martedì 4 settembre 2012


La verità non è di questo mondo




In Italia, tutti invocano la verità. Si pensi solo alle recenti polemiche politiche, anche piuttosto pesanti, nei riguardi del ruolo giocato dal presidente Napolitano nell’ “affaire Mancino” (ci piace chiamarlo così). Per non parlare dei veri e propri tormentoni, ormai storici, sui misteri italiani: chi ha ucciso quello, chi ha pagato quell’altro, eccetera eccetera.
Diciamo che, sociologicamente parlando ( in base a studi, indagini, ricerche ), l’uomo non è bugiardo né sincero: è reticente; dice e non dice la verità. E soprattutto rapporta il suo dire alle dimensioni - crescenti - della cerchia sociale di appartenenza: si è sinceri, ma neppure sempre, con se stessi,  meno  in famiglia e nei gruppi amicali, riluttanti  nei gruppi di lavoro e così via. Secondo questa scala, il politico, che parla in pubblico e alla collettività, è destinato a diventare, se ci si passa l'espressione,  un bugiardo a vita. Insomma, come ha in segnato quel grandissimo sociologo  nato a Betlemme,  la verità non è di questo mondo.
Perciò, una cosa è la ricerca della verità individuale (su fatti spirituali o personali), un’altra quella della verità collettiva, che essendo pubblica, è sempre politica, e quindi nella migliore delle ipotesi  una non verità (qualcosa che non è vero, né falso), nella peggiore  una falsità.
Concludendo, la cosiddetta "battaglia" per  la verità sulle questioni pubbliche è perfettamente inutile per quel che riguarda l’accertamento della verità in sé, mentre può essere molto  vantaggiosa  come strumento di lotta politica. Ma questa è un’altra storia.

Carlo Gambescia 

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