Si può cambiare nome al partito: Msi, An, FdI. Ma certe idee difficilmente mutano. Sicché dal 1945 le discussioni interne al mondo missino e post missino non sono mai cambiate.
Insomma sempre lo stesso film. Un vero tormentone.
Esageriamo? No. In realtà esiste tutta un’area politica a destra, diciamo culturale, come prova oggi l’editoriale di Veneziani sulla “Verità”, in cui ci si interroga, tra le altre cose, sul viaggio di Giorgia Meloni a Kiev.
Però come? More solito, se stia ricalcando o meno, a cominciare dalla politica estera, le orme della sinistra. A che serve avere una destra al governo se poi si mostra filoatlantica come Draghi? Insomma, se fa le stesse cose… Ecco il punto da cui parte il discorso di Veneziani. Che ben riassume i tic culturali della destra neofascista.
Il neofascismo è incorreggibile. Perché? Per la semplice ragione che al di là degli aspetti folcloristici e di denominazione partitica quel mondo continua a rifiutare, nella sostanza, la dura lezione del 1945. Vi domina tuttora un’avversione, quasi a livello pavloviano, nei riguardi degli Stati Uniti, che sono in automatico identificati con il vincitore che ha privato Italia ed Europa della libertà… Sembra pazzesco ma è così.
Pertanto, anche secondo la cultura politica post missina (An e FdI), un governo di destra, per essere veramente tale, dovrebbe fuoriuscire dalla Nato: un’alleanza che viene vista come una martellante replica della sconfitta del 1945. Diciamo pure che sotto questo punto di vista neofascisti e post missini sono la stessa cosa.
Attenzione, parliamo di “cultura”: una cosa che si pensa ma non si dice mai del tutto… Si immagini una specie di sottotesto antropologico, di natura antioccidentalista, che emerge, qui e là, in ogni dibattito e nella ciclicità di ogni dibattito. Si intravede ma non si vede. Però c’è.
Dicevamo sembra pazzesco. Eppure c’è un metodo nella follia: ciò che per il mondo libero fu una vittoria della libertà, per il mondo neofascista, in quanto rianimazione postbellica dell’ideologia fascista, il 1945 continua ad essere sinonimo di sconfitta.
Attenzione non si parla solo del piano militare, ma dei valori. Il neofascismo non ha mai accettato ciò che continua a definire la “cultura dei vincitori”: il liberalismo, l’economia di mercato, l’occidentalismo, la modernità, nei suo vari aspetti.
Pertanto il viaggio di Giorgia Meloni a Kiev viene vissuto come la prova del tradimento in favore della Nato e soprattutto dei valori che vi sono dietro. Di qui le solite polemiche neofasciste anche in ambito, ufficialmente parlando, post missino.
Il che spiega l’inevitabile ed ennesimo editoriale di Veneziani Un vero e proprio riflesso condizionato, interno al mondo neofascista che lo ha ideologicamente sempre nutrito.
In fondo Parigi, pardon Kiev, può valere una messa… Questa sembra la tesi adombrata da Veneziani.
Qui però sarebbe interessante capire come la pensi veramente l’enigmatica Giorgia Meloni. Che, cosa da non dimenticare mai, pur dichiarandosi, anche ieri, dalla parte di Kiev, sembra non disdegnare l’orgoglio neomissino, come quando asserisce che “Il Movimento Sociale era un partito democratico”: forse lo era nella forma, obtorto collo, non nella sostanza (*). Ma lasciamo stare.
Perciò, per tirare le fila del nostro discorso, per quel mondo il vero punto della questione e se Giorgia Meloni stia tradendo gli “ideali”, come Fini, come Tedeschi, come Almirante, come Michelini e dulcis in fundo come Badoglio, il Re e i “congiurati” del 25 Luglio. Altrimenti, a che serve avere un destra al governo?
Certo, serve una destra per regolare i conti con vincitori del 1945… Una destra neofascista.
Ora, per dirla tutta, una polemica del genere può essere considerata normale, politicamente normale, a settant’anni dalla sconfitta – e per fortuna – del nazi-fascismo?
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/ignazio-la-russa-isabella-rauti-e-le-radici-che-non-gelano/ .
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