giovedì 11 dicembre 2025

Volodymyr Zelensky o del coraggio

 


Quando la storia decide di decollare raramente chiede  permesso. Nel caso di Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina, l’accelerazione è arrivata con i carri armati russi alle porte di Kiev. E lì, dove molti al suo posto avrebbero cercato una via di fuga, secondo la superata modellistica terzomondista del dittatore fantoccio delle potenze neocoloniali, lui ha scelto la strada più rischiosa: restare e battersi con la sua gente.

Il famoso "mi servono munizioni, non un passaggio (in elicottero)" — frase a lui attribuita e rilanciata da un’ importante agenzia di stampa americana — non è solo uno slogan. Siamo dentro un intero programma politico condensato in poche parole: il dovere prima della paura, la responsabilità prima dell’interesse personale.



Zelensky non arriva ai vertici passando dai tradizionali corridoi di potere. Prima di entrare in politica, era noto per la serie “Servant of the People”, dove interpretava un professore di liceo catapultato alla presidenza quasi per caso.

Molti lo hanno sottovalutato: un comico, un outsider, un personaggio prestato alla politica. Ma la politica ucraina — e la guerra — hanno spazzato via ogni caricatura.

La notte del 24 febbraio 2022, quando l’invasione russa diventa un fatto compiuto, Zelensky resta a Kiev con il governo, filmando messaggi diretti al Paese mentre le sirene antiaeree riempiono l’aria.

Questa scelta ha impedito il collasso delle istituzioni ucraine, ha cementato il sostegno popolare e ha messo in difficoltà la retorica del Cremlino. Diciamolo pure: un Churchill ucraino.



È qui che diventano necessarie alcune precisazioni rispetto alle critiche piovute in questi anni, perché non hanno nulla a che vedere con la realtà dei fatti.

Che Donald Trump accusi Zelensky di essere un ostacolo alla pace è grottesco. Un piazzista politico – parliamo di Trump – che ha passato anni a vendere se stesso come soluzione universale, e che nel frattempo ha tentato di delegittimare le elezioni del proprio Paese, non è una fonte autorevole quando parla di democrazia.

Le critiche di Vladimir Putin, secondo cui Zelensky sarebbe un fantoccio dell’Occidente, fanno sorridere per una ragione semplice: arrivano da chi ha eliminato, anche fisicamente, ogni opposizione, incarcerato rivali e trasformato le elezioni in un rituale senz’anima. Sentir parlare di libertà politica da un personaggio del genere è comicità involontaria. Diciamo tragicomicità…

Infine alcune destre e sinistre filo-Mosca ripetono il mantra del  Zelensky  “servo dell’Occidente”, secondo la decrepita vulgata anticolonialista. L’Ucraina si difende perché è stata aggredita, punto. Non c’è nessuna metafisica della geopolitica dietro: c’è un esercito invasore, e un Paese che non vuole essere cancellato dalla carta. Qui la disinformazione raggiunge il suo apice.



Trump e Putin accusano Zelensky di non voler tenere le elezioni. Due campioni della democrazia, certo. Domanda: quando si è mai votato nel mezzo di una guerra totale? Risposta: mai. Durante la Prima guerra mondiale , le consultazioni furono rinviate ovunque. Durante la Seconda guerra mondiale nessuno pensò di mandare al voto cittadini sotto bombardamento o soldati in trincea.

E l’Ucraina è in una situazione ancora più estrema: territori occupati, milioni di sfollati, mobilitazione totale. Sarebbe ingiusto e materialmente impossibile tenere elezioni: chi combatte non vota, chi è sfollato rischia di non essere rappresentato, chi è sotto occupazione non può esprimersi.

Consigliamo a Zelensky, se ci è permesso, di non cedere sul punto. Anche perché Mosca vuole solo mettere al suo posto, e  non sarebbe la prima volta,  un vero fantoccio.

Da ultimo, le voci secondo cui Zelensky si arricchirebbe durante la guerra sono smentite dai fatti: non esiste una sola prova concreta. Le istituzioni anticorruzione — dal National Anti-Corruption Bureau of Ukraine ai media investigativi — continuano a operare liberamente. Se ci fosse qualcosa di vero, lo sapremmo. Il resto è propaganda riciclata.



Zelensky ha fatto il giro dei  parlamenti di mezzo mondo — incluso il Congresso — costruendo una rete diplomatica senza precedenti. Niente formalismi, niente frasi di circostanza: una comunicazione diretta, urgente, efficace. È la diplomazia di chi difende casa propria. Uno che sopporta il doppio gioco di Giorgia Meloni, oltre tutto, è un santo. Roba da prenderla a schiaffi. Come i cazzotti che avrebbe voluto dare a Trump e al suo vice. E si è trattenuto.

Non sappiamo come finirà la guerra, ma una cosa è chiara: Zelensky ha riportato nella politica un concetto che troppi avevano archiviato: il coraggio. E di cui l’Europa, volenterosi o meno, avrebbe tanto bisogno. Quello vero, non quello da conferenza stampa.

Ed è questo che dà così fastidio ai piazzisti, ai pagliacci e ai nostalgici delle autocrazie: Zelensky, semplicemente, li smaschera con l’esempio.

Carlo Gambescia

Bibliografia minima

Non c’è buona letteratura in italiano su Zelensky, si vedano perciò S. Shuster, The Showman. Inside the Invasion That Shook the World and Made a Leader of Volodymyr Zelensky, Harper Collins, 2024; M. Minakov, J. Lloyd, A. Umland, From Servant to Leader: Chronicles of Ukraine Under the Zelensky Presidency 2019–2024, Ibidem Verlag, 2024. Per una buona raccolta dei suoi discorsi nella fase iniziale dell’invasione si veda V. Zelensky, Per l’Ucraina, La nave di Teseo, 2022.

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