sabato 4 febbraio 2023

I tre errori di Domenico De Masi

 


Un sociologo non deve essere rivoluzionario, né conservatore o addirittura reazionario. Ovviamente, come ogni essere umano, il sociologo non può non avere le proprie idee. Tuttavia, la scelta politica personale deve sempre fare i conti con la neutralità affettiva che impone lo studio delle regolarità di comportamento sociale. Studio che compete alla sociologia se vuole essere scienza. Il sociologo deve occuparsi di quel che si ripete e che perciò è costante nel tempo. Non del transeunte.

Sotto questo aspetto si può parlare di metapolitica, nel senso che il sociologo deve partire dall’osservazione politica e sociale, per giungere alla formulazione e impiego di regolarità  - metapolitiche appunto -   che vanno oltre i puri e semplici eventi storici, politici e sociali.

Per fare un esempio, Domenico De Masi, oggi professore emerito, che proviene dalla sociologia del lavoro, si occupato anche di creatività sociale e intellettuale. Un fenomeno, che pur riguardando l’innovazione, riflette precise regolarità comportamentali, ad esempio, le gerarchie del sapere di gruppo, i conflitti conoscitivi, e l’istituzionalizzazione della scoperta. Il che significa, che persino nella creatività, che talvolta rasenta la follia, c’è un metodo che si ripete. E purtroppo – diciamo questo per inciso – De Masi, pur studiando la creatività, ha sempre ignorato questo aspetto. Ma questa è un’altra storia.

Veniamo però al punto. I concetti metapolitici di conflitto, gerarchia, istituzionalizzazione, che sono forme reiterative del comportamento sociale e politico, aiutano a comprendere che Domenico De Masi nella sua intervista, quando parla proposito del governo Meloni di “destra neoliberista”, commette tre errori.

Il primo, di tipo cognitivo, perché si tratta di un termine che rinvia a una definizione priva di qualsiasi rilievo scientifico, nel senso che appartiene al gergo della politica e non della scienza. Nessun liberale serio si è mai definito neo-liberista. Si tratta di un’etichetta ideologica inventata dalla cultura politica antiliberale per squalificare i liberali, dipingendoli come nemici del popolo, come difensori di una visione antisociale. Quindi si rimanda a un conflitto conoscitivo tra scienza e ideologia. Una regolarità che De Masi sembra ignorare.

Il secondo, di tipo lessicale, perché si attacca la destra accusandola di essere neoliberista, quindi antisociale. In realtà il governo Meloni si muove lungo le  linee, piuttosto scontate, di quel patto redistributivo che ha distinto il welfarismo dei governi italiani fino ad oggi. Pertanto lo spostamento, per così dire, di una virgola sociale, da un gruppo sociale all’altro non indica alcuna svolta liberista. Perciò siamo davanti  a un processo di istituzionalizzazione del welfare state, che proprio perché tale, va dalla destra alla sinistra, quindi trasversale. Una regolarità che De Masi sembra ignorare.

Il terzo, di tipo politico, perché un sociologo, non deve sposare alcuna causa partitica, tradendo così la metapolitica. De Masi sembra invece essere vicino al M5S, in particolare, stando ai giornali, al suo leader Giuseppe Conte. Naturalmente si tratta di una regola non facile da seguire, perché in Italia le università in larga parte sono pubbliche, le facoltà di sociologia divise in cordate politiche, e di conseguenza se vi si vuole lavorare ci si deve schierare politicamente. Quindi, piaccia o meno, inserirsi all’interno di quelle gerarchie conoscitive, istituzionalizzate e tra loro conflittuali studiate, e da lontano, proprio dalla metapolitica.

Insomma, tre errori, per un emerito, sono troppi.

Carlo Gambescia

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