martedì 28 novembre 2006


La manifestazione del 2 dicembre
Non è una cosa seria



La polemica tra i partiti sul ruolo della “piazza” è piuttosto interessante, anche se sterile sul piano strettamente politico, come vedremo. Ma che sta succedendo? A sinistra, ad esempio, ci si lamenta per la partecipazione di alcuni esponenti dell’attuale governo a manifestazioni antigovernative, che minerebbero la sua compattezza. Invece, a destra, Berlusconi sogna, a proposito della manifestazione del 2 dicembre, di dare una “spallata” al governo di centrosinistra. A loro volta, Prodi, e persino Casini giudicano poco costituzionale l’atteggiamento del leader di Forza Italia. Inutile qui ricordare che il Cavaliere, da Presidente del Consiglio, sostenne le stesse tesi, per criticare le manifestazioni di piazza del centrosinistra. Corsi e ricorsi della politica politicante…
Ma che cos’è la “piazza”? Quali sono le sue origini? E che tipo ruolo può svolgere oggi?
L’idea della “piazza” moderna , o del popolo che si ribella e si lancia alla conquista vittoriosa dei palazzi del potere, nasce con l’insurrezione parigina del 14 luglio 1789: con l’assalto alla Bastiglia. E si sviluppa per tutto l’Ottocento, raggiungendo il suo culmine con la conquista del Palazzo d’Inverno, nell’ottobre del 1917, da parte dei bolscevichi.
Cosicché per quasi tutto il Novecento, con le ultime fiammate nel 1968 studentesco e operaio, la “piazza” diventa sinonimo della volontà popolare di “spezzare” l’ordine politico esistente (da aristocratico fattosi borghese). Si consolida così nell’immaginario collettivo l’idea-forza della “piazza” di sinistra. Vanno però ricordati altri due aspetti.
In primo luogo, l’idea di rottura dell’ordine costituito ha diviso anche gli uomini: c’è chi ha visto nella “piazza” il momento creativo, che doveva preludere, alla costruzione di un nuovo ordine (edificazione che avrebbe perciò giustificato eventuali violenze…); e chi invece l’ha giudicata, come momento distruttivo, capace di liberare i distruttivi diavoli della violenza anarchica. Di qui la necessità, invocata dal potere borghese, di opporre alla violenza rivoluzionaria, la violenza (difensiva o preventiva) del potere costituito: definita, come è noto, “forza pubblica”.
In secondo luogo, nel Novecento fascismo e nazionalsocialismo hanno rimescolato le carte. Come? “Inquadrando” e “mobilitando” le piazze piccolo-borghesi e spesso anche operaie: mescolando rivoluzione e repressione. A suo tempo, si è parlato di rivoluzione conservatrice, di rivoluzioni nazionali, sociali, eccetera. Negli anni Venti e Trenta del Novecento, comunque sia, nasce l’idea-forza di una piazza di destra: grandi adunate di camicie nere e brune, parole d’ordine, la stessa passione delle piazze di sinistra. E lo stesso odio, soprattutto agli inizi, verso il potere costituito liberale e borghese. Ma anche contro la “piazza” di sinistra.
In terzo luogo, dopo il Sessantotto, le grandi manifestazioni, iniziano a perdere ogni parvenza rivoluzionaria ( di conquista della Bastiglia o del Palazzo d’Inverno), acquisendo un elevato valore simbolico e in certo senso teatrale… Oggi, quando si manifesta, va in scena una specie di pantomima rivoluzionaria: si simula una “rivoluzione” che non verrà più. E tutti sembrano essere soddisfatti, se ci passa l’espressione piuttosto forte, di questo continuo coitus interruptus con la rivoluzione. Per usare altri termini, si è sostituito alla guerra il gioco della guerra: alle spade di acciaio quelle di legno. Il che è molto civile. Con la controindicazione però, che si tratta di un progresso legato al benessere diffuso e al soddisfacimento di tutti i bisogni primari. Ragion per cui, conoscendo la natura ludica e avventurosa dell’uomo, non è detto che lo spararsi a salve, possa durare all’infinito. Speriamo di sbagliarci..,
Per tornare all’attuale polemica sulle manifestazioni, parlare di “spallate” e di rispetto della legalità costituzionale, è fuorviante e ridicolo. Perché il contesto storico attuale, ricorda quello di una rappresentazione teatrale. A destra e sinistra, non ci sono più folle lacere come quelle parigine, russe, o armatissime come quelle fasciste e nazionalsocialiste. Siamo davanti a mediocri professionisti della politica democratica, che al massimo mimano la rivoluzione. E che chiedono a “piazze”, popolate di comparse, di assecondarli, a comando… Perché meravigliarsi? E’ del tutto scontato che una classe politica molto omogenea e legata a doppio filo al potere economico, evochi, secondo le circostanze, il pericolo della “piazza di destra”, come nel caso della manifestazione berlusconiana, o quello della “piazza di sinistra”, come a proposito di quella contro il lavoro precario. Si tratta di un triste un gioco delle parti, come in certe brutte farse.
Il discorso potrebbe cambiare, se il contesto economico e sociale mutasse, e in peggio. Si pensi ad esempio alla fame delle folle francesi e russe nel 1789 e nel 1917. Alla gigantesca crisi economica che travolse la Repubblica di Weimar. O all’ inquieta Italia liberale dei primi anni Venti, incapace di dare risposte sociali a reduci, operai e contadini. Ma soprattutto alla scarsa compattezza delle classi all’epoca dominanti.
Ecco, la “piazza”, solo in situazioni simili, può svolgere un ruolo determinante. Quale? Quello di autentico volano rivoluzionario.
E, tranquilli, questo non è assolutamente il caso del 2 dicembre.

Carlo Gambescia

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