Trita e ritrita baraonda politica intorno al caso Sala. Per capirsi subito: ogni fazione politica tira l’acqua al proprio mulino, e in modo scandaloso.
Piovono teorie complottiste di ogni tipo. C’è chi liquida la giornalista del “Foglio” come turista per caso, chi la bolla come figlia di papà, chi parla di legami con la Cia, chi è contro i giudici, chi a favore. Chi condanna l’Iran, chi gli Stati Uniti. Insomma la solita compagnia di giro. E purtroppo il cielo non è sempre più blu.
Per dirla con Giacomo Leopardi, ora tornato di moda, miracolosamente senza gobba, ma da sempre allievo di Omero, ci troviamo davanti alla consueta batracomiomachia, cioè “battaglia dei topi e delle rane”.
Tutto questo per nascondere che cosa? La costitutiva debolezza italiana. Che poi non altro che qualcosa di connaturato, quindi di normale, diciamo fisiologico, alla struttura geopolitica italiana. Che è quella di una media potenza, che sul piano militare più che media è piccola.
Perciò c’è poco da declamare a proposito dell’ “orgoglio italiano”, come fa coprendosi di ridicolo Giorgia Meloni. L’Italia non può minacciare nessuna rappresaglia militare. La teocrazia iraniana può dormire sonni tranquilli. L’Italia potrebbe farlo per procura via Israele o via Stati Uniti. Ma non ha coraggio né relazioni: israeliani e statunitensi non si fidano dell’Italia.
Quanto all’Europa, oltre ad essere divisa sui rapporti con l’Iran, non ha alcuna capacità militare di castigare direttamente Teheran con brillanti azioni mordi e fuggi.
Pertanto – ed è giusto sottolinearlo – l’Italia è sola. Però la solitudine non può essere considerata un’attenuante. Perché c’è modo e modo di cadere davanti al nemico: piagnucolando o mostrando il petto.
Intanto, alle divisioni – la ridicola batracomiomachia di cui sopra – tra le varie fazioni politiche, visto che siamo in Italia, in Europa, in Occidente, crediamo debba subentrare l'intesa intorno a un valore sacro che si chiama libertà di stampa. Che va difeso. Come? Non trattando. La libertà di pensiero e parola non è merce di scambio.
E Cecilia Sala? La famiglia? Gli amici? La sia dia come caduta sul campo. E queste persone? Se ne facciano una ragione.
Certo è dura da mandare giù. Però la libertà di stampa, e Cecilia Sala non può non saperlo, è una buona causa per andare in prigione e persino per morire. E la giornalista, in questo momento, proprio perché tale, la rappresenta, qualunque sia la ragione dell’arresto evocata dai teocrati iraniani. Perciò, come del resto sembra, deve continuare a dare prova di essere all’altezza di una situazione altamente simbolica. Che va oltre la sua stessa persona.
I giornalisti non si toccano. Ecco il messaggio forte. I conti poi si fanno alla fine. Intanto, l' identificazione tra libertà di stampa e Occidente è e deve essere totale. Guai a indietreggiare di un solo passo.
Pertanto solo l’idea di trattare, che purtroppo sembra prevalere in Italia, dove addirittura si chiede il silenzio stampa, qualcosa di tragicomico, che equipara Roma a Teheran, è un tradimento dell’idea di libertà, così come la concepiamo in Occidente.
Come dicevamo sopra, si piagnucola dinanzi al plotone di esecuzione.
Si dirà ma l’iraniano arrestato, la merce di scambio con la Sala, come piacerebbe ai teocrati di Teheran? Gli
americani che chiedono l’estradizione? Che fare? La libertà di stampa
non è negoziabile. Si deve procedere come se l’iraniano non fosse merce di
scambio. Legalmente, a termini di legge, come dicono i burocrati.
Quanto al futuro, dicevamo dei conti che si fanno alla fine, proprio perché nessun giornalista si sia sacrificato invano, ci si arma come si deve, ci si coalizza, si preme il grilletto, colpendo senza pietà i nemici dell’Occidente. I nemici della libertà di stampa.
Carlo Gambescia