Il libro della settimana: Reinhold Niebuhr, L’ironia della
storia americana, a cura di Alessandro Aresu, testo inglese a fronte,
Bompiani Il Pensiero Occidentale, Milano 2012, pp. 466, Euro 25,00.
http://bompiani.rcslibri.corriere.it/ |
Reinhold Niebuhr, scomparso nel 1971, è un teologo che
continua a parlare al mondo. Su questo blog ce ne siamo già occupati (http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/2006/10/riletture-reinhold-niebuhr-1892-1971.html
), evidenziando il suo interessante realismo sociologico e
politico. Siamo infatti dinanzi a uno studioso di teologia
dai piedi ben piantati in terra. Niebuhr non ha mai
evocato l'impossibile, sotto forma di utopie religiose e
sociali in scatola da aprire e consumare su questa
terra. Ma neppure si è schierato con la conservazione sociale,
spezzando lo stesso pane raffermo dei profeti (al
contrario) dello status quo. Ma il mondo lo ascolta ancora? Così così…
Diciamo che nel dibattito politico americano il suo nome ricorre
ciclicamente, a destra come a sinistra. Da ultimo, il presidente
Obama ha dichiarato di apprezzare il suo realismo privo di
cinismo. In Europa invece lo si studia e basta. E in particolare
nelle università confessionali. In Italia, tra gli altri (non
molti), si è occupato di Niebuhr, Gianni Dessì, attento studioso di
filosofia politica soffermatosi sulle radici agostiniane
del suo pensiero.
Per Niebuhr, novello e inquieto Agostino, esiste il
male nel mondo. E l’uomo spesso ( e volentieri) lo abbraccia.
Che fare allora? E qui viene fuori l’originalità della risposta di
Niebuhr, il quale non prende la facile scorciatoia del realismo cinico, ma si
inerpica sull'aspra risalita del realismo ironico. Ci spieghiamo
subito.
Il realismo cinico si nasconde dietro quella che Albert
Hirschman ha chiamato la tesi della perversità della azioni
umane: le azioni degli uomini a causa dell' imperfetta preveggenza
umana, produrrebbero, come da sempre ripetono i realisti
disincantati, effetti indesiderati e negativi; di qui, la
difesa a spada tratta dell'esistente.
Per contro, il realismo ironico prende atto degli
effetti inaspettati, ma non per questo predica l’inazione: se esiste l’ironia
della sorte, esiste anche l’ironia maieutica - ecco il "sale" del
realismo - che combatte la presunzione e impedisce di fare altri errori,
pur non credendo nella possibilità di un paradiso in terra,
per riassumere il titolo di un denso libro di Christopher Lasch. Dove,
detto per inciso, lo storico americano collega
arditamente il realismo politico di Niebuhr alla
necessità di temperare, o « to mitigate», il
ruolo del risentimento nei conflitti, da sempre fonte di«
cruelties ». Insomma, il realismo
niebuhriano come esito, non sempre scontato,
di una «spiritual discipline against resentment» (cfr.
C. Lasch, The True and Only Heaven. Progress and Its Critics,
Norton 1991, pp. 369-378).
Un’ottima occasione per approfondire il realismo ironico di
Niebuhr è rappresentata dall’uscita, per i tipi di Bompiani, nella
splendida collana "Il Pensiero Occidentale", diretta da Giovanni
Reale, de L’ironia della storia americana , opera che può
anche essere considerata come una buona introduzione
al realismo tout court. Il testo, uscito nel 1952 in piena Guerra
Fredda, mette a fuoco una serie di effetti
indesiderati. Semplificando (e sintetizzando) al massimo, ecco la
catena "ironica" individuata da Niebuhr: da un lato c'è
una nazione, gli Stati Uniti, fin dall’inizio
proclamatasi libera, ma costretta dall'altro a ricorrere alla
minaccia di una guerra, quanto di più coercitivo possa esistere (prima
ironia), guerra per giunta nucleare, senza ritorno quindi (seconda ironia),
contro un'altra nazione l’Unione Sovietica, che in nome degli stessi
ideali di libertà ( terza ironia), vuole edificare un mondo
ancora più libero e felice di quello americano (quarta ironia).
È perciò facile immaginare le polemiche che il libro
provocò. Del resto, L’ironia della storia americana , ruotava
intorno al problema, allora epocale, del conflitto Stati
Uniti-Unione Sovietica, nazioni, viste da Niebuhr quasi come
due facce della stessa medaglia... Un "quasi", sul
quale aprirono il fuoco i critici di Niebuhr. I risvolti
interni della polemica, sia in chiave di politica americana ( le
reazioni della scuola realista di politica internazionale), sia di
cultura politica autoctona ( le discussioni evergreen sulla
perdita dell’innocenza; sull' impero americano votato al bene, eccetera),
sono dottamente affrontati da Alessandro Aresu nella ricca
Introduzione. Il quale è autore anche di un eccellente Indice
concettuale delle parole chiave.
A noi invece interessa in particolare l’ultimo capitolo,
l’Ottavo, (pur ovviamente consigliando la
lettura dell’intero libro, che andrebbe però affrontata tenendo sulla
scrivania The Cycles of American History di Arthur M. Schlesinger
Jr., buon amico di Niebuhr). Perché? Nell'Ottavo
Capitolo Niebuhr spiega il «significato dell’ironia». Insomma, mai
dimenticare che il Nostro è un teologo cristiano che - ripetiamo -
vuole parlare al mondo e non solo alla società americana. E
in che modo? Cercando di conciliare analiticamente, attraverso
l’ironia (delle e sulle vicende storiche Usa), realismo politico e
cristianesimo, come dire, particolare e universale... Ma
lasciamo a lui la parola : «L’effetto ironico del potere e della sicurezza che
diventano debolezza e insicurezza per il tentativo di oltrepassare i propri
limiti è uguagliato dall’ironia della virtù che si muta nel vizio. Il fariseo
viene condannato e il pubblicano viene preferito perché il primo “ringrazia
Dio” di non essere “come gli altri uomini” e cerca con convinzione ma
inutilmente di nascondere le fragilità umane dietro la maschera del
conformismo. Israele è senza dubbio una nazione “buona” se paragonata alle
grandi nazioni che la circondano. Ma le sue pretese di virtù sono tanto
offensive per Dio quanto le pretese di potenza. Si ha la sensazione spiacevole
che l’America, in quanto nazione potente e “virtuosa” sia vittima di
pericoli ironici che mettono insieme le esperienze di Babilonia e Israele » (p.
425). Che respiro! C’è veramente di che meditare. In fondo, il
succo ermeneutico del discorso di Niebuhr è tutto qui: «Il primato
dell’ironia sta nel fatto che anche le più ovvie forme di
successo sono da ultimo portate a fallire» (Ivi). Grande
verità. Che finisce sempre per vendicarsi, storicamente,
della sciocca vanità degli uomini.
Di conseguenza, promuovendo l’umiltà ironica
a valore euristico-politico, il realista Niebuhr ci insegna
che non vanno mai sottovalutati neppure gli
effetti positivi delle azioni sociali… Ogni azione implica una reazione… Il che
non significa che essa implichi sempre un effetto negativo.
Quindi il destino dell'uomo resta aperto. Ciò, alla fin fine,
può sembrare banale. Come può apparire scontata, almeno agli
occhi dei profeti della grandiosa etica dei princípi,
ogni umile etica della responsabilità:
etica… da pubblicani, che però Salva.
E questa è la grande lezione di Niebuhr. Da non
dimenticare, soprattutto in un mondo politico tuttora
popolato di farisei.
Carlo Gambescia
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