giovedì 29 novembre 2012

La recensione dell'amico Teodoro Klitsche de la Grange  affronta un tema scottante, per dirla in giornalistese.  Quale? Che  in Italia  lo "Stato di Diritto"  sembra ormai diventato  un oggetto misterioso...     Anzi, si potrebbe  parlare di "Stato Giudiziario".  I giudici  chiudono fabbriche, decidono chi assumere, spiegano la Costituzione al Presidente della Repubblica,  intervengono ai  congressi dei partiti  E se sbagliano, rovinando la vita  di un  comune mortale, non vogliono pagare di tasca propria come  tutti gli altri cittadini.  





Il libro della settimana: Guido Vitiello, Non giudicate, Liberilibri 2012, pp. 104,  Euro 14,00   (recensione a cura di Teodoro Klitsche de la Grange)

Libri sul garantismo e sullo scarso apprezzamento che spesso riscuote nelle aule giudiziarie, ne sono stati scritti tanti (una buona bibliografia la si trova anche in questo volume); quello di Vitiello è particolare perché sostanzialmente consiste in quattro interviste a veterani dello Stato di diritto: Mellini, Marafioti, Carnevale e Di Federico. L’introduzione di Giuliano Ferrara, la premessa di Vitiello e un breve (ma significativo) carteggio tra Mauro Mellini ed Enzo Tortora completano il volume.
Le interviste ai quattro “veterani” sono tutte interessanti, ma la più stimolante è quella a Carnevale; che fa anche della “sociologia della magistratura”: ad esempio quando afferma che i magistrati “Presi singolarmente sono persone perbene, quando invece operano in quanto magistrati la cosa cambia aspetto. Per esempio, la magistratura è restia ad applicare nuovi istituti che abbiano sullo sfondo, come premessa, l’errore di un giudice. Potei constatarlo in almeno due occasioni. La prima, quando entrò in vigore il nuovo Codice di procedura penale che prevedeva la riparazione per ingiusta detenzione. Ebbene, nei primi tempi i giudici si arrampicarono sugli specchi pur di non applicare l’istituto nuovo. E lo stesso fecero con la cosiddetta legge Pinto, introdotta per cercare di frenare i ricorsi alla Corte europea di Strasburgo dei malcapitati che subivano ritardi nell’amministrazione della giustizia”, la quale non è estranea neppure all’intervento di Mellini sull’uso “del verbo smaltire, che designa l’attività del giudice operoso, capace di liberarsi di una gran mole di cause pendenti”: significativamente “«Lo si usa per due casi: per le pratiche e per i rifiuti. Il cittadino va davanti ai giudici per cercare giustizia, e invece viene smaltito, Nel breve periodo in cui sono stato membro laico del Csm, tra il 1993 e il 1994, sentivo sempre lodare la laboriosità dei magistrati, che però era un dato meramente quantitativo, il numero di pratiche per l’appunto ‘smaltite’»”: “smaltimento” favorito da molte leggi dell’ultimo decennio, spesso con peggioramento qualitativo della giustizia.
A leggere questo libro riemerge il dubbio, (per chi scrive è una certezza): che il problema principale della giustizia italiana non sia lo scarso rispetto per le garanzie e i processi-spettacolo, ma la scarsa efficienza (per quella civile forse più della penale) che la rende  -  in larga parte  -  inutile. Ma uno Stato che non riesce a dare giustizia fallisce in un compito essenziale; secondo solo a quello di protezione (politica) delle comunità dai nemici interni ed esterni. Sarebbe il caso di ripensare l’intero impianto dell’ordinamento giudiziario, facendo tesoro non solo di quanto avviene in altri stati contemporanei, ma anche della sapienza giuridica-istituzionale romana.

Teodoro Klitsche de la Grange



Avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/  ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).

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