mercoledì 8 novembre 2006



Il libro della settimana. Richard Sennett, Autorità, Bruno Mondadori, Milano 2006, pp. 181, Euro 18,00 

http://www.ibs.it/libri/sennett%20richard/libri%20di%20richard%20sennett.html

 Il concetto di autorità è la pietra filosofale della politica. Quella cercata da generazioni di filosofi e uomini politici per trasformare spesso un potere, frutto di rotture rivoluzionarie, nell’oro della legittimità politica. E mai trovata. La storia, infatti, come insegna Pareto, assomiglia a un gigantesco cimitero di aristocrazie, che, di volta in volta, hanno cercato, di puntellare il proprio potere ricorrendo alle più diverse forme di autorità: religiosa, filosofica, politica, economica.
Soprattutto i moderni si sono dedicati a questa ricerca “alchemica”. Ma con risultati alterni: dall’autorità del monarca assoluto e poi costituzionale, padri non sempre benevoli, sono passati a quella dei parlamenti e degli stati totalitari, per giungere infine, quasi a chiudere un ciclo storico, a quella del welfare state, un padre spesso occhiuto quanto il re assoluto seicentesco .
A questa ricerca si è dedicata anche la sociologia, che da buona erede della “scuola del sospetto” (Marx, Nietzsche, Freud), ha continuato a investigare su cosa si nascondesse dietro l’autorità: spesso vista come puro potere dell’uomo sull’’uomo. A riguardo, sono celebri, le teorie della Scuola di Francoforte, che coniugando Marx e Freud, scorsero nell’ autorità il soffocante prolungamento carnivoro della società capitalistica. Per contro, le interpretazioni di Tocqueville, Weber e Durkheim, scorsero giustamente nell’autorità una necessità sociale: il portato di una naturale e misurata pressione sociale nei riguardi di un individuo, a sua volta, spontaneamente bisognoso di vivere in una società ordinata e stabile.
Ma non vorremmo annoiare il lettore, con pedanti lezioncine di sociologia spicciola. Queste brevi note servono solo per inquadrare meglio il testo, fresco di stampa, di Richard Sennett (Autorità. Subordinazione e insubordinazione: l’ambiguo vincolo tra il forte il debole, pref. di Ota de Leonardis, Bruno Mondatori, Milano 2006. pp. 181, euro 18.00). Un sociologo americano, molto noto in Italia, del quale abbiamo già recensito positivamente La cultura del nuovo capitalismo (Post del 19-4-2006).
Ora, l’analisi che Sennett fa del concetto di autorità, si muove a metà strada tra la scuola del sospetto, in particolare Freud, il quale vedeva nel concetto di autorità la sublimazione di conflitti sessuali e latenti pulsioni intrafamiliari, e quella della necessità sociale, soprattutto nella versione di Weber. Un gigante del pensiero sociale, che interpretava l’autorità, come segno di rispetto dei moderni verso un sapere sempre più neutrale ma burocratizzato, anche a livello politico.
Va dunque precisato che il libro di Sennett non propina alcuna geremiade su presunte forme ab aeterno di autorità. Perciò è un testo che non potrà appagare il “tradizionalista” di stretta e varia osservanza. Si tratta solo del libro di un sociologo progressista, che in precedenza ha scritto cose interessanti, e che in Autorità cerca di fare i conti con un mondo secolarizzato, come quello di oggi, dove l’autorità viene vissuta dagli uomini in modo contraddittorio: per un verso come ostacolo alla libertà individuale, e per l’altro come dispensatrice di certezze assistenziali. Uno studio, che tuttavia, come vedremo, incorre in una seria contraddizione di fondo.
Ma illustriamo le sue tesi.
Sennett ritiene che l’autorità nasca da una forma di “scambio tra il forte e il debole” (p. 24). In proposito cita Hegel, quello della Fenomenologia dello spirito. Un testo che ispirò e affascinò Marx. E dove appunto viene teorizzata la figura dell’uomo sconfitto, che si sottomette al vincitore, accettando di diventarne servitore. E, anche secondo Sennett, ciò accadrebbe perché l’uomo è naturalmente attratto dalla necessità di “riconoscere”, ed essere a sua volta riconosciuto (seppure nella veste di servo) da figure forti. Il che però, in noi moderni, abituati a respingere ogni autorità, provoca un ulteriore problema: “Il dilemma dell’autorità - scrive lo studioso - , quale lo viviamo oggi, è il tipo particolare di paura che ne proviamo sono costituiti dal fatto che ci sentiamo attratti da figure forti pur non credendo che siano legittime . (…) Ciò che è caratteristico dei tempi nostri è che i poteri formalmente legittimati nelle istituzioni dominanti suscitano un forte senso di illegittimità in quanti sono loro sottoposti. Tuttavia questi poteri si trasformano anche in immagini della forza umana: autorità sicure di sé, che giudicano da una posizione superiore, impongono la disciplina morale e incutono paura. La gente viene attirata nell’orbita di queste autorità come le falene vengono attratte senza volerlo dalla fiamma “ (p. 25).
Le istituzioni che Sennett ha di mira, visto che il libro risale al 1980, sono quelle del welfare state, prima del tornado neoliberista. Istituzioni, dai molti occhi, che spesso proteggono per controllare meglio il cittadino. E che a suo avviso fanno il paio con quelle di certo capitalismo paternalista, che impadronendosi della Stato, darebbe vita a quel micidiale mix, tra esenzioni fiscali per la grande impresa e tasse elevate per tutti gli altri cittadini. Con la scusa, ovviamente, di garantire lo sviluppo per tutti… E le pagine in cui si parla della dipendenza psicologica da paternalismo assistenziale sono le più interessanti del libro.
Ma quali sono i suggerimenti di Sennett per uscire dall’ impasse?
Sennett propone che governanti e governati, si sforzino di usare criteri di comando e obbedienza, “leggibili” e “visibili”. Ma in quale senso? “ ‘Visibile’ - scrive l’autore - significa che i detentori di posizioni di potere devono esprimersi in modo aperto, essere chiari su quello che possono e non possono fare ed espliciti sulle loro promesse. (…) ‘Leggibile’ specifica i modi di questo discorso aperto (…). L’atto di leggere [da parte dei cittadini] è sempre un’attività riflessiva: la purificazione, la maschera, l’empatia, il mettere da parte la paura, sono azioni che i subordinati compiono su stessi allo scopo di meglio vedere e giudicare le autorità con le quali hanno a che fare” (p. 149).
Qui si impone una domanda. Ma se l’autorità nasce dalla sottomissione del debole verso il forte, e dunque è un fatto antropologico, come sarà possibile che criteri culturali e storici, come la leggibilità e la visibilità, possano mutare questa situazione di dipendenza naturale?
Si tratta di un quesito al quale Sennett non risponde. Si dirà che non essendo un filosofo, non è tenuto a chiarire quesiti del genere. Ma allora perché scomodare Hegel e la dialettica servo-padrone per spiegare il concetto di autorità? Sarebbe bastata la moderna idea di contratto tra deboli che delegano “a tempo limitato” un forte, affinché li rappresenti e difenda. Idea che risale a Hobbes e soprattutto a Locke e al pensiero autenticamente liberale. E qui per capire serve un esempio pratico.
Se il welfare state novecentesco, come principale manifestazione dall’autorità politica e sociale, è figlio di una costante antropologica, immodificabile, allora qualsiasi tentativo di riforma sarà inutile. Perché tra rischio e sicurezza gli uomini sceglieranno sempre la sicurezza, anche rinunciando alla libertà. Proprio come il servo di Hegel. Se invece la sottomissione del debole al forte è un dato culturale (e contrattuale nel senso di Locke), e quindi modificabile, allora è possibile che introducendo quei criteri di leggibilità e visibilità giustamente auspicati da Sennett, si possa andare oltre il welfare state tradizionale, e al tempo stesso tutelare la sicurezza del cittadino. Il che, in termini politici, significa individuare un punto di equilibrio tra Stato e Mercato.
Sennett, sembra invece oscillare tra l’autoritarismo di Hegel e il liberalismo di Locke: tra il servo e il cittadino. E così pare auspicare tutto e il contrario di tutto: lo Stato sociale e le riforme liberiste, le tasse elevate e lo sviluppo…
Abbiamo perciò l’impressione che Sennett si arrampichi sugli specchi, incapace di scegliere, se ci passa l’espressione abusata, tra natura e cultura…
No, Autorità, non è un libro riuscito.

Carlo Gambescia 

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