Il libro della settimana: Antonio Gnoli e Gennaro
Sasso, I corrotti e gli
inetti: conversazioni su Machiavelli, Bompiani, Milano 2013, pp. 196. euro
11,00.
(Recensione a cura di Teodoro Klitsche
de la Grange).
Ricorre in questi
giorni il 500° anniversario della stesura del “Principe”. L’indifferenza con
cui s’era avviata la ricorrenza si è un poco ridotta. Qualche libro, qualche
evento – ma non risulta a carattere pubblico “solenne” – che comunque rompono
l’assordante silenzio con cui l’Italia stava dimenticando uno dei suoi
pensatori (ed opera) più letti da cinque secoli.
Tra questi è da
considerare il libro-intervista di Antonio Gnoli a Gennaio Sasso, uno dei più
noti studiosi di Machiavelli.
Scrive Gnoli
nell’introduzione che l’analisi di Sasso “rivela, nell’acuta indagine con cui
l’interrogato sollecita i testi machiavelliani, una sostanza drammatica che qui
vorremmo quanto meno segnalare. Fra i tanti fili, che il lettore potrà tirare,
ce ne è uno infatti che Sasso privilegia: il tema della decadenza. Machiavelli
ne è interamente compreso”. In effetti Sasso sostiene che “Machiavelli è uno
scrittore che ha riflettuto sempre all’interno di una situazione di decadenza.
L’atmosfera mentale e al contempo la situazione reale in cui si muoveva, lo
indussero a pensare che il problema centrale della politica fosse sì la
costituzione di uno Stato, ma, soprattutto, la sua difesa contro la decadenza”
e vi ritorna più volte sia col ritenere che “la decadenza è un fenomeno tanto
difficile da diagnosticare nelle ‘cagioni’ che la producono, quanto lo è
nell’apprestamento degli strumenti indispensabili alla sua risoluzione” e sia
sostenendo che occorre un aggiustamento della prospettiva da cui si guarda il
pensiero del segretario fiorentino, che negli anni ’40 era considerato
soprattutto nel suo rapporto con l’etica e con lo Stato; mentre secondo
Sasso “Machiavelli mi rivelava un volto che si sarebbe lasciato meglio
penetrare nel suo carattere se, invece che al tema dell’autonomia della
politica o della sua risoluzione nell’eticità, lo si fosse messo in relazione a
quello della precarietà e del rischio, nella cui prospettiva la questione del
bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, acquistava un rilievo del tutto
particolare. In tal modo, senza averne all’inizio nessuna esplicita
consapevolezza, nel Segretario fiorentino scoprii la presenza di un tema
alternativo a quelli elaborati dalla filosofia idealistica, che non riusciva,
nelle sue formulazioni più rigorose, a concepire l’idea di decadenza”. Hegel,
prosegue l’intervistato, ha” un’idea ‘servile’ del negativo, ossia orientata a
prospettarlo sempre e comunque nella sua risoluzione positiva in vista di
questa”; onde la decadenza è “la laboriosa gestazione del nuovo che alla fine
ne sarebbe emerso nel segno della positività”. Machiavelli era assai lontano da
ciò, perciò era poco utile a intenderlo “Machiavelli non è un uomo di sintesi,
ma semmai di antitesi, di opposizioni, di lacerazioni le quali, posto che si
ricompongano, sono sempre esposte al rischio di riprodurre se stesse al di
fuori di ogni superiore garanzia sintetica. Da quel momento in poi, il tema
della decadenza non mi è più uscito di mente, e si è svolto variamente”.
Tema che Sasso ha
dovuto ricomporre con l’altra idea (ricorrente) di Machiavelli, ossia il
rapporto tra “costanti” e”variabili” della politica. Per cui il mondo e l’uomo
è sempre uguale a se stesso, tant’è che per capire la politica moderna, il
segretario fiorentino ne cerca le chiavi interpretative in quello greco-romano.
E si meraviglia perché tutti ammirassero opere letterarie ed artistiche degli
antichi, ma non si servissero degli insegnamenti che se ne potevano trarre per
l’agire politico. Ma accanto alle “costanti” del politico, vi sono le
“variabili”: carattere (dei popoli e dei capi); situazioni esterne ed interne,
collocazione geo-politica (e altro). Risponde Sasso: “Ai suoi occhi, eterna era
la cornice, giacché il mondo non era stato creato da Dio, ma c’era da sempre.
Al suo interno le generazioni vanno e vengono, ribadendo, con il loro variare,
l’eternità della cornice. E nel variare che si inscrive la decadenza”.
Nell’ultimo capitolo
Gnoli sollecita Sasso sulla utilizzabilità dei giudizi e dei consigli di
Machiavelli nella successiva storia nazionale, fino ai nostri giorni.
Sfilano le
interpretazioni del segretario fiorentino date da De Sanctis, Gramsci, e del
Risorgimento come valutato da Gobetti. L’intervistato annuisce alla domanda che
la differenza fondamentale tra l’Europa moderna e l’Italia è che manca da noi
una concezione statuale e alla domanda successiva “Quelle concezioni statuali
sappiamo che daranno vita alle prime forme di assolutismo politico”… risponde
“Anche, passando poi per tutte quelle altre forme politiche che l’Europa ha
conosciuto con la rivoluzione democratica. Ma in Italia tutto questo non c’è
stato. Solo un lungo sonno della politica”. La mancanza di “sintesi”, che
era poi quel che Machiavelli considerava il principale difetto delle classi
dirigenti italiane, è continuata “L’inclinazione di questo paese mi pare
abbastanza chiara e va nella direzione del ‘tirare a campare’”. per cui “È
mancato un potere che sapesse prendere delle decisioni. La politica è anche
questo”.
Mentre il Principe
di Machiavelli “pur agendo per le spicce, conservava una grandiosa tragicità”.
Al contrario i governanti italiani hanno spesso il connotato di un’involontaria
comicità, mascherata da una pomposa autoreferenzialità (che non è però
carattere esclusivo della classe politica, ma s’estende anche all’aiutantato
burocratico, e contagia larga parte della classe dirigente).
Per cui gli italiani, dice Sasso, hanno confuso la Mandragola con il
Principe: là si perseguivano interessi individuali e privatissimi, qua il
Principe può essere crudele ma comunque deve comunque conseguire quello
pubblico.
Chi scrive non è
d’accordo con le tesi espresse nella chiusura dell’intervista: alla domanda se
il “Principe possa essere una buona bussola”; per l’oggi, Sasso risponde
distinguendo “l’idea suggestiva che la politica sia forza e che non bisogna
essere ipocriti come coloro che vi colgono solo la persuasione e l’edificazione
morale, questoIl principe ancora
oggi lo insegna. Poi, è chiaro che, se la politica è forza, questa si esprime
in vari modi. Ma resta un requisito necessario. La debolezza della politica
italiana è che non ha mai saputo usare la forza se non in modo degenerato e mai
nel senso giusto, per far vivere le istituzioni”. Perché la forza è “l’energia
per costituire un ordine civile”; con ciò non si può che essere d’accordo
perché un ordine che non comporti un tasso di coercizione non s’è mai visto al mondo.
Ma si dissente
quando Sasso sostiene “No, se si ha presente il quadro di riferimento politico
istituzionale. No, perché l’Italia di allora non era in niente simile a quella
di oggi”. Nella realtà e in particolare sul concetto di decadenza così
attentamente analizzato dall’intervistato (ma non solo) le idee di Machiavelli,
non solo quelle esposte nel Principe - sono un ottimo paio di occhiali
per interpretare l’attualità. In particolare quella italiana del secondo
dopoguerra.
Il concetto di
ciclicità – e quindi di decadenza – è adoperato dal Segretario fiorentino più
volte, in particolare in relazione alla successione “classica” delle forme
politiche, con periodi ascendenti e periodi di decadenza, cui succede una nuova
forma (aristocrazia dopo monarchia; democrazia a seguito della caduta dell’aristocrazia
e così via). Le èlites di Pareto e la formula politica di Mosca erano la trasposizione
ri-elaborazione in termini moderni di questa ciclicità. Ora, ad applicarla
all’Italia dal1945 in poi appare
evidente che gli ottimi occhiali di Machiavelli consentono di notare due
circostanze fondamentali, l’una descritta nel VII capitolo del Principe “Coloro
e quali solamente per fortuna diventano di privati principi, con poca fatica diventono, ma con assai
si mantengono; e non hanno alcuna difficultà fra via, perché vi volano:ma
tutte le difficultà nascono quando e’ sono posti”; e per l’appunto la classe
dirigente dell’ultimo dopoguerra fu intronizzata “alienis armi et fortuna”,
a seguito di una sconfitta militare e per volontà dei vincitori. L’altro e più generale
che se la natura umana è sempre la stessa (regolarità) le circostanze
cambiano (variabilità); mentre la classe politica al potere dal
dopoguerra – o meglio quel non molto che rimane dei partiti ciellenisti - da un
lato non ha tratto le conseguenze del momento storico successivo, cioè del
crollo del comunismo che ha fatto cessare la precedente opposizione
amico-nemico (e non solo), e dall’altro fa mostra di credere a una bizzarra
eternizzazione (imbalsamazione) della forma politica, espressa nella Costituzione
vigente, alla quale Sasso non risparmia critiche assai centrate. E che avrebbe
espresso anche il Segretario fiorentino, se nostro contemporaneo.
Teodoro Klitsche de la Grange
Teodoro Klitsche
de la Grange è avvocato, giurista, direttore del
trimestrale di cultura politica “Behemoth" (http://www.behemoth.it/).
Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il
salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia
della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009), Funzionarismo (2013)