La storia è importante, come “banca dati” sociologica. Ieri Giorgia Meloni, che di storia e sociologia, a parte quella fascista (storia, non sociologia, perché il fascismo ghettizzò questa disciplina), ha tessuto l’elogio, in buona sostanza, della fortezza Europa chiusa con il filo spinato ai migranti.
Si è anche vantata del fatto che l’Unione europea, così dice, abbia finalmente capito la lezione italiana. Insomma la Meloni ieri è salita in cattedra per inneggiare, in prospettiva, a una specie di “ipernazionalismo” europeo, chiuso al resto del mondo. Autarchia continentale in una parola. Roba da psichiatria politica:il “problema” di cui parla la Meloni, non è europeo ma delle destre nazionaliste, pardon sovraniste.
Dicevamo dell’importanza della storia. Purtroppo molti hanno dimenticato la grande lezione dell’impero degli Asburgo (poi dal 1867 Austro-Ungarico): un coacervo di nazionalità, che fino a quando non appresero di essere tali, vissero insieme, tra alti e bassi, riconoscendosi, spesso in modo convinto, nella fedeltà dinastica verso gli Asburgo. Sul punto rinviamo alle opere di May e Macartney. Due grandi storici.
Ieri la destra ha toccato il cielo con la celebrazione ufficiale della “Giorno del Ricordo”. In realtà, le foibe appartengono a una storia di rivalità reciproche tra sudditi degli Asburgo, tramutatesi in odio nel secolo delle ideologie (nazionalismo, fascismo, comunismo). Gli Asburgo riuscirono a tenere insieme, solo per fare alcuni nomi, italiani, sloveni, croati, serbi, polacchi, cechi, slovacchi, ungheresi, rumeni, ucraini. Vi riuscirono, per secoli, blandamente senza mai esagerare, e persino nonostante i risorgimenti nazionali nel XIX secolo. Quando però all’inizio del secolo successivo, le rivalità si tramutarono in feroci nazionalismi, l’ Austria-Ungheria, inanellò alcuni gravi errori, e si dissolse.
Che cosa vogliamo dire? Che il nazionalismo può fare più danni di una pratica imperiale, come quella degli Asburgo, durata secoli, che si reggeva sull’antico concetto di fedeltà dinastica: una concezione che unificava idealmente i sudditi dell’ Impero. Mentre il moderno concetto di nazione armata non poteva non dividere i cittadini (quindi non più sudditi), spesso con conseguenze sociali inenarrabili.
Riflessione sociologica. La democrazia ha rappresentato dal punto di vista dell’allargamento delle basi politiche dei governi un passo in avanti. Mentre ne ha determinato uno indietro da quello del conflitto politico, perché i popoli a differenza delle élite, più coltivate, se si vuole scettiche, si nutrono di miti. E il pericoloso mito della nazione armata è tra questi. Le classi dirigenti, di norma, proprio perché “dirigenti”, non possono non conoscere la storia e non essere al corrente delle paurose implicazioni sociologiche della mitologia politica. I popoli no. Basta un nulla perché si accendano.
Che c’entra tutto questo con i migranti e con Giorgia Meloni?
Prima un inciso: non stiamo tessendo l’elogio dell’impero degli Asburgo né riteniamo si possa tornare indietro, dal momento che gli imperi, nascono per caso: sono frutto delle più differenti circostanze storiche. Per dirla alla buona: non ci si può svegliare un bel giorno e decidere di fondare un impero. Anche perché “per fare un impero serve un imperatore”,
come ci disse una volta Costanzo Preve, bizzarro caso di marxista idealista.
Detto questo, veniamo finalmente al punto. L’idea sovranista, che non è altro che nazionalismo riverniciato – quello della “nazione armata” – sventolata come una bandiera da Giorgia Meloni, porta inevitabilmente ai conflitti e alla chiusura verso l’altro, definito come nemico del popolo: una specie di capro espiatorio. Gioire del fatto, come fa la Meloni, che questa idea, del filo spinato europeo sia stata “finalmente” recepita in Europa grazie all’Italia, significa in realtà tessere l’elogio di quelle foibe che si condannano a parole. Una grave contraddizione in termini. Non solo logica ma morale. Che cambia se vi si precipitano dentro i migranti invece degli italiani? Nulla.
Dietro le foibe storiche non c’è Francesco Giuseppe, ma ci sono Stalin e Tito. E prima ancora la prepotenza dell’ Italia di Mussolini e di un nazionalismo che non era più il semplice irredentismo umanitario dei liberali dell’Ottocento: era puro e semplice darwinismo sociale. Quello poi sposato e teorizzato da Hitler.
Come pure – attenzione – dietro la Russia di oggi c’è la Russia dell’Ottocento, anch’essa imperiale come l’Austria, ma senza essere come l’Austria “un assolutismo temperato dalla negligenza”, come è stato scritto.
Gli zar russi del XIX secolo ebbero tempra diversa rispetto agli imperatori austriaci. Erano molto più duri e pensavano in grande come la Russia di oggi. Altro che l’ annessione austriaca, pure erronea, della Bosnia ed Erzegovina… Annessione, rispetto a quella russa, per ora tentata, dell’Ucraina, che risale a più di un secolo fa. Diciamo a due guerre mondiali fa. Sicché la Russia non sembra aver capito la lezione. E neppure Giorgia Meloni.
Questo per dire che gli imperi, a differenza degli autolesionisti politici, non sono sono mai uguali.
Ma questa è un’altra storia.
Carlo Gambescia
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