martedì 23 dicembre 2025

Donald I, Imperatore dell’emisfero occidentale

 


 

Si legga qui, è di ieri: «Abbiamo bisogno della Groenlandia per la sicurezza nazionale, dobbiamo averla», ha detto — e ripetuto più volte — Donald Trump, parlando con i giornalisti e commentando la nomina del governatore della Louisiana, Jeff Landry, a inviato degli Stati Uniti per la Groenlandia. «Abbiamo bisogno della Groenlandia per la protezione nazionale, non per i minerali. Hanno una popolazione molto piccola… Dicono che la Danimarca fosse lì 300 anni fa con una barca. Beh, anche noi eravamo lì con le barche, ne sono sicuro», ha aggiunto Trump (*).

Sapete, cari lettori, chi era animato da una volontà di potenza simile e finì per contribuire in modo decisivo allo scoppio di una guerra mondiale? Guglielmo II Hohenzollern, imperatore del II Reich tedesco, 1871–1918 (il I Reich è il Sacro Romano Impero medievale, mentre il III Reich sarà quello di Hitler, quando si dice il caso…).

Guglielmo II – Il “Kaiser” – era celebre per il suo avventurismo politico, per la Weltpolitik e per dichiarazioni del tipo «ci serve questo, ci serve quello». Francia e Gran Bretagna ironizzavano spesso su quella sua mania di grandezza, che non di rado si traduceva in iniziative diplomatiche e militari mal calcolate. Poi però finì come tutti sappiamo.



Ora la domanda è: Guglielmo II aveva alle spalle una cultura aristocratico-militare prussiana, un ethos imperiale che, nel bene e nel male, inscriveva il suo comportamento in un contesto storico preciso, segnato da rivalità tra potenze e da una concezione aggressiva del prestigio internazionale. Trump invece? Dovrebbe muoversi all’interno della più antica costituzione scritta liberal-democratica del mondo. Gli sfondi storici e culturali sono profondamente differenti. Eppure, ci risiamo.

Il punto, allora, non è il gioco — sempre un po’ ozioso — delle analogie storiche prese alla lettera, ma la natura del potere che Trump incarna. Nella storia esistono leader animati da una volontà di potenza distruttiva e leader capaci di trasformarla in ordine politico. La differenza non sta nella forza dell’ego — comune a entrambi — ma nell’intelligenza istituzionale.

Silla distrusse la Repubblica senza lasciare nulla di duraturo; Cesare aprì uno spazio di possibile ricomposizione; Augusto trasformò la forza in stabilità, la violenza in ordine, l’eccezione in sistema. Trump, invece, appartiene alla prima categoria: non interviene su un corpo politico morente, ma su una democrazia ancora funzionante, seppure fragile. È proprio questo a renderlo pericoloso: non cura una malattia terminale, ma peggiora una crisi in divenire.

 


La sua volontà di potenza non si traduce in progetto, riforma o nuova architettura istituzionale, bensì in pura personalizzazione del potere. Non è un Augusto mancato: è un distruttore puro che agisce là dove l’ordine, pur imperfetto, esiste ancora.

Hitler e Mussolini, per venire ai tempi moderni, furono distruttori puri: capaci di mobilitare masse e consenso, ma incapaci di produrre un ordine stabile, se non attraverso la guerra permanente e la repressione. Napoleone I, per certi aspetti, fu un Augusto; Napoleone III tentò di seguirne le orme, ma senza possederne la statura politica. Il risultato fu la rovina di un sistema — quello della Francia di Guizot — che non era in decadenza, ma in crescita. Fu un povero Cesare…

Si dirà che il 1945 è lontano, che il mondo è cambiato, che certi paragoni sono impropri. È l’argomento preferito di chi confonde la cronologia con la storia. In realtà, dal punto di vista metapolitico, ottant’anni sono un’inezia: troppo pochi perché una potenza vittoriosa dimentichi come si governa se stessa dopo la vittoria. Ed è precisamente qui che il paragone smette di essere erudizione e diventa allarme.

 


Trump non minaccia un’America decadente, ma gli Stati Uniti vittoriosi sulla Cartagine hitleriana, pilastro dell’ordine liberale nato nel 1945. Come spesso accade nella storia, il pericolo non viene dal nemico sconfitto, ma dalla potenza che non sa più governare se stessa dopo la vittoria.

Le nostre sono fantasie storiche? Anzi metapolitiche? Per qualcuno probabilmente sì. Ovviamente pensiamo ai sostenitori di Trump, che dove noi vediamo crisi di crescita, scorgono l’apocalisse.

Ma la storia insegna che il leader distruttore puro è sempre animato da una volontà di potenza incontrollata, incapace di riconoscere limiti, istituzioni e mediazioni. E Trump è così. Pur di tramutarsi in un Donald I, può causare danni enormi a quella parte dell’emisfero che, nella nostra terza e vittoriosa guerra punica, veniva chiamata semplicemente: il mondo libero.

Si pensi  infine alla  sua smania di apparire come uomo di pace, al pari di altri leader distruttori del passato: Silla, pur concentrato sul consolidamento del potere, si presentava spesso come restauratore dell’ordine a Roma; Napoleone III proclamava l’“Impero come pace”; Hitler prometteva al popolo tedesco una nuova epoca di sicurezza e stabilità dopo la rivincita sul trattato di Versailles; Mussolini e Guglielmo II, ciascuno a modo suo, annunciavano regolarmente che le loro azioni avrebbero portato a una lunga era di pace.


 

In realtà, anche in Trump, questa smania non è che un riflesso del suo desiderio di legittimazione e consenso: un’illusione che nasconde la sua capacità reale di generare disordine.

Sappiamo di ripeterci, ma vogliamo che il concetto entri davvero nella testa dei lettori: chi parla di pace mentre costruisce il proprio trono di potere non è un pacificatore, ma un fabbricante di disordine travestito da salvatore. Trump lo dimostra, come dimostrarono Silla, Napoleone III, Guglielmo II, Hitler, Mussolini: la vera minaccia non viene da chi minaccia apertamente, ma da chi seduce con le parole mentre devasta con i fatti.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.adnkronos.com/internazionale/esteri/lannuncio-di-trump-piano-per-costruire-due-nuove-navi-da-guerra-saranno-letali_3Ma7gdUwXAeQ8NpGqSYpiI .

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