare l’attualità. In particolare quella italiana del secondo dopoguerra.
Il concetto di ciclicità – e quindi di decadenza – è adoperato dal Segretario fiorentino più volte, in particolare in relazione alla successione “classica” delle forme politiche, con periodi ascendenti e periodi di decadenza, cui succede una nuova forma (aristocrazia dopo monarchia; democrazia a seguito della caduta dell’aristocrazia e così via). Le èlites di Pareto e la formula politica di Mosca erano la trasposizione ri-elaborazione in termini moderni di questa ciclicità. Ora, ad applicarla all’Italia dal1945 in poi appare evidente che gli ottimi occhiali di Machiavelli consentono di notare due circostanze fondamentali, l’una descritta nel VII capitolo del Principe “Coloro e quali solamente per fortuna diventano di privati principi, con poca fatica diventono, ma con assai si mantengono; e non hanno alcuna difficultà fra via, perché vi volano:ma tutte le difficultà nascono quando e’ sono posti”; e per l’appunto la classe dirigente dell’ultimo dopoguerra fu intronizzata “alienis armi et fortuna”, a seguito di una sconfitta militare e per volontà dei vincitori. L’altro e più generale che se la natura umana è sempre la stessa (regolarità) le circostanze cambiano (variabilità); mentre la classe politica al potere dal dopoguerra – o meglio quel non molto che rimane dei partiti ciellenisti - da un lato non ha tratto le conseguenze del momento storico successivo, cioè del crollo del comunismo che ha fatto cessare la precedente opposizione amico-nemico (e non solo), e dall’altro fa mostra di credere a una bizzarra eternizzazione (imbalsamazione) della forma politica, espressa nella Costituzione vigente, alla quale Sasso non risparmia critiche assai centrate. E che avrebbe espresso anche il Segretario fiorentino, se nostro contemporaneo.
                                                                                    
Teodoro Klitsche de la Grange
                                                                                                


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (http://www.behemoth.it/). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013)

lunedì 23 dicembre 2013

La posta di  donna Mestizia
(a cura del Vice)

Caro Vice,
Quando finirà questa crisi economica?
Cordiali saluti,
Giovanni Pensieroso


Caro  signor Pensieroso,
Ma dove vive? Ormai  la fine delle crisi è  dietro l’angolo.  Però  non  so  indicarle  quale.

***

Egregio Vice,
Sono un  militare  in pensione.  Quando torneranno a casa   i nostri fucilieri di marina  prigionieri  in  India?
Ossequi,
Colonnello Fortisio Bastiani

Egregio Colonnello,
Presto.  Non mi chieda però la data  precisa.

***

Gentile Vice,
Sono un  commerciante.  Ma  quando  ci abbasseranno le tasse?
Qui non si lavora più.
Distinti saluti
Mario Negozietto.

Caro Signor  Negozietto,
Forse  nel 2104.  No, nel  2015.  O 2016.  A dire il vero si parla  anche  del  2017. Però,   non escluderei che nel  2018... Anche se per alcuni il 2019...  Diciamo che è solo questione di tempo. 

***

Gentilissimo  Vice,
Oggi  risponde ai lettori  in modo  vago. O sbaglio?
Cordiali saluti,
Enrico Attento.

Caro signor Attento,
Io vago?  Mi scusi, ma Lei  ha mai  assistito a una conferenza stampa di  Enrico Letta o di Fabrizio Saccomanni? 
                     
***

Caro Vice.

Capisco. Allora, però, si è   dimenticato di  Angelino Alfano...
A presto,
Enrico Attento


Caro Signor Attento,
Lei è attento di nome e di fatto. Riguardando le  foto scattate durante l'ultima conferenza di Enrico Letta, mi sono accorto che dal taschino della giacca del Presidente del Consiglio  fa  capolino, a mo' di pochette, l'ex delfino di Berlusconi.  Grazie.   

sabato 21 dicembre 2013

Frammenti poesia

Salutando un amico
di Ezra Pound

A nord delle  mura azzurro monte,
e bianco fiume che gli gira intorno;
qui dobbiamo lasciarci
e andar per miglia e miglia d’erbe secche.
La mente, bianca nuvola, ondeggia,
tramonto come l’addio di vecchi amici
che da lungi si piegan sulle mani congiunte.

I cavalli nitriscono l’un l’altro
                                     mentre partiamo.

                                 
  (trad. di Luigi Berti)

venerdì 20 dicembre 2013


La polemica sulle slot machine
Lo "Stato Tartufo"  






E'   ridicola e  tartufesca la  polemica  sull'aiuto indiretto ( minori tagli e più fondi)  ai  comuni moralmente "meno virtuosi":  quelli  che  non emanano norme restrittive sul  gioco d’azzardo. 
Piccola premessa. Lo stato non deve mai  auto-attribuirsi o  attribuire  ad altri soggetti  patenti di moralità o immoralità. Le pubbliche  istituzioni devono occuparsi di altre cose, molto più concrete: difesa, politica estera, sicurezza pubblica.  E  non  legiferare sulla vita privata dei cittadini,  cercando di misurarne la virtù. Con i propri denari, ognuno di noi  è  libero di fare ciò che vuole: giocare d’azzardo, comprare cibo  per i poveri, andare in crociera, donarli alla Chiesa, garantire un elevato tenore di  vita a una giovane  e bella amichetta eccetera,  eccetera.
Invece in Italia siamo al punto che lo stato, come nel caso delle slot machine,  si comporta  in modo ipocrita, da vero Tartuffe, il celebre personaggio di Molière :  per un verso  ritiene  giusto  contrastarle, “come impone il buon Dio”,  per l’altro,  poiché la  burocrazia  statale è  un'  avida divoratrice  di risorse, per sopravvivere non può fare a meno di  creare, favorire e colpire fiscalmente qualsiasi nuovo cespite. 
Il meccanismo è quello del prima vieta,  poi autorizza,  infine tassa:  un'attività  fa male, perché così ritiene   “la Morale" di  "Papà  Stato”?  Allora prima la si vieta,  salvo poi  autorizzarla. E naturalmente dopo aver tenuto sulla corda gli investitori...   Dulcis in fundo, si  introducono  tasse proibitive e, cosa più importante,  il solito sistema degli incentivi/disincentivi…  Sìcché  abbiamo da un lato un meccanismo di aiuti e tagli ai comuni che, di volta in volta,  promettono o meno di  impegnarsi  nel contenimento di un  nascente mercato,  dall’altro la necessità strutturale  dello stato di favorire lo sviluppo delle sale da gioco  per accrescere sempre più le entrate.  Ora, la norma del decreto contestato, va nel senso di far aumentare gli introiti fiscali  perché impone il taglio dei trasferimenti ai comuni  che  pongono vincoli al mercato delle slot machine.  Il che ha subito provocato l’insurrezione della composita tribù dei moralisti di Italia: austeri  ex comunisti, socialisti  moralizzatori, sagrestani  di destra e  di  sinistra, vecchi e nuovi sostenitori dello stato etico.
La vera questione, tuttavia,  non  è  premiare o penalizzare i comuni, innescando il circuito vizioso dei tagli e degli aiuti dello "Stato Provvidenza",  ma di lasciare che l’economia delle slot machine si sviluppi liberamente, permettendo ai singoli di esercitare  libertà di scelta e alle  forze dell’ordine  il compito di  reprimere, se necessario, gli eventuali  reati commessi.   
E le cosiddette “ludopatie”?  Da non specialisti non entriamo nel merito della sindrome.  Di sicuro, dal punto di vista sociologico,  se “prontualizzata” dalla sanità pubblica,  la "ludopatia",  rischia di diventare un altro strumento  di  oppressione sociale e fiscale  nelle mani di uno  Stato Burocrate, Terapeuta e Tartufo, abituato a trattare i cittadini come minori piagnucolosi,  capricciosi e   naturalmente  bisognosi di aiuto e correzione.
E allora i  giocatori incalliti che si rovinano? E le famiglie che subiscono i danni?  È la libertà, bellezza… Qualche volta ci si può fare anche male.   E si può  fare del  male anche gli altri.   


 Carlo Gambescia  

giovedì 19 dicembre 2013


Il libro della settimana: Raymond Aron, realista politico. Del Maquiavelismo a la crítica de la las religiones seculares, Sequitur 2013, pp. 88,  Euro, 12,00.




Jerónimo  Molina   rischia  di viziare  i suoi abituali  lettori: due libri a breve distanza l’uno dall’ altro ed entrambi di notevole qualità.  Del primo, Nada en las manos, (Los Papeles del Sitio)  abbiamo già riferito(http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/2013/10/il-libro-delle-settimana-molina-nada.html), del secondo,  Raymond Aron, realista politico. Del Maquiavelismo a la crítica de las  religiones seculares (Sequitur)  ci occuperemo oggi.
Non è facile dire qualcosa di nuovo su Raymond Aron (1905-1983), scienziato sociale in grado di  ben figurare accanto a  nomi storici della cultura politica e sociologica francese come  Montesquieu,  Comte, Tocqueville, Durkheim. Di conseguenza,  la bibliografia su di lui,  seppure diseguale, è sterminata. Tuttavia Molina, professore associato di Politica sociale presso l’Università di Murcia,  in cinque snelli capitoli consegue due fondamentali obiettivi: il primo, di offrire una vivace panoramica del pensiero aroniano;  il secondo, di individuare nel realismo politico il punto di raccordo  dei diversi filoni della sua vasta e ricca opera: dalla filosofia della storia alla sociologia  della modernità e degli intellettuali, dalla sistematica dei regimi politici alla geopolitica della guerra.  Un sano realismo, quello di Aron,  lontano dal cinismo come dall'idealismo,  attento sia  agli insegnamenti della scienza, sia alla lezione della storia, senza però mai  cadere nelle trappole dello scientismo e dello storicismo assoluto. La cifra di Aron  è rappresentata dall'originalità stessa della sua opera, finora, tutto sommato,  difficile da classificare secondo i  rigidi  canoni dell'Accademia. Da ciò consegue l'importanza della chiave di lettura  fornita da Molina.     
Forse può tornare utile come traccia  citare ( e seguire)  per esteso l’Indice del libro: 1.Primado de lo Politico; 2.Ideología; 3.Maquiavelismo; 4.Realismo politico; 5.Religiones secolares.
In Aron, il Primato del politico,  rinvia alle costanti del politico: ciò che storicamente si ripete nel comportamento politico degli uomini; l’Ideologia, invece rimanda al momento della legittimazione, o se si preferisce della giustificazione dell’azione politica, altro fenomeno che si ripete regolarmente nella storia; il Machiavellismo,oltre che al Machiavelli teorico, rinvia al momento dell’autonomia del politico da qualsiasi schiavitù ideologica.
Questi tre fattori  - come spiega Molina -  vanno a fortificare l’ossatura del Realismo politico aroniano, ossia di un approccio alla politica come si  manifesta (la verità effettuale) e  non come deve o dovrebbe manifestarsi (la verità ideale). In quest’ultimo caso, quando si cede  all' idealismo,  si rischia sempre di precipitare nei vorticosi abissi dell' utopia, come  prova la parabola delle  Religioni secolari, incarnatesi nei  totalitarismi novecenteschi, fenomeni politici  fondati sul transfert  (politico e collettivo)  della salvezza dall'al di là nell'al di qua. 
Di qui,  due   problemi molto sentiti da Aron: da un lato, quello della necessaria indipendenza di ogni studioso dalla politica, dall'altro, quello non sempre eludibile del rapporto con il potere. Problemi che si intersecano, perché  il  condizionamento della riflessione politica resta al tempo stesso  fattore analitico  e  fattore condizionante:  nodo  solubile, forse solo storicamente,   dal momento che ogni verità è figlia del suo tempo... 
Si dirà, ben magra consolazione.  Tuttavia,  fra l'accettazione e il rifiuto di quella che Ortega chiama la "circostanza",  resta aperta la strada dello studio e dell'analisi storica e sociologica del  tempo in cui si vive, accettando di  passare tra due file di spade sguainate, taglienti  e  talvolta con la punta intinta nel veleno.  E di ciò, come mostra Molina,  Aron era perfettamente consapevole. Di qui,  la tristezza che sembra avvolgere ogni pensatore politico  realista da Kautilya in poi.  E che, come rilevato,  è possibile ritrovare nell’opera di Raymond Aron.  Una condizione, anche esistenziale,  che  Jerónimo  Molina  tratteggia con eleganza, finezza psicologia  e  vasta conoscenza della materia. 
Nonostante, la  piccola mole,  nel libro  sono affrontati  numerosi aspetti del pensiero aroniano. Ne ricordiamo solo due: il suo liberalismo politico (non economicista); l’apprezzamento della storia  come laboratorio politico ex post e, quindi,   non quale teatro di utopici esperimenti politici ex ante. Notevoli,  infine,  le pagine dedicate al  confronto fra Maritain e Aron sul ruolo del momento machiavellico in politica: contrastato dal  primo per regioni religiose e dottrinarie, accettato  dal secondo in nome dell'avalutatività scientifica, del sapere storico e, ovviamente, del realismo politico: senza però mai esagerare.
In questo senso andrebbe approfondita  la pietas politica aroniana - probabilmente di matrice pre-cristiana - per la natura umana come realmente è e non come viene artificiosamente concepita da riformatori e utopisti post-cristiani. E per due ragioni: la prima, per stratificare meglio  la fisionomia intellettuale di Aron; la seconda, per allargare lo spettro cognitivo del realismo, di cui la  pietas , come antica accettazione del ciclo politico,  sembra essere un  elemento concettuale e umano  non secondario.  
Concludendo, siamo dinanzi  a un altro eccellente volume. Che rappresenta  un  nuovo tassello verso la costruzione di quel  libro sul realismo politico che il  professor Molina  non potrà non scrivere.  Non può sottrarsi. Anzi,  non deve. E crediamo di  parlare anche  a nome dei lettori.

 Carlo Gambescia  

mercoledì 18 dicembre 2013


Papa Francesco, Obama,  i gay  
e la “pesantezza”  del  politico






“The Advocate” la più autorevole   rivista della comunità gay statunitense offre oggi  due elementi di riflessione.
Il  primo  riguarda  la copertina,  dedicata a Papa Francesco, di cui si dice di  apprezzare l’ormai  famoso «Se qualcuno è gay e cerca il Signore in buona fede, chi sono io per giudicare?».  Di qui, la scelta di eleggerlo a “ Persona  dell’anno 2013”  (http://www.advocate.com/year-review/2013/12/16/advocates-person-year-pope-francis ).
Il secondo, verte  sulla notizia, cui la rivista dà  risalto,  che il presidente Obama ha deciso di farsi rappresentare ai  giochi  invernali di Soci  da Billie Jean King, icona  del movimento gay. E tutti conosciamo bene l’avversione della Russia putiniana verso dell’omosessualità. Di qui, il carattere di sfida politica della scelta (  http://www.advocate.com/politics/2013/12/17/obama-biden-wont-be-olympics  ).
Cosa dire?  Che i tempi sono decisamente cambiati…  La comunità gay  -  indubbio segno di potere  -  detta, o quantomeno indica,  la linea  "politica".  Per ora negli Stati Uniti, ma il processo sembra in costante evoluzione. Riassumendo -  e non è poco -   abbiamo  un Presidente americano che in qualche misura orienta la politica estera sui diritti gay ,  nonché  un Papa che, dalla Cattedra romana,  si rifiuta di  giudicare.
È un bene? È un male? Non spetta a noi dare giudizi.  Naturalmente, benché sia così  banale  ricordarlo, i contrari, scorgono nella scalata gay  un segno di decadenza,  mentre  i favorevoli  una vittoria del progresso. 
Di sicuro, portando alle estreme conseguenze (logiche, storiche e sociologiche)  la dichiarazione di Francesco  e  la  scelta  di Obama,  la Chiesa  un giorno potrebbe avere un  Papa Gay  pronto a scomunicare gli  “omofobi” e  gli Stati Uniti un presidente gay  disposto, per le stesse ragioni,  a entrare in  guerra... 
Qualcosa di impensabile  fino a trent'anni fa.  Tuttavia, come giustamente osserva Tocqueville, « la storia è una galleria di quadri, dove ci sono pochi originali e molte copie».  Ciò significa, che anche Papi e Presidenti gay, non  potrebbero  restare  indenni dalla  logica politica  del conflitto e della guerra: da quella che Julien Freund, chiamava la “pesantezza” del politico. Insomma,  si  possono cambiare le “etichette” sugli  uomini - pardon, su  uomini, donne,
 lesbiche, gay, bisessuali e transgender -  ma non le costanti del “politico”. Anzi del “metapolitico"...  
Purtroppo,  la moltiplicazione dei diritti - o come si dice il  "più diritti  per tutti" -   non è  promessa o sinonimo di  pace sulla terra.      
 Carlo Gambescia  

martedì 17 dicembre 2013

I rottami della destra  
post-missina e  post-aennina




Se abbiamo capito bene  il simbolo di An  è finito nelle mani di Fratelli d’Italia.  Il contrassegno politico, come si legge,  potrà essere usato alle prossime elezioni europee. 
Parliamo di un micropartito  aggrappato al due-tre per cento, che difende  posizioni  redistributive   salvo che sui diritti civili e sull’immigrazione.  Intorno a Fratelli d’Italia (e al  business della Fondazione An) gravitano, spesso impattando, i rottami della destra post-missina e post-aennina: un numero imprecisato di partitini, spesso singolarmente guidati da  ex colonnelli (in senso politico) o da   ex  militanti (in genere vecchi quadri),  tutti, grosso modo, su posizioni  stataliste.   
Attualmente, il minimo comune denominatore politico è rappresentato dalla  critica verso l’ “Europa dei banchieri”, ovviamente modulata  in base alla distanza dal potere: passata, presente, reale e potenziale. Ad esempio, l’antieuropeismo di Fratelli d’’Italia è più soft di quello della Destra di Storace e lontano anni luce dalle posizioni movimentiste di CasaPound.
Per tutte queste forze sparse e litigiose,  le prossime europee rappresenteranno un importante  banco di prova. E cavalcando, come stanno facendo,  l’onda montante dell’antieuropeismo   il  rischio di vederle entrare  nel Parlamento di Strasburgo non è remoto.
Non va infatti dimenticato che questi partiti incarnano  una cultura politica statocentrica, redistributrice e soprattutto viziata da nodi  ideologici mai sciolti.  Basta fare un giro in  Rete o leggere certi articoli e libri,  per scoprire come venti anni di “immersione” nelle acque del  centro-destra, non abbiano favorito alcun mutamento culturale:  i  riferimenti  al romanticismo fascista continuano a farla da padrone.  Il che già  spiega a sufficienza (per non infierire...) la sostanziale avversione nei riguardi della democrazia parlamentare e dell’ economia di mercato.
Si tratta di una vecchia contraddizione post 1945, legata allo storico passaggio dalla dittatura alla libertà, mai accettato: nel mondo culturale  missino, post-missino e post-aennino la democrazia rappresentativa e l’economia aperta sono sempre state viste  come  puri  mezzi e  mai  condivise  quale orizzonte di  valori e finalità.
Naturalmente i suoi dirigenti,   lungo una scala che va dall’apprezzamento al  rifiuto formale del fascismo, continuano tuttora a giocare su  due piani,  tentando di galleggiare tra i rottami ideologici  della  subcultura di appartenenza e al tempo stesso di non perdere politicamente rappresentatività parlamentare.  
In questo modo, però, si  fabbricano  illusioni  e  le si  svende sul mercato dell'opportunismo politico. Scontentando tutti, sostenitori interni e avversari esterni.   Perché, facendo così,  non si resta totalmente fascisti, né si diviene sinceramente democratici.  Sicché, parliamo, alla fin fine, di forze politiche assolutamente  inutili.  In poche parole,  rottami  ammucchiati su altri rottami rugginosi...  Tuttavia - ecco il rischio -  anche i rottami "impilati", quando si  sfaldano, perché ossidati e  marci  possono  provocare gravissimi  danni...  E nel caso specifico, per uscire dal linguaggio figurato,  non parliamo di danni  alle cose,  ma alla stabilità del sistema democratico.                
Carlo Gambescia  - 

lunedì 16 dicembre 2013

La posta di donna Letizia
(a cura del Vice)

Egregio  Signor Vice,
Ho comprato un forcone. Ho fatto bene?
Distinti saluti.
Italiano Liquido

Caro Signor  Liquido,
Dipende. Se  ha  pagato la nuova  ISUFO ( Imposta SUi  FOrconi) introdotta dal  Governo Letta-Alfano,   allora  è  in regola. In caso contrario, se la dovrà vedere con Equitalia. 
Gentili saluti.
Vice 

***

Oh Vice! 
che te  ttu  ponzi  di Renzi.
Rificolona Fiorentina

Cara Rificolona,
Firenze,  mi fa tornare  in mente un famoso ritornello:

"Fiorin fiorello
l'amore è  bello
vicino al  Renzi
mi fa sognare
mi fa tremare 
purché non  ponzi"…

***
Egregio Vice,
Ha letto "Libero"?   L'Assemblea  della Fondazione An  è finita  a schiaffi, calci e vaffa.
Camerateschi saluti.
Italo In Panne

Gentile  Signor In Panne,
Che vuole farci....  Storace ha dichiarato che vuole "una  destra dal  sapore antico". Eccolo accontentato.
I miei rispetti.
Vice

***
Oh Vice!
Son’io di novo,  Rificolona.
Ma i'che tu chiàcchieri?

Cara  Rificolona,
Non ha  ancora  capito quel che penso di Renzi? Chiarisco subito:

"Fior  di   verbena 
se  invece  ponza
ogni sua parola
è una  pena"…


***

Caro Vice,
Durante di funerali di Mandela,  Obama ha  corteggiato la bellissima Prima Ministra danese. Che ne pensa? 
Cordiali saluti.
Osservatore Internazionale.

Gentile Signor Internazionale,
Dopo quello che è successo in Italia, credo sia  meglio corteggiare  una Prima Ministra danese  autentica che  una falsa  nipotina di presidente egiziano.
Ossequi.
Vice