Carlo Pompei ama le parole ma non al punto di diventarne schiavo. Le passioni, se eccessive, sono sempre pericolose... Va pure detto che le parole spesso cambiano di significato, seguendo i costrutti delle diverse lingue. Le passioni, no. Ma questa è un'altra storia. Buona lettura. (C.G.)
Lingue e parole a
confronto
Un pretesto per
parlare d’altro
di Carlo Pompei
Gli inglesi
detestano gli americani, considerano l’America una sorta di gigantesca colonia
penale nella quale sono confluiti tutti i reietti e i fuorilegge del Vecchio
continente e, in parte, hanno ragione. La questione è aperta da tempo: due
aneddoti sul caso riguardano Winston Churchill che disse: “sono sicuro che gli
americani faranno la cosa giusta, ma soltanto dopo aver provato tutte le altre”
e “nonsodiprecisochi” che disse: “gli americani stanno studiando - con esborso
di milioni di dollari - una penna a sfera che possa scrivere in assenza di
gravità, mentre i russi, fuori orbita terrestre, già usano una… matita”.
Notizia peraltro smentita:http://www.attivissimo.net/antibufala/biro_spaziale/biro_spaziale.htm
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Tuttavia, una cosa
in comune (più o meno) americani e inglesi la hanno: la lingua. No, non quella
nella bocca, ma quella parlata e scritta. Quindi, per ovviare ad ulteriori
equivoci, parleremo di “linguaggio”, “fonema”, “lemma”, “idioma”, da non
confondere con “idiota” che spesso muove la lingua senza pensare, ma questo è
un problema che affronteremo un’altra volta. La lingua “inglese” - dicevamo -
si contraddistingue per una caratteristica che ne ha decretato il successo
anche nei testi musicali: le parole generalmente sono brevi (avete mai sentito
una bella canzone tedesca?). Fatte salve “Lili Marlene” (Lale Andersen e
Marlene Dietrich), in parte “Alexanderplatz” (Milva), “Der Kommissar” (Falco) o
“99 luftballons” (Nena) non viene in mente altro; e alcune definirle belle…
Poi, se aggiungiamo che l’unione di parole può significare cose che, in
italiano, occorrerebbe un opuscolo per spiegarle: “off-limits” diventa “limite
invalicabile-sorveglianza armata-zona militare”. Ma almeno in quattro casi gli
anglo-americani – forse - si complicano la vita, quando devo dire “perché”,
quando devono dire “strada”, quando devono dire “tempo” e quando devono dire
“casa”.
Nel primo caso hanno
a disposizione due parole: “why” per l’interrogativo e “because” (by-cause,
par-cause in francese) per l’esplicativo equivalenti ai nostri “per-ché?” e
“peer-chèèèèèèè”. Questo significa che hanno bisogno di chiedere o esplicare,
appunto, un concetto tramite il mezzo (la lingua) e non con la sola
intonazione. Paradossale, per un linguaggio - come detto - filo-musicale.
Nel secondo caso
usano “way”, “street” o “avenue”, dove la prima può indicare un luogo o, più
precisamente, un senso di marcia (one-way); oppure un’utopia (un non luogo
figurato) che è sinonimo di modalità, “best way”, giusta direzione o fa’ la
cosa giusta: Spike Lee, “Do the right thing”, 1989, o di nuovo Churchill e la
penna e la matita con il concetto di “pensiero laterale” che ci aiuta a
risolvere questioni apparentemente insolvibili.
Contrariamente
“street” indica in assoluto un luogo fisico, a meno che non stiate parlando in
dialetto abruzzese e qui il termine significa “stretto”, “angusto” o altro:
“tene lu culo strit” significa “ha paura di farsela addosso” o, più
semplicemente, “ha paura”. Vedi anche “Rome, Ten Lucullo street”, che, invece,
significa “Via Lucullo 10, Roma”. “Avenue”, invece, è di origine francese
e significa viale. A New York rappresenta una strada che interseca le
“streets”. Il reticolato risultante ricorda i “cardi” (cardini) e i “decumani”
dell’antica Roma. Nel quartiere o Rione Prati (prima “Prata Neronis”, nel
Medioevo “Prata Sancti Petri”, poi “Prati di Castello”) ancora oggi è ben
visibile tale sub-suddivisione centuriale.
Nel terzo caso
abbiamo “time” per il tempo cronologico e “weather” per il tempo meteorologico.
In italiano, la contestualizzazione è importantissima: “non ho tempo oggi”
oppure “che tempo farà domani?”.Anche la traduzione letterale, però, è
problematica: “good times” non significa “tempo buono”, ma “bei momenti”. Il
metereopatico (dal greco “metereon”: cosa che avviene in alto, e “pathos”:
passione, malattia, sofferenza), infatti, sa che il suo umore va a “tempo”, ma
non per questo sa necessariamente suonare uno strumento musicale.
“Temporale” ha
significato bivalente: rovescio breve di pioggia, come sostantivo; limitato nel
“tempo”, come aggettivo. “Tempesta”, ne ha uno solo, come “tempestivo” (rapido,
immediato), anche se sembra la crasi anomale di “temporale” estivo (rovescio a
scroscio violento di pioggia dalla durata “temporale” limitata nella stagione
calda). “Tempestato” vuol dire “ricco di…”, ma stiamo andando fuori tema.
Discorso a parte merita “Rhythm” (ritmo) usato per il “tempo” musicale.
Quarto caso: casa.
Viene utilizzato il termine “House” per intendere un edificio (building) o per
intendere figurativamente un’industria (software-house) o una pubblicazione che
la riguardi (house-organ). “Home”, invece rappresenta il focolare (Fuffy come
back home) o il luogo di provenienza con relativi inviti a tornarvi (yankee go
home). Come vedete la differenza tra cani e ameri-cani è sottile…
Tutto questo
soltanto per dirvi che, se avete letto tutto ciò (e l’avete letto se siete
arrivati fin qui), non vi siete accorti di aver perso “tempo”, ma rassegnatevi:
ormai è tardi… e non chiedetevi “perché”… non esiste una “via” breve, ma
soltanto “strade” lunghe e “street-te” per comprarvi una “casa”. Per poi pagare
l’IMU al posto della banca che la possiede realmente fintanto non avrete pagato
l’ultima rata del mutuo.
Carlo Pompei
Carlo Pompei,
classe 1966, “Romano de Roma”. Appena nato, non sapendo ancora né leggere, né
scrivere, cominciò improvvisamente a disegnare. Oggi, si divide tra grafica,
impaginazione, scrittura, illustrazione, informatica, insegnamento ed…
ebanisteria “entry level”.
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