venerdì 12 dicembre 2025

L’oro “del popolo”: storia, mezze verità e tentazioni sovraniste (e fasciste)

 


Quando Lorenzo Bini Smaghi, quello con il vizietto dell’allusione controllata (come sulla caduta di Berlusconi), afferma che sul caso dell’oro italiano “si scatena una tempesta in un bicchiere d’acqua” e ricorda che nel 2005 e nel 2019 ci furono tentativi simili, dice qualcosa di storicamente vero ma politicamente fuorviante (*).

Perché questa volta il contesto è completamente diverso. E ometterlo significa, volenti o nolenti, regalare una sponda retorica a chi — dalla trincea sovranista — agita da anni vecchie teorie monetarie travestite da “giustizia per il popolo”.

Per capire il punto, bisogna tornare un attimo indietro. Nel 1936, in pieno fascismo, la grande riforma bancaria trasformò la Banca d’Italia in un istituto di diritto pubblico, le affidò il monopolio dell’emissione e ridisegnò il sistema creditizio. Sulla carta sembrava un rafforzamento dell’autonomia tecnica; nella realtà era un’autonomia di facciata. In uno Stato autoritario non esiste vera indipendenza: la politica dirige, la banca centrale esegue.

La sostanza cambia soltanto negli anni Ottanta, con il celebre “divorzio” del 1981 tra Tesoro e Bankitalia. Ciampi e Andreatta spezzano l’obbligo per via Nazionale di comprare i titoli invenduti dello Stato. Di conseguenza: 1) addio stampante monetaria d’emergenza; 2) addio deficit coperti “alla buona”; 3) benvenuto controllo dell’inflazione.



Fu un passaggio duro, perché gli interessi sul debito schizzarono verso l’alto: per attrarre investitori veri, non bastavano più le pacche sulla spalle del Tesoro. Ma fu anche l’unico modo per costruire una banca centrale moderna, finalmente autonoma dalla politica e soprattutto nelle decisioni e sganciata dagli umori del governo di turno. Il tutto in previsione di una moneta unica europea. Il lettore prende appunto mentale.

Insomma: nel 1936 l’indipendenza era un orpello giuridico; nel 1981 diventa sostanza. Ed è questo percorso storico che rende così stonata l’idea di “riappropriarsi” dell’oro per difendere l’Italia dallo “Straniero”.

Il passo del gambero è invece arrivato ieri con un emendamento di Fratelli d’Italia alla legge di bilancio, volto a “proteggere le riserve auree” e a precisare che l’oro “appartiene al popolo italiano” (**).

Motivazione ufficiale: tra gli azionisti di Bankitalia ci sono anche soggetti privati, alcuni dei quali riconducibili a gruppi esteri. Servirebbe dunque “chiarezza” per evitare “rischi”. In un talk show questa spiegazione funziona. Nelle realtà economica un poco meno.

Roba da ruota quadrata e di pietra. Perché  se anche ci fosse una “minaccia dallo straniero”,  la questione  andrebbe subito accantonata   come falso problema. 

L’Italia non può usare il suo oro come garanzia verso la BCE: nell’Eurozona la politica monetaria è gestita centralmente e la BCE resta indipendente dagli Stati membri. Lo stesso vale per le banche centrali nazionali, che partecipano al sistema europeo e non possono utilizzare le proprie riserve auree per operazioni di credito nazionali.

Inoltre il nostro oro serve a poco o nulla come leva economica verso Francoforte: il valore dell’euro non dipende dai caveau di via Nazionale, ma dalla credibilità complessiva dell’Eurozona e dalla politica monetaria europea. 

In altre parole, agitare l’oro come simbolo di sovranità è solo retorica: la realtà pratica è che la difesa dell’Italia passa dalla stabilità della moneta unica e dalla fiducia dei mercati, non dal metallo nei caveau (***).

Detto brutalmente: il problema non è la proprietà dell’oro, ma la fiducia dei mercati che scorgono, e giustamente, nei governi e negli stati, veri e propri intrusi affamati di denaro a scopo elettorale.

 


L’intento sotterraneo e fin troppo ambizioso di Fratelli d’Italia è di piegare il sistema europeo delle banche centrali con un emendamento identitario infilato nella notte di bilancio.

Non a caso la BCE ha chiesto di rivedere la norma, segnalando il rischio di minare l’indipendenza della Banca d’Italia. Quando Francoforte si muove così chiaramente, non siamo più nella polemica da talk show: siamo in zona rossa istituzionale.

La ripresa del tema non è casuale. Sotto c’è una precisa tradizione politica. Che ha il profumo delle bislacche teorie — una specie di modernariato — del professor Auriti (signoraggio, potere usurpato, denaro “del popolo”), fino al vero e proprio antiquariato di stampo fascista che rinvia alle allucinazioni di Ezra Pound e ancora prima alle stramberie della cosiddetta scuola del “denaro libero” di Silvio Gesell, che criticava l’interesse come forma di usura e proponeva monete a scadenza per favorire la circolazione della ricchezza, penalizzando però l' accumulazione e  il conseguente autofinanziamento delle imprese. Un suicidio.

Visioni prive di basi economiche, respinte da ogni banca centrale del mondo ma mai realmente scomparse: sopravvivono nei forum sovranisti, nei pamphlet identitari, nei video che girano a raffica su Telegram. Leggende metropolitane economiche che hanno sempre attratto fascisti e nazisti nelle loro versione ante, ex, post. Tutti nemici del libero mercato, nonché del denaro come la più alta forma di libertà economica.

E infatti, ora che Fratelli d’Italia è al governo — classico riflesso pavloviano-fascista — quella retorica viene riproposta in versione istituzionale: patriottismo monetario, diffidenza verso lo straniero e l’illusione che basti proclamare la “proprietà popolare” dell’oro per rafforzare la sovranità nazionale. 

 


Una retorica, da spostati, da “eravamo quattro amici al bar”, totalmente scollegata dai meccanismi reali di un mercato mondiale che vive, e giustamente, all’insegna dell’ubi bene, ibi patria.

Fratelli d’Italia parla di popolo ma in realtà adora lo Stato onnivoro pronto a tutto, persino a mettere le mani nei caveau della banca centrale.
Invece per la teoria economica liberale — quella seria, non quella da talk show — il valore dell’oro lo fa il mercato, non un decreto. Politicizzare le riserve significa solo puntare su una overdose di statalismo: usare l’economia come motore della spesa pubblica per rubare consenso.



Tornando a Bini Smaghi, va ripetuto che non sbaglia quando ricorda i precedenti del 2005 e 2019. Perché lì si discuteva — maldestramente, va detto — di vendere una quota dell’oro o tassarne le plusvalenze. Idee discutibili, ma inserite in un ragionamento tecnico. Oggi no: 1) non esiste una vera strategia economica; 2) non c’è un obiettivo concreto di gestione delle riserve; 3) si tratta di un gesto puramente simbolico, volto a rafforzare una retorica sovranista, e, diciamolo senza mezzi termini, con evidenti richiami fascisti.

Mettere tutto sullo stesso piano equivale a confondere un intervento edilizio con un incendio doloso. La casa è la stessa, ma le intenzioni sono opposte.

L’oro non è minacciato. Per contro resta fondamentale la fiducia dei mercati. Al limite l’oro va e viene. In un mondo globalizzato, tracciato dai flussi del denaro elettronico, solo chi ha nostalgie autoritarie e autarchiche può immaginare che l’Italia rischi di perdere il suo oro.



Il punto non è il metallo: è la politica che gli gira attorno. Dietro lo slogan dell’“oro del popolo” c’è la tentazione — antica e ricorrente — di riportare la banca centrale sotto il controllo diretto del governo. E diciamola tutta di sfasciare tutti e di uscire dall’Europa. Di andare addirittura oltre la stessa legge del 1936. Una tentazione che nulla ha a che vedere con la democrazia liberale e la libertà di mercato e che invece ha molto a che fare con la nostalgia autarchica.

E quando perfino economisti esperti, come Bini Smaghi, accettano di muoversi nel terreno delle mezze verità, il rischio è che la discussione si intorpidisca, che la democrazia perda lucidità e, soprattutto, che i cittadini vengano presi per il naso.

Concludendo, a fronte di un denaro elettronico si propaganda il ritorno allo scambio di conchiglie, ovviamente garantite dall’oro…

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.adnkronos.com/economia/bini-smaghi-su-oro-di-bankitalia-tempesta-in-un-bicchiere-dacqua-per-distrarre_2iltLBMpDGhYI0nDG7IQxQ .

(**) Qui: https://www.adnkronos.com/economia/oro-di-bankitalia-emendamento-di-fratelli-ditalia-per-proteggerlo-da-mani-straniere_1BFCLznnLqIzzS1balJNTk .

(***) L’Italia possiede circa 2.450 tonnellate d’oro, tra le prime 10 riserve mondiali, pari a circa 40 grammi pro capite. Rispetto al PIL l’incidenza è modesta e gran parte dell’oro è custodita da Bankitalia o all’estero: serve poco per finanziare lo stato perché come detto nell’Eurozona la moneta è gestita dalla BCE, che resta indipendente dai governi nazionali. Qui: https://www.bancaditalia.it/compiti/riserve-portafoglio-rischi/riserve-oro/index.html?utm_source=chatgpt.com&dotcache=refresh .

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