Oggi i giornali rilanciano la “notiziona” della crescita delle disuguaglianze mondiali e del collegamento tra povertà ed epidemia, pardon pandemia.
Una premessa. Chiunque abbia un minimo di conoscenza delle metodologie statistiche di tipo sociologico sa benissimo che quanto più il campo di analisi è esteso tanto più i risultati rischiano di essere imprecisi. La stessa tesi può essere estesa ai campioni ridotti perché altrettanto lontani da quella che un tempo si chiamava la fotografia della realtà. Macro e micro pari sono.
La statistica sociale può indicare al massimo le linee di tendenza di un certo fenomeno: la sua disposizione o inclinazione statistica a partire però dall’analisi di dati che rinviano al presente. Ecco perché si parla di tendenza, di qualcosa che può cambiare nel tempo, per ragioni non prevedibili al momento in cui si stabilisce la linea di tendenza.
In questo senso, lo statistico sociale lavora sempre su vari scenari quindi varie tendenze, diciamo pure un ventaglio di tendenze. E di regola è scelta la tendenza media, quindi, in qualche misura, se ci si passa l’espressione, una specie di tendenza della tendenza, qualcosa di ancora meno preciso.
Quando i mass media si appropriano sotto il profilo comunicativo dello “scenario statistico di tendenza”, si assiste alla sua trasformazione da tendenza, (qualcosa di ipotetico) in fatto (qualcosa di certo). E quanto più il fenomeno sociale analizzato ha implicazioni di natura politica tanto più la “fattualità” finisce per prevalere sulla “tendenzialità”. Si potrebbe così parlare di tendenzialità tendenziosa, politicamente tendenziosa.
E qui scusandoci, per il noioso excursus metodologico, veniamo finalmente al punto, dando alcune istruzioni per l’uso della “notiziona”.
In primo luogo, la disuguaglianza sociale è un tema politico per eccellenza. Un argomento che, nonostante la fragorosa caduta del comunismo sovietico, sembra essere tornato al centro dell’attenzione politica, anzi sembra essersi addirittura tramutato in una specie di ossessione politica.
In secondo luogo, come dicevamo, quanto più si allarga il campo di analisi di un fenomeno tanto più le linee di tendenza si fanno imprecise. Figurarsi per un fenomeno come lo studio delle disuguaglianze sociali. Non tediamo il lettore con dati teorici e tecnici sulle critiche al “coefficiente Gini”, un’equazione sostanzialmente. Coefficiente che tuttora viene largamente usato per analizzare statisticamente le disuguaglianze di reddito e patrimonio.
Il terzo luogo, il mix tra tendenzialità e motivazioni politiche, non può non sfociare, come dicevamo, nella tendenziosità. Perché è verissimo che la matematica non è un’opinione, tuttavia i dati usati per l’ applicazione del coefficiente di Gini, come per tutte le unità statistiche, risentono inevitabilmente delle modalità di raccolta e classificazione che sono differenti, spesso molto differenti. Il che perciò apre enormi spazi interpretativi prima sul piano scientifico, poi su quello politico.
Si dirà che a prescindere da tutte le nostre chiacchiere, le disuguaglianze esistono e sono sotto i nostri occhi, eccetera, eccetera. Certamente. Ma una cosa è “opinionare” sulla base di pregiudizi politici che forniscono una visione deformata della realtà, un’altra “accertare” sul piano scientifico, stabilendo con precisione la natura quantitativa di un fenomeno come la disuguaglianza.
Non si dimentichi mai che la scienza è giudizio, la politica pregiudizio. Quindi i dati, sulla disuguaglianza mondiale, non hanno alcuna rilevanza scientifica.
Diciamo che questo fu l’errore di Karl Marx. Che pretese di costruire una teoria scientifica del socialismo. Ebbene, non ne azzeccò una: dalla cosiddetta “caduta tendenziale del saggio di profitto”, alla “proletarizzazione dell’intera umanità”.
Tesi quest’ ultima che tuttora anima, ovviamente in chiave antiscientifica, i non pochi rapporti sulla disuguaglianza mondiale, da ultimo quello rilanciato oggi sulle prime pagine dei giornali.
Report di regola pubblicati da organizzazioni anticapitaliste, o comunque di ispirazione socialista, che continuano a scorgere ovunque una proletarizzazione smentita dai fatti (*). E che ravvisano nell’epidemia, pardon pandemia, invece di un fenomeno statisticamente transitorio, la possibilità di assestare il colpo di grazia al capitalismo.
Tuttavia perché meravigliarsi? Non abbiamo forse detto che la scienza è giudizio e la politica pregiudizio?
Carlo Gambescia
(*) Sul punto si veda l’ottimo libro di Hans Rosling, Factfulness, Dieci ragioni per cui non capiamo il mondo e perché le cose vanno meglio di come pensiamo, Rizzoli 2018.
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