La sinistra e l'ex manager pubblico
Un matrimonio finito
Vilfredo Pareto, riprendendo un’intuizione di
Machiavelli, distingueva i politici in volpi e leoni . Ora, Romano Prodi non
appartiene a nessuna di queste categorie.
Non è volpe come Andreotti, perché finora ha mostrato di
non saper lavorare tra le quinte, per indebolire avversari interni ed esterni.
Non è leone come Craxi, perché le sue dichiarazioni creano sempre sconcerto e
dissapori tra gli alleati e ricompattano l’opposizione. In sei mesi di governo,
non ne ha azzeccata una sul piano della comunicazione politica… Ed è inutile
qui elencare i suoi principali errori in materia, già abbondantemente rievocati
sui giornali di ieri.
Ma, purtroppo, non è solo una questione di immagine. Dal
momento che dichiarare, tanto per riferirsi all’ultima esternazione pubblica,
che “ormai siamo in un paese impazzito, che non pensa più al domani”, suona
come un insulto nei riguardi di tutti: maggioranza, opposizione, pubblica
opinione e gente comune, a destra come a sinistra. Ma si tratta anche di un
errore politico gravissimo, soprattutto per un Presidente del Consiglio, privo
di una consistente maggioranza al Senato.
Perché Prodi fa certe figure? Cerchiamo di capire.
In primo luogo, perché di mestiere era e resta un alto
manager pubblico. Il che significa che la politica l’ha sempre vista da
“tecnico”: più come un male che come un bene. Inoltre, il lavoro manageriale ad
alto livello, facilita lo sviluppo di un’attitudine al comando. Una
disposizione che in politica può essere utile, solo se unita alla capacità di
mediazione. O, comunque, a quell’ astuzia delle “volpi” politiche di razza,
così abili nel dosare l' uso del bastone e della carota, valutando, appunto,
risorse e forze proprie e dell’avversario.
In secondo luogo, Prodi avrebbe un pessimo carattere
(stando almeno ai cronisti parlamentari…). Si dice che veda nemici e complotti
ovunque, e che sia permaloso, se non proprio iroso e vendicativo: un
comportamento da leone propotente e bacchettante , ben noto all’interno della
conventicola ulivista… A parte, ovviamente, certe rabbiose, esternazioni
pubbliche, dove la finta bonomia sparisce di colpo. E in pochi mesi, il
carattere bilioso e le ridotte capacità oratorie gli hanno fatto perdere,
secondo i sondaggi, la simpatia degli italiani (che non basta ma aiuta…). E,
sicuramente, pure di coloro che lo hanno votato, pur di liberarsi da
Berlusconi.
In terzo luogo, all’impoliticità di derivazione
professionale e caratteriale, si unisce l’assenza di una consistente forza
politica propria. Un deficit che costringe Prodi a barcamenarsi tra riformisti
e radicali. Finendo però per scontentare tutti, a causa dell'impoliticità di
cui sopra. Cosicché il governo di centrosinistra finisce per non avere una
linea politica precisa: né riformista né radicale.
Si dirà che non è solo colpa di Prodi, ma anche della
legge elettorale. In parte è vero. Però vanno sottolineati due aspetti
importanti.
Il primo è politologico: la dialettica tra destra,
centro, sinistra, persino all’interno di un governo “monocolore” è un fatto
empiricamente acquisito Certo c’è un livello fisiologico e patologico (che può
essere determinato dal metodo elettorale), ma la coesistenza (e spesso il
conflitto) tra prospettive politiche diverse nello stesso partito, è un
problema ricorrente all’interno delle democrazie pluripartitiche come
bipartitiche. Perciò è inutile insistere più del dovuto sui contrasti (che
nessuno nega…) all’interno del centrosinistra.
Il secondo aspetto riguarda la finanziaria del centrosinistra:
i tagli alla spesa pubblica e in particolare alle grandi opere, alla ricerca,
alla sanità e alla scuola, sono semplicemente un atto di autolesionismo
economico: condannano a morte lo sviluppo di lungo periodo. Ci spieghiamo
meglio: un vero governo riformista, invece di mettersi sugli attenti e
tagliare, dovrebbe proporsi di premere sull' Unione Europea per ottenere -
fermi restando i vincoli contabili sul rapporto Pil/disavanzo pubblico annuale
- una revisione qualitativa (per voci) della spesa pubblica degli stati
nazionali, in sede di bilancio comunitario. Come? Puntando sullo scorporo delle
voci di spesa riguardanti lo sviluppo infrastrutturale. Infatti, gli
investimenti pubblici riguardanti la crescita reale (ad esempio reti di
trasporto delle persone, delle merci dell’energia, ma anche ricerca e
l’università,) sono investimenti sul nostro futuro e in quanto tali, in sede
europea andrebbero conteggiati extrabilancio. Lo stesso approccio andrebbe
esteso ai cosiddetti lavori precari. Sul piano contabile comunitario non si
dovrebbe computare la spesa pubblica volta a ridurre il lavoro flessibile (con
soluzioni nazionali ad hoc, ma concordate con l' Unione Europea).
Abbiamo qui formulato, a grandi linee, solo due ipotesi
di lavoro. Idee sulle quali ogni serio governo riformista dovrebbe almeno
riflettere. E invece Prodi è addirittura passato agli insulti. Anche se, pur di
restare a galla, continuerà nei prossimi giorni a strizzare l’occhio sia
all’ala radicale, spingendo sull’acceleratore della lotta all’evasione fiscale,
sia a quella semiriformista promettendo le liberalizzazioni. Ma non dei grandi
monopoli…
Ma senza investimenti produttivi, e praticando sadici e
autolesionistici tagli di bilancio, la situazione economica non potrà non
peggiorare. Soprattutto, se nel tempo, alla lotta all’evasione fiscale
(tecnicamente più difficile) andrà a sostituirsi la crescita della pressione
fiscale (più semplice da attuarsi). Insomma, si possono far crescere i consumi
se si aumentano le tasse e si tagliano gli investimenti produttivi?
Perché il centrosinistra non si libera di Prodi? Un uomo,
ormai, sull’orlo di una crisi di nervi.
Carlo Gambescia
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