lunedì 8 dicembre 2025

Atreju 2025. La destra dei due volti: il poliziotto buono e quello cattivo

 


Da qualche tempo la destra italiana sembra vivere in un film americano di serie B: quello in cui un poliziotto buono ti offre il caffè mentre il collega cattivo ti sbatte la testa sul tavolo.

Solo che questa sceneggiatura non è Hollywood: è Atreju 2025, la festa di partito di Fratelli d’Italia, che quest’anno si propone come vetrina del volto “culturale” e rassicurante del “conservatorismo nazionale” (*). Benché nel suo biglietto da visita non rinunci alla metafora della forza, magari sublimata, però… Insomma anche questo rinvia a una specie di richiamo della foresta.

Il tutto mentre, fuori campo, altri ambienti della destra — quelli che si riconoscono in Passaggio al Bosco — recitano senza pudore il ruolo degli intransigenti, identitari, radicali.

Il trucco è semplice: ci si divide le parti. A Roma vanno in onda due fiction politiche: Castel Sant’ Angelo, i giardini, la messa in piega, la cultura patinata, l’egemonia dei valori; Eur, Nuvola, si spinge invece una visione muscolare, esclusiva, organicista della società. Come in un interrogatorio ben orchestrato: il “buono” ti dice che ti capisce, il “cattivo” ti ricorda che non hai alternative.

Ad Atreju hanno montato un pantheon che sembra partorito da un algoritmo impazzito: da Simone Weil a Pasolini, da Edith Stein a Charlie Kirk, passando per Majorana e il “tenente” Amedeo Guillet. Invece di celebrare l’antifascismo e la Resistenza italiana, si celebra un ufficiale fascista che combatté con le “Fiamme nere” in Spagna e in Africa orientale, come partigiano, dalla parte sbagliata, contro le truppe britanniche. Una specie di Lawrence, ma di Mussolini. Che però a differenza di quello britannico, nel dopoguerra indossò la feluca di ambasciatore democristiano (nella foto sotto) e morì a 101 anni. Viva l’Italia: giusto da noi possono capitare certe cose. In Francia De Gaulle l’avrebbe fucilato. E, immancabile, infine, Gabriele D’Annunzio, sul quale torneremo a breve.



Una galleria così eterogenea sembra fatta apposta per neutralizzare la percezione di radicalità e costruire l’immagine di una destra “inclusiva”, moderna, spirituale. Il tutto impacchettato nella cornice pseudo-gramsciana dell’“egemonia”, un uso improprio del concetto in cui vediamo lo zampino di Guerino Nuccio Bovalino, autore, ultimamente, molto amato negli ambienti della destra meloniana.

Bovalino, “chercheur”, viene spesso presentato come il lettore raffinato della postmodernità; in realtà ricicla, come nel suo ultimo libro Algoritimi e preghiere (Luiss University Press, 2024), le idee di Pareto (istinto delle combinazioni), Simmel (disorientamento metropolitano), Weber (la modernità come “gabbia d’acciaio”, quale effetto non voluto post-calvinista). Per non parlare dell’assolutizzazione della metafora della prostituta come paradigma della società capitalista, che Benjamin non rappresentava come figura centrale della metropoli, in particolare parigina, ma piuttosto come una tra le molte: il flâneur, la folla, il collezionista, il giocatore d’azzardo, il detective.



Insomma, ciò che la destra aspettava da decenni riceve finalmente forma, ma l’interpretazione è quantomeno creativa — e spesso arbitraria. Nella sua versione, l’egemonia diventa una sorta di guida morale, un cappello etico quasi mistico, nulla a che vedere con il nodo gramsciano tra struttura sociale, conflitto, organizzazione, lotta per l’accesso agli spazi del potere. È un gramscismo d’arredo, utile a decorare i pannelli della festa, non a spiegare la società.

Prendere categorie nate per leggere il conflitto e trasformarle in premi assegnati a figure scelte a tavolino non è un dettaglio: è l’operazione. E tutto mentre si ironizza sulla sinistra che, al contrario, avrebbe inteso l’egemonia come strumento di sottogoverno.

Altre contraddizioni emergono guardando a Edith Stein, celebrata come simbolo dell’“egemonia dell’amore”. Molto toccante. Peccato che la stessa destra che oggi l’incensa domani vorrebbe trasferire i migranti in campi di detenzione extraterritoriali. Amore sì, purché resti in cornice.   E soprattutto appassionato  studio da parte di  Giorgia Meloni del famoso volume sul valore dell'empatia, tesi di laurea, della Stein...

Dall’altra parte, Passaggio al Bosco — fucina, blog, casa editrice, comunità culturale — coltiva un immaginario ben più cupo: identitarismo duro, anti-modernismo, comunità organiche, figure di nazistoidi come Codreanu e Legrelle, nonché tutta un’estetica da uomini della caverne politiche che non ha bisogno di travestimenti per dire cosa vuole. Qui l’universalismo è sospetto, la democrazia liberale è un problema, e l’individuo è tollerato solo se inquadrato dentro un ordine superiore, ne abbiamo già scritto abbondantemente. È l’altra faccia della medaglia: ciò che Atreju (dove fino a qualche anno fa si invitava Bannon, ideologo evoliano di Trump) non può dire — e infatti non dice — altri lo dicono al suo posto. Senza pudore e senza filtri (**).

 


Ma il punto più rivelatore è che in entrambi i pantheon, quello del “buono” e quello del “cattivo”, troneggia Gabriele D’Annunzio.

Attenzione. Il poeta-soldato non fu un semplice esteta: fu il prototipo del leader nazionalista pre-mussoliniano. Progettò una marcia su Roma prima di Mussolini, occupò militarmente Fiume sfidando lo Stato italiano, alimentò una rivolta nell’esercito, disprezzò il Parlamento liberale (memorabile l’episodio del volo Keller su Roma, da lui ispirato, che gettò un pitale su Montecitorio). D’Annunzio teorizzò un’estetica politica guerriera e plebiscitaria che fu la culla stessa del fascismo. Che sia celebrato come “egemonia poetica” dal poliziotto buono e come eroe guerriero dal poliziotto cattivo dovrebbe bastare a far crollare la scenografia. Quando il ponte simbolico è lo stesso, la distanza tra le due destre non è poi così grande. È un corridoio, non un abisso.



Mettiamo insieme i pezzi: la destra italiana sta costruendo una narrazione duale. Una destra “civile”, elegante, colta, che cita Pasolini e Simone Weil — attenzione, due figure tutt’altro che liberali, la Weil voleva addirittura sopprimere i partiti — e una destra ruvida, identitaria, che dice ad alta voce ciò che l’altra pensa a microfoni spenti. Il risultato è un dispositivo culturale efficace: una destra che simula spaccature per risultare più presentabile, mentre in realtà condivide miti, riferimenti, immaginario e aspirazioni. La presenza simultanea di figure come D’Annunzio nei due mondi lo dimostra: la radice è la stessa, cambia solo la tonalità del racconto.

 

E allora basta guardare bene la scena. Non ci sono due poliziotti: c’è una sola regia. Uno ti accarezza, l’altro ti intimidisce, ma il messaggio è lo stesso e arriva dritto: o accetti il mondo che ti proponiamo, o sei fuori dalla storia. Il resto — il sorriso rassicurante, la colata identitaria, l’evocazione dell’“egemonia” — è solo trucco di scena. Il film lo conosciamo già. E non finisce bene per chi ci cade.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.adnkronos.com/politica/atreju-2025-da-pasolini-a-charlie-kirk-ecco-il-pantheon-di-fratelli-ditalia-video_7JQS13PLokGr9n8iisDOnz .

(**) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2025/12/legalita-si-legittimita-no-passaggio-al.html e qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2025/12/il-cretino-politico-perche-feltri.html .

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