Il libro della settimana: Spartaco Pupo, Robert Nisbet e il conservatorismo
sociale, Mimesis, Milano 2012, pp. 186, euro 16,00.
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La lettura dell’ eccellente libro di Spartaco Pupo, docente
di Storia delle dottrine politiche all’Università della Calabria, Robert Nisbet
e il conservatorismo sociale (Mimesis), ha dissolto, trasformandolo però
in certezza, un nostro antico dubbio sul pensiero di uno dei più
interessanti sociologi conservatori americani ( *). Ma procediamo per gradi.
In cinque densi capitoli Pupo offre ai lettori un ritratto
pressoché completo di Robert Nisbet (1913-1996). Sintetizzando: nel Primo
(“Nisbet nella storia del conservatorismo americano”), lo si inquadra tra i
conservatori tradizionalisti nel senso anglo-sassone del termine (Burke e
dintorni), ma evidenziando giustamente l' attenzione di Nisbet
verso le forme di relazione sociale che innervano e
fortificano il conservatorismo: status, coesione,
funzione, norma, rituale, simbolo onore, fedeltà gerarchia ( sono iniezioni di
vitamine sociologiche che, per inciso, rendono il pensiero
nisbetiano più ricco di quello
di Russell Kirk e Michael Oakeshott); nel Secondo (“Per un
comunitarismo realista”), si illustra, e bene, la sua diffidenza nel riguardi
dello stato e quindi anche verso certo pensiero
communitarian a sfondo statalista (Taylor, Etzioni, Walzer, Sandel); nel
Terzo (“ Dallo “stato totale” di Rousseau al “pluralismo liberale” di
Lamennais”), si tratteggia - procediamo per sciabolate - la serrata
critica di Nisbet al monismo panpolitico di Hobbes e Rousseau in nome di
un pluralismo sociale di stampo liberale; nel Quarto (“Progresso: fine di una
metafora”), si assiste alla argomentata demolizione dell’idea di
progresso, cui si oppone l’idea di continuità sociale; nel Quinto (“L’essenza
sociale del conservatorismo”), si spiega giustamente come il
conservatorismo sia per Nisbet una specie di via mediana tra
individualismo e statalismo. Detto altrimenti: un riformismo
conservatore capace d recepire creativamente le istanze del
socialismo pluralista. E dunque un pensiero in grado di tenersi
ragionevolmente alla larga sia dai libertarians che dai liberals. Chiuso
però alle istanze del politico. Il che non ne fa un "liberale
triste" alla Raymond Aron. E qui veniamo al dubbio
cui accennavamo.
L’accurato libro di Pupo, fin dal titolo, prova,
come sospettavamo, che il conservatorismo di Nisbet è essenzialmente
sociologico. Perché poggia su una visione pluralista del sociale,
dove la tradizione è frutto di una reale socialità
autoriproduttiva dei legami tra le persone (in particolare familiari,
amicali, professionali e locali). Una socialità che si riproduce
plasticamente attraverso la dinamica dei gruppi sociali reali.
Di riflesso, per Nisbet, come in ogni buon pluralista, lo stato,
non è che un gruppo sociale tra gli altri gruppi sociali e tale deve
restare. Il che però implica una visione patologizzante,
del politico sia nella sua transeunte incarnazione del moderno
stato prevaricatore, sia come momento transtorico
della decisione e del conflitto, momento a nostro
avviso insopprimibile e ben distinto dalla forma
istituzionale. Secondo Nisbet nella
società pluralista e funzionale, come in un' orchestra,
il vero laissez faire musicale non è
quello praticato da singoli musicisti, bensì quello posto in
essere dai vari gruppi strumentali, capaci di autodirigersi,
lungo le linee relazionali di un armonioso crescendo sociale-musicale. Purtroppo,
la sociologia nisbetiana, per restare in metafora, non sembra
prevedere direttori d'orchestra né solisti. Detto altrimenti:
Nisbet, da sociologo pluralista-funzionalista è
naturalmente portato a sottovalutare le costanti
del politico. Se si vuole, di Tocqueville (come del resto di Lamennais, ma
anche di Durkheim..), Nisbet recepisce l'analisi sociologica non
quella politica. Il che, ripetiamo, fa la differenza con Aron (e
anche con altri "liberali tristi", perché
"maliconicamente" consapevoli delle dure leggi del
politico). Ed è inutile qui riportare la severa ma
fondata critica schmittiana all’ indecisionismo della scuola pluralista e
socialista-liberale. Si tratta di un rilievo che può essere esteso ad altri
sociologi statunitensi, pur di grandissimo valore, come Sorokin
e Parsons. Del resto nessuno è perfetto. Cosicché Nisbet, studioso
comunque originale, è in ottima compagnia...
Insomma, come dubitavamo, il
realismo nisbetiano è sociologico, non politico. Si dirà:
bella scoperta! Dal momento che si tratta di un sociologo
di professione... Giusto. Tuttavia l'uso del realismo
sociologico è giustificato ( e persino lodevole) quando uno
studioso non desideri uscire dal seminato della sociologia, mentre
non è più tale quando si cerchi, come Nisbet, di edificare una
teoria del conservatorismo, con inevitabili risvolti politici:
quando si va a caccia di "elefanti politici" il fioretto
sociologico non basta, servono i grandi calibri delle "costanti
politiche" o "metapolitiche".
Concludendo, il libro di Pupo ha trasformato in certezza
il nostro dubbio. Probabilmente lo scopo del suo ottimo
lavoro non era esattamente questo, ma
di approfondire e conferire il giusto rilievo all’opera
di un sociologo importante, poco conosciuto in Italia. Quindi lo ringraziamo
due volte.
Carlo Gambescia
(*) Ci siamo già occupati di Nisbet qui: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.it/2006/07/profili30-robert-alexander-nisbet.html
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