La recensione
dell'amico Teodoro Klitsche de la Grange affronta un tema scottante, per
dirla in giornalistese. Quale? Che in Italia lo
"Stato di Diritto" sembra ormai diventato un
oggetto misterioso... Anzi, si potrebbe parlare
di "Stato Giudiziario". I giudici chiudono
fabbriche, decidono chi assumere, spiegano la Costituzione
al Presidente della Repubblica, intervengono
ai congressi dei partiti E se sbagliano, rovinando la
vita di un comune mortale, non vogliono pagare di tasca
propria come tutti gli altri cittadini.
Il libro della settimana: Guido Vitiello, Non giudicate,
Liberilibri 2012, pp. 104, Euro 14,00 (recensione a cura di Teodoro Klitsche de la Grange )
Libri sul garantismo e sullo scarso apprezzamento che spesso
riscuote nelle aule giudiziarie, ne sono stati scritti tanti (una buona
bibliografia la si trova anche in questo volume); quello di Vitiello è
particolare perché sostanzialmente consiste in quattro interviste a veterani
dello Stato di diritto: Mellini, Marafioti, Carnevale e Di Federico.
L’introduzione di Giuliano Ferrara, la premessa di Vitiello e un breve (ma
significativo) carteggio tra Mauro Mellini ed Enzo Tortora completano il
volume.
Le interviste ai quattro “veterani” sono tutte interessanti,
ma la più stimolante è quella a Carnevale; che fa anche della “sociologia della
magistratura”: ad esempio quando afferma che i magistrati “Presi singolarmente
sono persone perbene, quando invece operano in quanto magistrati la cosa cambia
aspetto. Per esempio, la magistratura è restia ad applicare nuovi istituti che
abbiano sullo sfondo, come premessa, l’errore di un giudice. Potei constatarlo
in almeno due occasioni. La prima, quando entrò in vigore il nuovo Codice di
procedura penale che prevedeva la riparazione per ingiusta detenzione. Ebbene,
nei primi tempi i giudici si arrampicarono sugli specchi pur di non applicare
l’istituto nuovo. E lo stesso fecero con la cosiddetta legge Pinto, introdotta
per cercare di frenare i ricorsi alla Corte europea di Strasburgo dei
malcapitati che subivano ritardi nell’amministrazione della giustizia”, la
quale non è estranea neppure all’intervento di Mellini sull’uso “del verbo
smaltire, che designa l’attività del giudice operoso, capace di liberarsi di
una gran mole di cause pendenti”: significativamente “«Lo si usa per due casi:
per le pratiche e per i rifiuti. Il cittadino va davanti ai giudici per cercare
giustizia, e invece viene smaltito, Nel breve periodo in cui sono stato membro
laico del Csm, tra il 1993 e il 1994, sentivo sempre lodare la laboriosità dei
magistrati, che però era un dato meramente quantitativo, il numero di pratiche
per l’appunto ‘smaltite’»”: “smaltimento” favorito da molte leggi dell’ultimo
decennio, spesso con peggioramento qualitativo della giustizia.
A leggere questo libro riemerge il dubbio, (per chi scrive è
una certezza): che il problema principale della giustizia italiana non sia lo
scarso rispetto per le garanzie e i processi-spettacolo, ma la scarsa
efficienza (per quella civile forse più della penale) che la rende -
in larga parte - inutile. Ma uno Stato che non riesce a dare
giustizia fallisce in un compito essenziale; secondo solo a quello di
protezione (politica) delle comunità dai nemici interni ed esterni. Sarebbe il
caso di ripensare l’intero impianto dell’ordinamento giudiziario, facendo
tesoro non solo di quanto avviene in altri stati contemporanei, ma anche della
sapienza giuridica-istituzionale romana.
Teodoro Klitsche de la Grange
Avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura
politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/
). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi
(1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno
dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).
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