mercoledì 9 maggio 2012

Il Dracula del titolo rinvia al famigerato  Vincenzo Visco, Ministro dell’ Economia e delle Finanze di svariati  governi targati centrosinistra. Insomma, secondo l’amico Teodoro Klitsche de la Grange (*),  al peggio non  c’ è mai fine…  Buona lettura (C.G.) 

Aridatece Dracula…
di Teodoro Klitsche de la Grange





Il recente “dibattito” sulla compensazione tra debiti e crediti verso lo Stato è uno (dei tanti) sintomi di come l’Italia non sia un paese “normale”. E tra i tanti segnali in tal senso, uno dei più potenti, perché rivela quanto, nei discorsi della “classe dirigente” la parola serva ad occultare quanto si pensa (e si vuole).
Cominciamo quindi col chiarire le parole (nella specie gli istituti giuridici): la compensazione è un modo d’estinzione delle obbligazioni (anche quelle pecuniarie, tra cui imposte, tasse et similia), che da millenni fa parte del diritto, ed è disciplinato dagli artt. 1241 ss. del codice civile italiano vigente. Si verifica quando vi sono obbligazioni reciproche tra due persone (Tizio deve a Sempronio 10.000,00 euro; Sempronio a Tizio 5.000,00); si verifica solo tra debiti e crediti omogenei, liquidi ed esigibili (art. 1243 c.c.); se volontaria (cioè consensuale) anche se non ricorrono i presupposti di legge. É d’applicazione generale ma il codice prevede (art. 1246 c.c.) che possono esservi divieti stabiliti da apposita legge. Soltanto che, in materia fiscale, non era ammessa, se non in casi rari.
Fu tuttavia ammessa assai più largamente, ma solo tra debiti e crediti fiscali (pensate un po’) dal ministro Visco, che in quell’occasione non si comportò da Dracula ma da persona di buon senso. Ne deriva quindi che non si applica se tra lo Stato e il contribuente vi siano debiti e crediti non fiscali.
Scusate per la necessariamente sintetica lezioncina, ma a quanto pare non è chiaro quanto sopra, malgrado noto anche ai banchi delle facoltà di giurisprudenza, da (gran) parte degli intervenuti nel dibattito.
A cominciare – a quanto si legge sulla stampa – dal prof. Mario Monti che avrebbe (o ha, il condizionale è d’obbligo per l’omaggio alla serietà del premier) espresso sdegno, tra l’altro, verso chi propone di “istituire personali e arbitrarie compensazioni tra crediti e debiti verso lo Stato”.
Ora, dato che la compensazione è istituto bimillenario, reso di portata generale almeno da Giustiniano in poi, è un tantino fuor di luogo definire “personale ed arbitrario” quanto praticato tranquillamente da almeno quindici secoli (e giriamo comunque lo sdegno del prof. Monti a Giustiniano). Che, se poi si volesse dar ad intendere che darebbe la stura a pretese infondate (ossia basate su crediti incerti o ancora non esigibili) è chiaro che questo non è consentito né prescritto dalla vigente disciplina giuridica della compensazione, neanche tra privati.
In realtà nell’uscita del premier appare chiaro il retropensiero: se si ammette la compensazione anche con i crediti extratributari, il gettito diminuisce. Ma è (anche) con ragionamenti del genere che siamo arrivati ad avere il deficit astronomico che abbiamo: perché, al contrario, pagare i debiti fa calare il deficit (che è una somma di debiti) esistente, anche se, nel breve periodo può creare problemi di cassa; per risolvere i quali la soluzione non è non pagare (non estinguere) le obbligazioni passive (i debiti), ma commisurare le spese alle disponibilità. Anzi i debiti non pagati, come sa qualsiasi liquidatore di compagnia d’assicurazione - specie se modesti - s’incrementano in misura superiore al saggio d’interesse, per via di spese legali, danni ulteriori, interessi e così via, incrementando il deficit reale. Non sono un risparmio, ma un cattivo affare.
Ma anche gli altri partecipanti al dibattito non hanno contribuito a chiarirlo. Ad esempio l’on. Alfano che ha parlato di compensazione tra  lo Stato e gli imprenditori. Dove se si capisce la sollecitudine del segretario del PDL per i bacino elettorale, non si comprende per quale ragione, tra tutti i creditori dello Stato, gli imprenditori dovrebbero avere un trattamento preferenziale. Quello che verrebbe così negato a pensionati, dipendenti, professionisti, ecc. ecc. (non meno meritevoli degli imprenditori), perpetuando quel cattivo modo di governare che si concreta non nel trattamento uguale per tutti (coloro che si trovano in quella situazione) ma nella distribuzione di privilegi per categorie. Che, quindi, innegabilmente suscitano l’invidia (e financo il montiano “sdegno”) tra gli esclusi. Avrebbe fatto meglio l’on. Alfano a chiedere semplicemente che si applicasse al rapporto debiti/crediti tra cittadini e Stato la disciplina comune, cioè quella del codice civile. Cosa peraltro che ha chiesto l’on. Matteoli che, correttamente, ha parlato di “crediti verso la pubblica amministrazione”.
Qualche sorpresa desta pure la dichiarazione della dr.ssa Marcegaglia: la quale non appare particolarmente entusiasta per la possibilità di compensazione; a cui sembra preferire l’aumento di finanziamenti alle imprese. Anche in tal caso la preferenza appare spiegabile solo se si predilige danaro erogato in base a scelte (altamente) discrezionali al posto di regolazione di crediti del tutto vincolate.
Cosa hanno in comune certe dichiarazioni, di personaggi così diversi, ma appartenenti tutti alla classe dirigente? Una risposta ce la può dare Guicciardini e la sua convinzione che gli italiani, e soprattutto le classi dirigenti italiane pensassero soprattutto al “particulare”. Particulare è pensare alle esigenze degli imprenditori (e non di tutti i creditori); particulare è pensare all’esigenza di “cassa” degli enti e non a quella della generalità alla riduzione del debito pubblico; “particulare” a quello degli imprenditori in grado di accedere ai finanziamenti pubblici.
Qualche secolo fa, a furia di ricercare il proprio particulare, le classi dirigenti italiane consegnarono gran parte della penisola al controllo (diretto) della Spagna.
Segno che la Storia, contrariamente al vecchio detto, non insegna niente.

Teodoro Klitsche de la Grange


Avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica "Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).

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