venerdì 4 maggio 2012

Riflessioni
Suicidi e crisi economica




È ancora presto  per  parlare di una svolta “quantitativa”.  Ma fatto è  che sui giornali appaiono sempre più spesso notizie  di  persone suicidatesi  per ragioni legate alla crisi economica (perdita del lavoro, insolvenza, eccetera).
Da sempre esiste  un legame sociologico, comprovato - basta sfogliare il classico studio di Durkheim (Le suicide, 1897) -   tra suicidio e crisi economica. Non solo: sussiste anche un nesso, anch’esso verificato, tra suicidio e crescita economica. Il che significa che  sulla psiche individuale, e sui conseguenti comportamenti sociali,  influiscono sia le fasi di crisi, sia le fasi di sviluppo. Perché?
La questione rinvia ai rapidi cambiamenti di status ( sia in salita, sia in discesa), o se si preferisce al rischio stesso di velocissimi cambiamenti di status, non “sostenuti” culturalmente e socialmente Un cambiamento (migliorativo o peggiorativo)  che spaventa - ecco la lezione di Durkheim -  quanto più un ordine sociale resta priva di regole e quindi di capacità  coadiuvare  il singolo nella ricerca di un  conferimento di senso alla propria vita, tanto più crescono i suicidi, legati al timore di fare un passo indietro o di farne uno o due  in avanti, temendo di dover prima o poi “retrocedere”.   Perciò non sono le situazioni oggettive  di   crisi e prosperità a favorire il suicidio, ma l’assenza di regole sociale inclusive.  Di qui,  la definizione durkhemiana, di suicidio anomico ( dal greco anómiaa-  priv. + nómos “legge”, assenza di legge).
Concludendo, povertà e ricchezza, di per sé,  non influiscono sul suicidio, se non  in una situazione di anomia. Quanto più una società si compone di individui socialmente responsabili, a qualsiasi livello,  tanto più  allontana da sé il pericolo del suicidio anomico. 
 Carlo Gambescia 

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