martedì 21 novembre 2006


La stretta di mano tra Alberto Franceschini e Agnese Moro 
 Un nuovo inizio


La stretta di mano tra Alberto Franceschini e Agnese Moro dovrebbe far riflettere sulla grande capacità di perdono che hanno gli esseri umani. Ma anche su un fatto molto importante: quando si potrà finalmente parlare in modo imparziale degli “anni di piombo? Probabilmente tra qualche secolo. Oggi probabilmente, al di là dei bel gesto tra persone ragionevoli e culturalmente predisposte al perdono, manca ancora la necessaria distanza storica. Si può comunque provare a chiarire almeno alcuni punti, come dire, “metodologici”.
Va subito ammesso che il terrorismo è una questione complessa. In primo luogo perché è un fenomeno sfuggente: l’etichetta di terrorista, per limitarsi ai moderni, fu usata per Mazzini, strenuo difensore della proprietà privata e dell’esistenza di Dio, e per Stalin, comunista e ateo militante. Il primo organizzava moti insurrezionali, spesso finiti nel sangue, il secondo assaltava i treni per autofinanziarsi. In secondo luogo, il giudizio sull’uso della violenza, può mutare secondo i risultati: nel 1870, il Mazzini, sconfitto da Cavour, venne di nuovo arrestato dalla polizia italiana e rinchiuso a Gaeta. Mentre Stalin, una volta giunto al potere, e soppressi i suoi avversari, assurse a padre dei popoli, buono e generoso. Ciò, ovviamente non significa giustificare o favorire qualsiasi tipo di violenza. In terzo luogo, le vittime del terrorismo e i terroristi sconfitti, vengono automaticamente rimossi dalla storia. A riguardo è esemplare il caso dei vandeani e di Robespierre: vittime e carnefice furono costretti a subire la stessa congiura del silenzio, perché entrambi sgraditi all’ affarismo borghese degli anni Trenta dell’ Ottocento, che voleva tenersi le terre confiscate alla Chiesa e temeva il ritorno del moralismo giacobino. Luigi Filippo il re borghese, Casimir Périer il suo banchiere, e Guizot l’occhiuto ministro liberale dell’interno, ritenevano infatti che la verità dovesse sempre essere funzionale ai buoni affari.
Sorvolando sulla distinzione tra terrorismo di stato e terrorismo contro lo stato, che porterebbe troppo lontano (spesso il primo, come nel caso dei regimi di “socialismo reale”, non è che una continuazione del secondo…), si può ipotizzare che dietro il terrorismo vi sia la progressiva “radicalizzazione” dei movimenti sociali, spesso causata dalla crescente incapacità istituzionale di risolvere i problemi reali della gente. Un gruppo si trasforma in movimento sociale (una specie di microsocietà che aspira a farsi “macro” attraverso il proselitismo), quando non può o non vuole esprimersi, rischiando però di commettere errori di valutazione storica, attraverso i canali istituzionali: sindacati, partiti, gruppi di pressione, istituzioni politiche. Di qui il riaccendersi del conflitto che può assumere, tra le varie forme extra-istituzionali, anche quella più sbrigativa e sanguinaria, della lotta armata e del proselitismo terroristico .
All’inizio degli anni Settanta, la sinistra radicale, si proponeva come interprete e veicolo di una “nuova società”, una specie di mondo nuovo da edificare. Perché criticarla? Era ed è sempre giusto sognare… Ma alcuni movimenti scelsero le armi e designarono come propri nemici, oltre alle istituzioni, quelle forze politiche che per tradizione erano considerate “non progressive“, come il Movimento Sociale. Di qui quella pratica delle rose “rivoluzionarie” e del piombo che provocò la morte di molti giovani di destra. Di qui anche quelle reazioni mimetiche, tipiche di certe situazioni limite e generazionali (a destra e sinistra l‘età media dei “soldatini” politici era molto bassa), che portarono a loro volta, molti ragazzi di destra a scegliere la strada delle armi.. Ovviamente, altri sostengono, con pari dignità interpretativa e attenta documentazione, che fu la destra a cominciare, puntando sul piombo e sul ferro di un colpo di stato alla cilena. E qui si ritorna alla domanda iniziale… Chissà quando si riuscirà a parlare di quegli anni con l’imparzialità dello storico…
Chi vinse? Chi perse? Vinse sicuramente lo stato (com'è e com'era giusto che fosse), ma in particolare il fronte politico moderato: l’Italia non era assolutamente in una situazione pre-rivoluzionaria, né sull‘orlo di un nuovo 1922, come invece riteneva la sinistra radicale; né sul punto di essere invasa (e dunque “salvata”) dai carri armati sovietici, come pretendeva certa destra. Così il terrorismo per reazione rinforzò le forze riformiste (il Psi e il Pci) e conservatrici (la Dc), aiutate pure dall’eccezionale crescita economica degli anni Ottanta. Persero perciò tutti quei giovani, a sinistra e destra, che si erano, volenti o nolenti, combattuti. Le rose dei grandi e spesso fraintesi ideali appassirono, e rimasero solo il piombo e il carcere. Ma per molti di quei giovani si aprì anche la strada del pentimento sincero, e della restituzione a una nuova vita.
Consideriamo perciò quella stretta di mano tra Franceschini e Agnese Moro come un nuovo inizio… E cerchiamo di apprezzarla.
Da uomini di buona volontà.

Carlo Gambescia

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