mercoledì 12 ottobre 2022

“Nazione” o “Paese”?

 


Giorgia Meloni ha recuperato, e se ne vanta, il termine “Nazione” (rigorosamente con la maiuscola).

Perché parlare di recupero? Per la semplice ragione che, dopo la sbornia nazional- fascista, gli uomini politici della Prima Repubblica preferirono usare, più cautamente, quello di Stato, come entità amministrativa, o di Paese, come mite immagine geografico-politica, da scrivere preferibilmente con la maiuscola, quando riferito all’Italia, come del resto prescrive la grammatica.

Come interpretare l’atteggiamento di Giorgia Meloni? Facile. Proviene dalla cultura fascista e nazionalista, pertanto le viene naturale parlare di nazione. E non si tratta di sfumature linguistiche, dal momento che la forma rinvia sempre alla sostanza.

Gli storici ci ricordano che in origine la nazione rinviava al luogo natio, che poteva essere un paesino, una piccola città, un grumo un case in cima a una collina, eccetera, eccetera.

Con la Rivoluzione francese si cominciò a parlare di “nazione armata”, con riferimento, al luogo natio di tutti i francesi: il micro si tramutò in macro.

Inoltre il concetto acquisì subito una valenza militare: il compito delle Francia era quello di diffondere, se necessario con le baionette, le idee rivoluzionarie, a cominciare dall’idea di diritti dell’uomo e di sovranità del popolo.

Nell’ Ottocento l’idea di nazione venne collegata a quella di stato: si parlò così di stato-nazione, collegando le istituzioni, in particolare quelle parlamentari, all’idea di popolo sovrano, all’interno come all’esterno.

In sintesi: la nazione da armata diventava liberal-democratica. O comunque la liberal-democrazia, tramite il concetto di rappresentanza – innovazione essenziale quando si passa dal micro al macro – andava saggiamente a mitigare il concetto di nazione armata, aprendosi alle altre nazioni liberal-democratiche. Ecco perché si parla ancora di Risorgimento liberale. Non fascista.

Anche per questo fatto l’idea liberale di stato-nazione è alle origini del processo di unificazione europea. Che però – va riconosciuto -  ha trascurato lo sviluppo di una vera rappresentanza parlamentare, capace di fondere nel tempo, fino a riassorbirle, le varie nazionalità, come poi accaduto – certo, non sempre linearmente – con i regionalismi nei singoli stati-nazione.

Il termine nazione, nudo e crudo,  fu invece ripreso dai fascismi, che fecero piazza pulita del concetto liberal-democratico di rappresentanza per sostituirlo con quelli sciaguratissimi di capo, popolo e destino.

In Germania la nazione si tramutò in serbatoio della razza, con conseguenze politiche e militari inenarrabili. In Italia si trasformò in un disegno di supremazia militare che, muovendo dall’idea, comunque razzista di superiorità culturale, si fondava su una incongruente e anacronistica narrazione nazionalista dell’Impero romano.

Sicché, come abbiamo detto, nel Secondo dopoguerra, si preferì parlare di Paese, riallacciandosi anche a una tradizione liberale, riformista e socialista. Che però già nell’Italia giolittiana era oggetto di scherno da parte del nascente nazionalismo italiano, poi confluito, innervandolo ideologicamente, nel fascismo.

Il nazionalismo italiano – ed è bene ricordarlo – separò completamente il concetto di democrazia liberale da quello di nazione. Si può dire che privilegiò il concetto di nazione armata (i famigerati “otto milioni di baionette” di Mussolini), respingendo quello di democrazia parlamentare ma amplificando quello di stato. Di qui la sbornia nazionalista e statalista, o peggio ancora militarista. 

Una brutta deriva  che spinse saggiamente gli uomini politici nel dopoguerra, in mezzo alle macerie, a parlare di Paese invece che di Nazione. Scelta che Giorgia Meloni non condivide più. Il rischio perciò è quello di tornare alla casella di partenza del gioco dell’oca nazionalista.

Si dirà, che le nostre sono chiacchiere da intellettuali. Che ignorano, perduti tra le nuvole di Aristofane, un fatto  fondamentale:  che finalmente è scoccato il momento dell’orgoglio italiano. Quindi tutti sugli attenti, avanti march!

Ricordiamo sommessamente (altro termine del vocabolario meloniano) che tra la politica estera e una partita di calcio della nazionale c’è una distanza abissale.

Giorgia Meloni, non è Roberto Mancini. Quest’ultimo, infatti, non può sfigurare la Costituzione in chiave cesarista. Quindi, per dirla alla buona, occhio, perché il termine “Nazione” evoca un vicolo cieco politico.

Che gli italiani non sembrano più ricordare. Il che spiega, “anche”, il successo di Giorgia Meloni.

Ma questa è un’altra storia.

Carlo Gambescia

Nessun commento: