lunedì 29 dicembre 2025

Un altro passo verso il regime: la riforma della Corte dei Conti e il liberalismo come alibi

 


La recente riforma della Corte dei Conti è dipinta da un governo che non conosce vergogna politica come un passo verso il liberalismo.

In realtà, dopo la separazione delle carriere e la prossima riforma della legge elettorale (perché quella costituzionale, in senso presidenzialista, per ora è più complicata), la riforma della Corte dei Conti rientra, e alla grande, in quelle che potremmo chiamare le leggi “melonissime” verso il regime. Fascista? Diciamo verso una società chiusa, illiberale, in cui i poteri di controllo vengono progressivamente svuotati e ricondotti a funzioni ornamentali, mentre l’esecutivo si sottrae a ogni responsabilità effettiva.

Il lettore non sorrida, perché le leggi “fascistissime” (1925-1926) furono certo qualcosa di più pesante, brutali e dichiaratamente autoritarie. E come vedremo, quelle “melonissime” sono invece presentate come inevitabili, tecniche, persino ragionevoli e vanno a svilupparsi lungo l’arco di una legislatura (2022-2027), o comunque per parte di essa. Tuttavia il futuro che ci aspetta non sarà certamente differente, vista la stessa logica che ispira queste misure.



Giorgia Meloni, più che ispirarsi a Mussolini, sembra voler incarnare l’arte almirantiana del passo dopo passo. Almirante non vi riuscì, negli anni Settanta del secolo scorso, perché il fuoco di sbarramento dell’antifascismo lo respinse nel ghetto da dove era venuto; per la Meloni, nella poltiglia populista di oggi, che abbraccia una destra e una sinistra che gareggiano in populismo, tutto è più facile. Anche perché, grazie al sostegno della discutibile compagnia ideologica internazionale con cui si accompagna — a partire da Trump — può presentarsi in Italia come una leader seria, lungimirante e valorosa. Una commedia che, tra qualche anno, una volta che la destra avrà conquistato il Quirinale grazie a una legge elettorale con un sostanzioso premio di maggioranza, rischia di trasformarsi in tragedia per le libertà di cui abbiamo goduto finora. 

Questo processo, tuttavia, non si realizza attraverso colpi di mano o svolte plateali. Avanza piuttosto per micro-aggiustamenti istituzionali, riforme presentate come tecniche, depoliticizzate, persino noiose. È la conquista del potere per accumulazione: l’indebolimento progressivo dei controlli, la delegittimazione dei contropoteri, la normalizzazione dell’idea che l’efficienza amministrativa conti più della responsabilità, che la velocità decisionale valga più della legalità sostanziale. In questo schema, come anticipato, rientrano la separazione delle carriere, l’attacco strisciante alla magistratura, la riforma elettorale con congruo premio di maggioranza e, oggi, la riforma della Corte dei Conti. Non episodi scollegati, ma tasselli coerenti di un disegno che mira a ridurre ogni forma di freno istituzionale all’esercizio del potere esecutivo.



Si dirà (tipico ragionamento di sapore  fascista): il popolo può fare anche a meno della libertà, basta che la pancia e altre parti del corpo siano soddisfatte. Probabilmente è così.  Però il risveglio sarà brusco – il lettore non ci accusi di fare fantapolitica – quando Mosca imporrà l’invio di contingenti italiani per le sue guerre lontane. Il futuro sarà di ferro. Soprattutto una volta fuoriusciti da quella società aperta e liberale sulla quale oggi non pochi sputano sopra, perché sarebbero i liberali – ecco la grande menzogna che si pagherà cara – a volere la guerra.

A questo punto è necessario chiarire un equivoco solo apparente. Il passaggio dalla cornice politico-ideologica all’analisi della riforma della Corte dei Conti non è una contraddizione argomentativa, ma il cuore stesso del problema. Le riforme istituzionali non sono mai neutre: anche quando si presentano come interventi tecnici, esse riflettono sempre una precisa idea di potere e di rapporto tra Stato, cittadini e controlli. Nel caso in esame, la retorica del liberalismo serve precisamente a mascherare un’operazione di segno opposto.

Qui si misura la distanza abissale tra il liberalismo come dottrina della limitazione del potere e il finto liberalismo evocato dal governo Meloni. Il primo vive di controlli, responsabilità, disciplina di bilancio, separazione effettiva dei poteri. Il secondo è un liberalismo di comodo, evocato quando serve a giustificare l’allentamento dei vincoli e l’espansione discrezionale dell’esecutivo. Non si tratta di un errore concettuale, ma di una strategia politica consapevole: si gioca a fare i liberali quando conviene, salvo svuotare dall’interno gli strumenti che rendono il potere realmente responsabile.



Ma veniamo alla riforma della Corte dei Conti. In questo quadro, essa non rappresenta un dettaglio marginale, bensì un passaggio strategico, perché colpisce uno dei luoghi in cui, in uno Stato liberale, il potere dovrebbe fermarsi a rendere conto: il controllo sull’uso delle risorse pubbliche. A un’analisi più attenta, l’etichetta appare più retorica che reale, in senso liberale ovviamente. È vero che la riforma introduce snellimenti procedurali, ma riduce la responsabilità erariale dei funzionari e prevede meccanismi di silenzio-assenso per l’approvazione di atti e pareri (*).

Tutto questo aumenta la flessibilità operativa dell’amministrazione pubblica, ma non incide in alcun modo sui volumi della spesa né sull’efficacia del controllo dei bilanci, che restano elementi centrali dal punto di vista liberale.

E qui si deve riflettere seriamente su un punto fondamentale. Il dibattito politico che ha accompagnato l’approvazione della legge è stato sorprendentemente unitario. Da un lato, il governo ha enfatizzato la presunta “liberalizzazione” come strumento di modernizzazione e velocizzazione della macchina pubblica. Dall’altro, l’opposizione ha puntato l’attenzione sui possibili rischi di malaffare e di responsabilità non accertate, senza però interrogarsi sulle implicazioni più profonde: la spesa pubblica resta sostanzialmente illimitata e il quadro dei controlli risulta indebolito.

In termini strettamente liberali, una riforma degna di questo nome dovrebbe combinare due elementi: riduzione della spesa pubblica e rafforzamento dei controlli sui bilanci. Solo così si garantirebbe che le risorse siano allocate con efficienza e responsabilità, tutelando l’interesse generale senza cedere né alla burocrazia né alla retorica. La riforma approvata, invece, sembra offrire più libertà di gestione agli amministratori pubblici senza alcun freno reale alla spesa: ciò che dai tempo di Pisistrato, ogni tiranno a sempre sognato. In sintesi: un liberalismo di facciata, che nasconde dietro l’etichetta progressi in realtà marginali o addirittura pari a zero.



In conclusione, mentre il dibattito si concentra su episodi di responsabilità individuale o presunti abusi, il cuore della questione – il rapporto tra liberalismo, disciplina di bilancio e spesa pubblica – resta intatto. La riforma si limita a modificare procedure e responsabilità senza toccare i nodi strutturali di una gestione pubblica più libera e rigorosa.

Non ci stancheremo ma di ripeterlo: se davvero si volesse parlare di liberalismo, il tema centrale non sarebbe chi firma cosa, ma quanto e come lo Stato spende le risorse a disposizione. E soprattutto si imporrebbe la ridiscussione stessa del concetto di spesa pubblica. Cosa che i concorrenti populismi di destra e sinistra impediscono.

E nessuno si meravigli, dunque, se la riforma della Corte dei Conti non è che un altro passo. Un passo piccolo, tecnico, apparentemente innocuo, come tutti quelli che contano davvero. Perché il potere non si conquista con gli strappi, ma con l’abitudine. Quindi non solo con le leggi eccezionali, ma con quelle presentate come inevitabili.

Il vero liberalismo non si proclama, si misura. Di conseguenza quando ci si accorge che il controllo è svanito, che la spesa corre senza freni e che le libertà si riducono a concessioni, il percorso è già compiuto. Il liberalismo posticcio non serve nemmeno più come alibi: restano i proclami, la sostanza del discorso è evaporata.


Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.avvisopubblico.it/home/home/cosa-facciamo/informare/osservatorio-parlamentare/attivita-legislativa/attivita-legislativa-nella-xix-legislatura/riforma-funzioni-corte-dei-conti-il-testo-approvato-al-senato/ .

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