giovedì 17 maggio 2012

Il libro della settimana: Carl Schmitt, Dialogo sul potere, a cura e postfazione di Giovanni Gurisatti, Adelphi, Milano 2012, pp. 124, Euro 7,00. 

www.adelphi.it

Che cos’è il potere? Ce lo spiega in poche battute Carl Schmitt.  Un gigante del pensiero politico, spentosi quasi centenario nel 1985, dopo essere passato attraverso le fiamme della fornace novecentesca, le cui  ombre uncinate continuano  ad allungarsi sulla sua opera, offuscandone purtroppo  il valore. Quindi un colosso dai piedi d'argilla?  Così sembra sostenere certa occhiuta critica, più attenta a sezionare nei più microscopici  dettagli i rapporti tra Schmitt e il nazionalsocialismo che a dedicarsi allo studio, libero  da preconcetti ideologici,  della sua teoria pura della politica. Ma lasciamo stare.    

Il libro in questione è Dialogo sul potere (Adelphi). Dove sono raccolti,  in forma di colloquio tra personaggi fittizi ma ben scelti, due testi: il primo,  da cui prende  il titolo al volume;  il secondo che invece porta il nome di “Dialogo sul nuovo spazio”. Il primo è di argomento politico, il secondo geopolitico. Del primo dialogo, per inciso, piace ricordare l' edizione italiana a cura di Antonio Caracciolo, apparsa sulla rivista “Behemoth” nel  1987. Senza ovviamente nulla  togliere all’ ottima versione curata da Giovanni Gurisatti. Va anche segnalato, per capire la motivazione della scelta dialogica, che i due testi vennero ideati nel 1954 per essere recitati e trasmessi, come poi avvenne, alla radio tedesca. E con un discreto successo. Infine, il volume, ospita in appendice il “Prologo” scritto da Schmitt  per la bella edizione spagnola del 1962.
Nel primo dialogo (politico) i protagonisti sono G. ( un giovane studente che pone le domande) e C.S. (un professore, lo stesso Schmitt), nel secondo dialogo (geopolitico), abbiamo un anziano storico, Altmann ( dietro cui si scorge  la straordinaria  cultura storica di Schmitt); un  raziocinante  scienziato cinquantenne, Neumeyer; un giovane ed entusiasta  nordamericano, MacFuture.  Nei due dialoghi, sostanzialmente, si fronteggiano, da un lato la solida visione schmittiana del politico (come poderosa   realtà sociologica super partes ) e del geopolitico (quale gigantesco e vitale  conflitto tra potenze di Terra e di Mare), dall’altro i differenti “ismi” che  affascinano i moderni, rappresentati dal virtuismo del giovane studente (nel primo dialogo), nonché dal supponente scientismo di Neumeyer e dal progressismo cosmico dell'effervescente  MacFuture ( nel secondo dialogo).
Diciamo che Schmitt, pur essendo l'autore dei dialoghi, non ne abusa...  Ha la meglio  grazie alla sua abilità di porre più problemi che risposte. Ma, come accennavamo, ciò che lascia il segno è la stupenda descrizione, degna di un anatomo-patologo (soprattutto nel primo dialogo), del potere. Procediamo per gradi.
Innanzitutto,  secondo Schmitt ( che  parla attraverso  l’anziano professore…), « il potere è una dimensione peculiare e autonoma, anche rispetto al consenso che lo ha creato (…), e anche rispetto allo stesso potente. Il potere ha una dimensione oggettiva e autonoma rispetto a qualsiasi individuo umano che di volta in volta lo detiene» (p. 20). In qualsiasi tipo di regime,  l’uomo politico, anche il più potente,  non può non rinunciare alla parola dei  suoi consiglieri e  stretti sostenitori.  Di qui, tra i suoi uomini di fiducia,  quella   lotta per il potere indiretto,  legata alla possibilità di   influire sulle sue decisioni. Lotta che innesca meccanismi che vanno oltre le normali capacità controllo dello stesso sovrano. Insomma, il « potere è qualcosa di più sia della somma di tutti i singoli consensi che ottiene sia del loro prodotto» (p. 18): una  specie di  fenomeno super partes  che ha trovato, mai come in passato,  un facile terreno di sviluppo  nella  società contemporanea. Dove, secondo Schmitt,   « il potere del singolo potente risulta essere niente più che l’epifenomeno di una situazione derivante da un sistema di divisione del lavoro cresciuta oltre ogni limite» (p. 38). Di conseguenza « ciò che produce tutto questo non è più l’uomo in quanto uomo, bensì una reazione a catena da lui provocata. Nella misura in cui oltrepassa i limiti della physis umana, essa trascende anche qualsiasi dimensione interumana di ogni possibile potere di uomini su uomini. Anche la relazione tra protezione obbedienza ne viene travolta. Assai più della tecnica, è proprio il potere a essere sfuggito di mano agli uomini» (p. 39). Di qui,  la necessità di recuperarlo. Ma come? Forse - come chiede ingenuamente lo studente G. - con ulteriori scoperte scientifiche? Ecco la risposta schmittiana: «Sarebbe un bene. Ma come possono cambiare il fatto che oggi potere e impotenza non si fronteggiano più faccia a faccia, e non si guardano più da uomo a uomo? Le masse umane che si sentono esposte, inermi, agli effetti dei moderni mezzi di distruzione sanno anzitutto di essere impotenti. La realtà del potere è al di sopra della realtà degli uomini. Non dico che il potere di uomini su uomini sia buono. Non dico neanche che sia cattivo. Meno che mai dico che sia neutro. Inoltre, da uomo pensante mi vergognerei di sostenere che il potere è buono se ce l’ho io ed è cattivo se ce l’ha il mio nemico. Dico solo che è una realtà autonoma rispetto a ciascuno, anche rispetto al potente, che il potere irretisce nella propria dialettica. Il potere è più forte di ogni volontà di potenza, più forte di ogni bontà umana e, per fortuna, anche di ogni umana cattiveria» (p. 41).
Questa visione del potere come poderosa entità sociologica super partes, dotata di forza propria, sulla quale alla fin fine gli uomini nulla possono, sembra però non essere l’ultima parola di Schmitt.  Il quale mostra di non essere poi così desideroso di  inchinarsi, acquiescente,   al cieco e compatto  flusso del reale,  magari  invocando, come un antico saggio, la  sospensione del giudizio. Infatti,   nel secondo dialogo, per bocca dello storico  Altmann,   si apre  uno spiraglio di luce, o  forse più che uno spiraglio: « Mi sembra  (...) - rileva il personaggio in cui Schmitt si immedesima  -  che la tecnica scatenata, più che aprire nuovi spazi all’uomo lo chiuda in gabbia. La tecnica moderna è utile e necessaria, ma ben lungi dall’essere a tutt’oggi la risposta a una chiamata. Essa soddisfa bisogni sempre nuovi, in parte indotti da lei stessa. Per il resto è proprio lei a essere messa in questione, e già per questo non può essere una riposta» . E allora? « MacFuture - prosegue Schmitt-Altmann - , lei diceva prima che la tecnica moderna ha reso risibilmente piccola la nostra terra. Ciò significa che i nuovi spazi da cui proviene la nuova chiamata debbono trovarsi qui sulla nostra terra, e non fuori nel cosmo. Colui che riuscirà a catturare la tecnica scatenata, a domarla inserirla in un ordinamento concreto avrà risposto all’attuale chiamata assai più di colui che con i mezzi di una tecnica scatenata cerca di sbarcare sulla Luna o su Marte. La sottomissione della tecnica scatenata: questo sarebbe, per esempio, l’azione di un Nuovo Ercole! Da questa direzione sento giungere la nuova chiamata la sfida del  presente» (p. 87).
Diciamo che  l’uomo è arrivato sulla Luna ed  è  più  lontano che  mai  dal sottomettere la «tecnica scatenata». Quindi la sfida lanciata da Carl Schmitt, nel secondo dialogo, resta  attuale . Anche se la vera questione di fondo, che va  oltre le  diverse forme di governo, rimane quella da lui impietosamente tratteggiata nel primo dialogo: come afferrare  ed  esercitare il potere senza diventarne le vittime?

 Carlo Gambescia 

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