Il lettore sa benissimo che amiamo il realismo politico e che non facciamo sconti a nessuno. La sociologia è una scienza triste, illuminata però dalla scoperta dell’esistenza di regolarità metapolitiche, che, una volta comprese, dovrebbero persuadere (purtroppo il condizionale è d’obbligo) chi governa a guardare al di là del proprio utile immediato. Del proprio orticello, come si dice.
Ora, a proposito della tragedia di Crotone, notiamo due cose. Che a destra, con una disumanità non comune, si addossa la responsabilità ai migranti annegati: non dovevano avventurarsi con il mare cattivo pontifica Piantedosi. O comunque, come sottolinea trucemente la Meloni, rischieranno sempre di affogare fino a quando non saranno fermati alla partenza, quindi anche con il mare buono. Se non avessimo anni di studio e di acculturazione alle spalle, nessuno salverebbe questi due figuri e famiglie da una maledizione. Però, come ci hanno insegnato, la politica si studia a mente fredda. Andiamo avanti.
Per contro, ieri, la neoeletta segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, ha dichiarato che i migranti sono affogati perché non si è permesso loro di essere salvati dalla navi delle Ong. Ne ha fatto così un problema non umanitario ma organizzativo. Anzi, umanitario-organizzativo: riempire, ma a parole come vedremo, il Mediterraneo e mari affini di navi Ong per le operazione di salvataggio.
Perciò, come dire? Che il migrante parta liberamente, poi provvederanno le navi no global (semplificando) a salvarli. Però fatto è che sul Mar Ionio non c’èra una nave una Ong. Colpa dei decreti del governo di destra? O di una cattiva organizzazione delle Ong? Per la serie “nobili chiacchiere, fatti pochi”. Decida il lettore.
Il vero problema è che destra e sinistra non sembrano capire che l’accoglienza o meno del migrante rimanda a una questione di fondo. Quale? Che l’accoglienza non deve essere considerata come un problema del “Siamo in troppi non possiamo dare da mangiare a tutti” (destra), o come una furba sfida politica, "Sul migrante da salvare in mare, possiamo provocare la caduta il governo Meloni" (sinistra).
Qualcuno potrebbe pensare che sull’utilitarismo politico del Partito democratico stiamo esagerando: il lettore sa quante sono le navi Ong in servizio effettivo nel Mediterraneo e mari affini? Poco più di otto. E su sedici complessive solo una batte bandiera italiana e non risulta finanziata dal nobile Pd (*).
Cosa vogliamo dire? Che i migranti, riducendo il concetto all’osso, sono usati dalla destra e dalla sinistra, come merce politica per prendere voti e non come esseri umani che sfidano gli elementi per garantirsi un futuro migliore. Perciò la vera risposta al problema non è come salvarli in mare (sinistra) o fermarli alla partenza (destra), ma di permettere loro di trasferirsi in Italia in piena sicurezza.
Ogni uomo ha diritto di scegliere. Prima di essere naufrago il migrante è persona, libera persona. Sarà poi il mercato del lavoro italiano, una volta giunto nel Belpaese per via aerea, navale, ferroviaria, stradale (semplificando, come avviene per qualsiasi turista), a decidere la loro sorte professionale.
Si lasci fare alla legge della domanda dell’offerta, senza inutili egoismi o furbi pietismi politici. Siamo davanti una vera e propria regolarità economica, con risvolti metapolitici, capace di governare i fenomeni economici. E riconoscerne la portata è un atto di realismo politico.
Sulla legge della domanda e dell’ offerta l’Occidente ha costruito la sua fortuna, senza conoscerne all’epoca l’esistenza. Fortuna che oggi può, anzi deve valere anche per i migranti. L’Occidente è libertà, come norma e fatto, come idea e realtà.
Certo, all’inizio, la confusione per così dire, potrà crescere, però nel tempo, saranno i flussi reali delle occasioni lavorative a decidere.
Si tratta insomma di una sfida. Per dirla alla buona, se in Italia il migrante vivrà peggio dei luoghi d’origine, i flussi caleranno, se invece sarà il contrario, cresceranno. Nei due casi le cose andranno meglio per tutti, per gli italiani come per i migranti.
Ci vuole tanto a capirlo?
Carlo Gambescia