Alcuni cari amici di destra – destra intelligente con studi, dottorati, cattedre, periodi di insegnamento all’estero – mi hanno fatto notare che esagero: nessun pericolo fascista. In Italia, al massimo si corre il rischio di cadere nel provincialismo e nel sottogoverno di segno contrario: non più di sinistra ma di destra.
A dire il vero, io non ho mai sostenuto l’ identità politica tra Fratelli d’Italia e il movimento fascista, diciamo storico, capeggiato da Mussolini e dai suoi futuri gerarchi.
Ho invece insistito su un altro aspetto: quella della “tentazione fascista”. Parlo di un clima culturale. Se ci si passa la rozza metafora: si pensi alle esalazioni venefiche e incendiarie di un terreno altamente inquinato da illeciti scarichi tossici.
Un humus culturale contrario ai valori liberali e illuministi della modernità. Che si traduce nell’apprezzamento dell’esperienza del fascismo storico, magari “spezzettato” in tanti “se”. Ad esempio: se Mussolini avesse smobilitato lo squadrismo, se non avesse invaso l’Etiopia, se non si fosse alleato con Hitler, se non avesse promulgato le leggi razziali, e così via.
In realtà in questo modo ci si rifiuta di fare i conti con la squallida realtà , tour court, di un regime che passo dopo passo, partendo da premesse anti-illuministe e antiliberali condusse inevitabilmente l’Italia alla rovina. Una specie di sillogismo degli eventi di cui ogni storico serio non può non prendere atto.
Di qui il pericolo, non tanto del ritorno delle sfilate in camicia in nera ai “Fori imperiali”, insomma del folclore, quanto quello di una cultura di governo nemica della modernità liberale. Il che, sul piano internazionale, visto quel che sta accadendo, potrebbe condurre – ovviamente per gradi – alla fuoriuscita dell’Italia dall’Occidente liberale, con conseguente ritiro dalla Nato e dall’Unione Europea.
Il riferimento alla “tentazione fascista” necessita di un esempio. Si prendano i Cento anni della “Marcia su Roma” (28 ottobre 1922- 28 ottobre 2022), una ricorrenza che ha visto lo scontro, anche a livello mediatico, tra gli opposti e rozzi estremismi dei nostalgici del fascismo e di quelli dell’antifascismo di marca comunista.
Giorgia Meloni, invece di cavarsela, ieri, con una (anticipata?) visita all’Altare della Patria, a dir poco inconsueta per ufficialità, data e motivazione non del tutto esplicitata o chiara, doveva prendere posizione pubblicamente, magari prendendo spunto da due deliranti striscioni, pro e contro, apparsi nella Capitale, per ribadire che la Marcia su Roma, fu il colpo di stato che favorì la nascita della dittatura fascista e di tutto il male che ne venne per l’Italia.
Invece non è successo nulla.
Il punto è che negli ambienti missini e postmissini si è sempre guardato alla Marcia su Roma come a un evento romantico, quasi goliardico, della “rivoluzione” – quella fascista – che avrebbe cambiato il destino dell’Italia: da meschina democrazia liberale a eroica nazione armata e imperiale. Ovviamente, “se” non fosse capitato questo o quello…
La “tentazione fascista”, psicologicamente parlando, è nel gusto per il colpo di mano, per la spallata politica al momento giusto, per l’uso del forza nell’affermare le proprie antiragioni. Detto per inciso, si potrebbe parlare, come già notò Sorel (elogiandola però…), di una pedagogia rivoluzionaria che accomunò Mussolini e Lenin. Il che spiega, per ricaduta ideologica e collettiva l’ inveterato atteggiamento oltranzista e intollerante dei nostalgici del comunismo.
Perciò, per tornare alla “tentazione fascista”, siamo davanti a una vera e propria psicologia romantica della sovversione. Che si nutre, culturalmente parlando, di modelli politici, sociali ed economici antiliberali e anti-illuministi.
Di conseguenza è perfettamente spiegabile ma non giustificabile che Giorgia Meloni, con un retroterra del genere, continui in cuor suo a vedere nella Marcia su Roma un momento eroico. Di qui quel silenzio che rinvia all’ integrazione passiva, obtorto collo, nel sistema politico italiano. Una integrazione insincera per capirsi. Altro che la famigerata destra democratica missina, mai esistita, evocata dalla Meloni.
Si noti infine l’accento della Meloni sulle cose da fare. Insomma la sua impostazione pragmatica, all’immagine del politico pratico che non vuole perdersi in chiacchiere.
In realtà, non è altro che un modo per continuare a non fare i conti con sue radici che affondano nella terra dei fuochi della tentazione fascista.
Carlo Gambescia
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