giovedì 20 settembre 2012

Il libro della settimana: Reinhold Niebuhr, L’ironia della storia americana, a cura di Alessandro Aresu,  testo inglese a fronte, Bompiani Il Pensiero Occidentale, Milano 2012, pp. 466, Euro 25,00.   


http://bompiani.rcslibri.corriere.it/

Reinhold Niebuhr, scomparso nel 1971,  è un teologo che continua a parlare al mondo. Su questo blog ce ne siamo già occupati  (http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/2006/10/riletture-reinhold-niebuhr-1892-1971.html ),  evidenziando il suo interessante realismo sociologico e  politico. Siamo infatti dinanzi a uno studioso di teologia   dai   piedi ben piantati in terra. Niebuhr non ha mai evocato l'impossibile, sotto forma di    utopie religiose e sociali  in scatola  da aprire e consumare  su questa terra. Ma neppure si è schierato con la conservazione sociale,  spezzando lo stesso  pane raffermo dei  profeti (al contrario) dello status quo.  Ma il mondo lo ascolta ancora?  Così così… Diciamo che nel dibattito politico americano il suo nome  ricorre ciclicamente, a destra come a sinistra. Da ultimo,  il presidente Obama  ha dichiarato di apprezzare il suo realismo privo di cinismo.  In Europa invece lo si studia e basta. E  in particolare  nelle università confessionali.  In Italia, tra gli altri (non molti),  si è occupato di Niebuhr, Gianni Dessì, attento studioso di filosofia politica soffermatosi  sulle radici  agostiniane del suo pensiero. 
Per Niebuhr, novello e inquieto Agostino,  esiste il male nel mondo. E  l’uomo spesso ( e volentieri) lo abbraccia.  Che fare allora?  E qui viene fuori l’originalità della risposta di Niebuhr, il quale non prende la facile scorciatoia del realismo cinico, ma si inerpica sull'aspra risalita del  realismo ironico. Ci spieghiamo subito.
Il realismo cinico si nasconde dietro quella che Albert  Hirschman ha chiamato la tesi della perversità della azioni umane: le azioni degli uomini a causa dell' imperfetta preveggenza umana,  produrrebbero, come da sempre ripetono  i realisti disincantati, effetti  indesiderati e  negativi; di qui,  la difesa a spada tratta dell'esistente. 
Per contro,  il realismo ironico prende atto degli effetti inaspettati, ma non per questo predica l’inazione: se esiste l’ironia della sorte, esiste anche l’ironia maieutica - ecco il "sale" del  realismo - che combatte la presunzione e impedisce di fare altri errori, pur non credendo nella possibilità di un  paradiso in terra, per riassumere il titolo di un denso libro di Christopher Lasch. Dove, detto per inciso, lo storico americano   collega arditamente il realismo politico  di  Niebuhr alla necessità  di  temperare,  o « to mitigate»,  il ruolo del risentimento nei conflitti, da sempre  fonte  di« cruelties ». Insomma,  il realismo niebuhriano  come  esito,  non sempre scontato,  di una  «spiritual discipline against resentment»  (cfr. C. Lasch, The True and  Only Heaven. Progress and Its Critics,  Norton 1991, pp. 369-378). 
Un’ottima occasione per approfondire il realismo ironico di Niebuhr è rappresentata  dall’uscita, per i tipi di Bompiani, nella splendida collana "Il Pensiero Occidentale", diretta da Giovanni Reale, de L’ironia della storia americana , opera  che può anche essere considerata come  una  buona  introduzione  al realismo  tout court.   Il testo, uscito nel 1952 in piena Guerra Fredda,   mette a  fuoco  una serie di  effetti indesiderati. Semplificando (e sintetizzando) al massimo,  ecco la catena "ironica" individuata da Niebuhr: da un lato c'è una  nazione, gli Stati Uniti,  fin dall’inizio proclamatasi libera, ma costretta dall'altro  a ricorrere alla minaccia di una guerra,  quanto di più coercitivo possa esistere (prima ironia), guerra per giunta nucleare, senza ritorno quindi (seconda ironia), contro un'altra  nazione l’Unione Sovietica, che in nome degli stessi ideali di libertà ( terza ironia), vuole edificare  un mondo ancora più libero e felice di quello americano (quarta ironia).
È perciò facile immaginare le polemiche  che il libro provocò.  Del resto,  L’ironia della storia americana , ruotava  intorno al problema, allora epocale,  del conflitto Stati Uniti-Unione Sovietica,  nazioni, viste da Niebuhr  quasi come  due facce della stessa medaglia... Un "quasi",  sul quale aprirono il fuoco i  critici di Niebuhr.  I risvolti interni della polemica, sia in   chiave di politica americana ( le reazioni della scuola realista di politica internazionale),  sia di cultura politica autoctona ( le discussioni  evergreen  sulla perdita dell’innocenza; sull' impero americano votato al bene, eccetera),  sono dottamente affrontati da Alessandro Aresu nella  ricca Introduzione. Il quale è  autore anche di un eccellente Indice concettuale delle parole chiave.  
A noi invece interessa in particolare l’ultimo capitolo,  l’Ottavo,    (pur ovviamente  consigliando la lettura dell’intero libro, che andrebbe però affrontata tenendo sulla scrivania The Cycles of American History   di Arthur M. Schlesinger Jr., buon amico di Niebuhr). Perché?  Nell'Ottavo Capitolo  Niebuhr spiega il «significato dell’ironia». Insomma, mai dimenticare che il Nostro  è un teologo cristiano che - ripetiamo -  vuole  parlare al mondo e non solo alla società americana. E  in che modo?  Cercando di conciliare analiticamente,  attraverso l’ironia (delle e sulle vicende storiche Usa), realismo politico e cristianesimo, come dire, particolare e  universale...  Ma lasciamo a lui la parola : «L’effetto ironico del potere e della sicurezza che diventano debolezza e insicurezza per il tentativo di oltrepassare i propri limiti è uguagliato dall’ironia della virtù che si muta nel vizio. Il fariseo viene condannato e il pubblicano viene preferito perché il primo “ringrazia Dio” di non essere “come gli altri uomini” e cerca con convinzione ma inutilmente di nascondere le fragilità umane dietro la maschera del conformismo. Israele è senza dubbio una nazione “buona” se paragonata alle grandi nazioni che la circondano. Ma le sue pretese di virtù sono tanto offensive per Dio quanto le pretese di potenza. Si ha la sensazione spiacevole che l’America, in quanto nazione potente e “virtuosa” sia vittima  di pericoli ironici che mettono insieme le esperienze di Babilonia e Israele » (p. 425).  Che respiro!  C’è veramente di che meditare.  In fondo,  il succo ermeneutico  del discorso di Niebuhr è tutto qui: «Il primato dell’ironia sta nel fatto che anche le più ovvie forme di successo  sono da ultimo portate a fallire» (Ivi). Grande verità. Che finisce sempre per  vendicarsi,  storicamente,  della sciocca vanità degli uomini. 
Di conseguenza, promuovendo l’umiltà ironica  a valore euristico-politico, il realista Niebuhr ci  insegna   che   non vanno mai  sottovalutati neppure gli effetti positivi delle azioni sociali… Ogni azione implica una reazione… Il che non significa che essa  implichi sempre un effetto negativo.  Quindi il destino dell'uomo resta aperto.  Ciò, alla fin fine,  può sembrare banale.  Come può apparire  scontata, almeno agli occhi dei profeti  della grandiosa etica dei princípi,  ogni  umile  etica  della responsabilità:  etica… da pubblicani, che però Salva.  
E questa è la grande lezione di Niebuhr. Da non dimenticare, soprattutto  in un mondo politico  tuttora popolato di farisei.


Carlo Gambescia 

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