In “Vogliamo i colonnelli” di Monicelli, un fascistone, l’onorevole Tritoni, arringa una scalcinata ma armatissima folla di ultradestra, imprecando contro la democrazia, perché consente all’ operaio di guadagnare più di un ingegnere.
A questo pensavamo a proposito dello sfogo, rilanciato dai Social, dell’ “ingegnera” edile di ventisette anni che dice di guadagnare poco, imprecando a sua volta contro i sindacati e i partiti di sinistra perché si disinteressano dei giovani professionisti (*). Proprio come Tritoni che a sua volta se la prendeva con i partiti democratici.
In fondo, l’ ”ingegnera” e l’onorevole ragionano nello stesso modo: connettono istruzione e denaro. Chi studia di più deve guadagnare di più.
Niente di più sbagliato. Perché il mercato del lavoro, che dipende dalla legge dell’offerta e della domanda, fa le sue valutazioni in base all’offerta a alla domanda di ingegneri. Se l’ offerta di lavorare come ingegneri edili supera la domanda di ingegneri, stipendi e onorari scendono, nel caso contrario salgono. A questo si aggiunga il fatto che il settore delle costruzioni è in stasi, per varie ragioni, almeno da due o tre anni.
Pertanto, come dicevamo, non è scontato che al titolo debba sempre corrispondere il merito economico. L’ “ingegnera” perciò dovrebbe guardarsi intorno e rivolgersi verso altri settori e lavori, ad alta domanda, con stipendi e onorari più alti. Che abbia studiato ingegneria non significa nulla: i tempi dei mercati sono profondamente diversi dai tempi dell’istruzione universitaria. Piaccia o meno, bisogna sempre essere capaci di reinventasi in tempo reale.
Esiste uno scollamento costitutivo che risale almeno alle origini Rivoluzione industriale: di una società che sfornava ancora filosofi e teologi invece di ingegneri. Di qui il ruolo dei grandi imprenditori-artigiani, come mediatori tra alta e bassa cultura, nell’inventare quelle macchine delle meraviglie che faranno la fortuna dell’Occidente.
Di conseguenza, le chiavi dorate per trovare un buon lavoro rimandano a due importanti fattori: 1) la costante riqualificazione professionale sulla base delle richieste di mercato; 2) il perseguimento di quella marcia in più che in tutti i lavori è rappresentata da una cultura non solo professionale, ma capace, per così dire, di vedere quattro cose, dove un collega “così così”, ne vede tre o due. Capacità che si acquista allargando le proprie conoscenze culturali ad ambiti esterni alla professione. Bisogna leggere e studiare: non solo limitarsi al calcolo dei carichi in cemento armato (che pure è importante per i futuri inquilini).
Insomma, una laurea non significa che poi si troverà automaticamente un lavoro ben retribuito nell’ambito della propria specializzazione. Una laurea in termini di meriti economici non dà diritto proprio a un bel nulla.
In realtà, se c’è un cosa che va apprezzata in coloro che scelgono di continuare gli studi, andando all’università, è proprio quella dell’accettazione del rischio di non trovare poi un lavoro ben retribuito.
L’università è una sfida che impone coraggio. Non è piagnucolando che si affronta il mercato del lavoro.
Pertanto, per cambiare il senso della “colorita” evocazione dell’onorevole Tritoni, perché un ingegnere, tra l’altro alle prime armi, non deve guadagnare meno di un operaio, con enorme pratica di cantiere, se la domanda di operai provetti supera quella degli ingegneri appena usciti dall’università?
Carlo Gambescia
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