martedì 2 dicembre 2025

L’ammiraglio Cavo Dragone e il rischio della politica in uniforme

 


Dal punto di vista strategico-militare l’idea di un attacco preventivo è un’idea come un’altra, nel senso che appartiene al ventaglio delle possibili  azioni contro il nemico.

Pertanto che un generale parli della possibilità di un attacco preventivo alla Russia è dal punto di vista militare cosa perfettamente normale. Fermo però restando tutto il valore della nota regola Clemenceau: la guerra è cosa troppo seria per lasciarla fare solo ai generali.

Pertanto senza una decisione politica, l’ammiraglio Cavo Dragone, presidente del comitato militare Nato, autore dell’esternazione, deve limitarsi a formulare ipotesi di scuola.

Ripetiamo: la regola delle democrazie liberali è quella di diffidare dei militari, a differenza delle dittature che invece vanno a braccetto con gli eserciti e che spesso hanno origine militare, soprattutto dove non esiste una società civile solida e indipendente, come in Russia, Cina, Corea del Nord, Cuba, Venezuela.

Di conseguenza quando i militari cominciano ad avere troppa voce in capitolo le cose possono diventare serie e pericolose. Perciò quel che non torna è la militarizzazione della politica.





Si pensi a un Vannacci e a molti altri militari che scalpitano. Il militarismo in politica è pura scienza dell’organizzazione, applicata alla politica: nel senso del lasciateci fare, ci pensiamo noi, ordine e disciplina per tutti. Insomma, l’ennesima riedizione del mito di Sparta, la realizzazione di una società-caserma. Con la differenza che gli spartani erano militaristi senza saperlo. L’ideologia del militare tuttofare risale alla Rivoluzione francese, in particolare all’avventura napoleonica. 

In realtà, dopo l’aggressione della Russia all’Ucraina, è mancata soprattutto la politica, che in Occidente, soprattutto in Europa, si è presentata divisa e indecisa. Di qui, poiché il potere non ammette il vuoto, il largo spazio lasciato ai militari, quanto meno di intervenire con dichiarazioni, solo apparentemente tecniche, in favore di un fronte o dell’altro.

Qualche esempio in senso contrario alle dichiarazioni di Cavo Dragone?  In Francia, l’ex capo dell’esercito Bertrand de la Chesnais ha usato il suo prestigio per spingere letture “comprensive” verso Mosca, rivestendole di linguaggio tecnico. In Germania, l’ex generale Harald Kujat, dopo la pensione, ha espresso posizioni filorusse che hanno sollevato più di un sopracciglio.

In Italia, il generale Marco Bertolini si è spesso distinto per tesi considerate troppo indulgenti verso il Cremlino, dall’allargamento della NATO visto come “provocazione” alla minimizzazione delle responsabilità russe. Il punto non è censurare le opinioni: è che quando a parlare non è un analista qualunque, ma un alto ufficiale, il peso del grado finisce per orientare il dibattito e — volenti o nolenti — dare fiato alla propaganda altrui.



Diciamo che si è verificato un vuoto politico. Il che, oltre alle divisive esternazioni di non pochi alti gradi militari, ha favorito le iniziative russe e americane, da un lato Putin, con le sue pose napoleoniche, dall’altro un Biden e un Trump favorevoli, il primo alla resistenza, il secondo alla resa dell’Ucraina.

L’Europa, come detto, altrettanto divisa al suo interno, non è in grado, almeno per il momento, di condurre una guerra senza l’aiuto americano, pertanto il lasciare spazio ai generali, che ragionano solo in termini di ipotesi militari può essere pericoloso. Perché per verso attizza contro le democrazia liberali,  dipinte come guerrafondaie. i pacifisti  di tutti i colori, per l’altro consente ai russi di passare da lupi aggressori a futuri agnelli aggrediti.





Per capirsi: dichiarazioni come quelle dell’ammiraglio Cavo Dragone finiscono per avvantaggiare, al tempo stesso, i molteplici nemici della liberal-democrazia, che spaziano dai pacifisti di ogni orientamento ideologico ai guerrafondai ammiratori delle dittature militari.

Cosa fare? In primo luogo, va messa la museruola a ammiragli e generali, però al tempo stesso va rafforzata la preparazione militare europea. In secondo luogo, l’Europa deve smettere di flirtare politicamente con il pacifismo. La museruola va messa anche ai pacifisti.

Quanto alla NATO, il suo senso dipende dalla possibilità di continuare a contare sugli Stati Uniti. Si tratta quindi di resistere fino al prossimo presidente americano, confidando in un nuovo Eisenhower — primo comandante in capo della NATO e propugnatore della difesa collettiva Stati Uniti‑Europa — sperando che a Washington si insedi, a differenza di Trump, un autentico sostenitore della liberal-democrazia. 

E  cosa che va sottolineata: sotto la divisa, Eisenhower era prima di tutto un civile, un militare atipico con uno spiccato senso politico, perfettamente in linea con quanto abbiamo fin qui detto. Basta leggere le sue memorie.

Concludendo, al momento l’Europa deve riamarsi, tacere e sperare.

Carlo Gambescia

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