Oggi i giornali non aiutano a capire. In linea generale, il caos in atto, come si legge, viene attribuito a Salvini.
È vero. Il leader leghista si agita troppo, propone “un candidato all’ora”. E come osserva “Il Fatto Quotidiano”, per una volta giustamente, sembra essere tornato, più elettrizzato che mai, ai tempi del “Papete”.
Attenzione però. La regola numero uno della politica è creare divisioni nel campo avversario. Quindi, anche il rilanciare a getto continuo sui nomi, può essere, dal punto vista di vista salviniano, un’ottima idea per dividere il centrosinistra.
Il punto è che il gioco non può durare all’infinito. A un certo punto si deve stringere sul nome di un candidato sul quale possa convergere tutto il centrodestra (452 voti) e una parte dello schieramento di centrosinistra, da un minimo di 50-60 voti (per superare di poco i 505 necessari), fino a un massimo di voti “a salire” (550? 600?) per consolidare politicamente la vittoria.
Questo nome ancora non c’è. O meglio ci sarebbe, come scrivevamo ieri (*), ma Salvini sembra far finta di non capire, o forse non può proprio capire…
Per quale ragione? Perché il leader leghista – qui il suo punto debole – appartiene alla categoria del “politico agitatore” a carattere drammatizzante. Salvini non è un “politico amministratore”, freddo e distaccato nel trattare gli uomini (**). Come tristemente prova l’ autoaffondamento al tempo del governo giallo-rosso.
Ora, il problema, anzi il duplice problema per Salvini, è che oltre ad essere un “politico agitatore”, quindi dalle sole capacità distruttive, nella battaglia per il Quirinale si trova a giocare la sua partita con un centrosinistra che ha tutto da guadagnare dallo stato di caos che il leader della Lega sta creando.
Guadagnare in che senso? Giocando di rimessa. Seguendo una specie di cammino, che per ora può apparire accidentato, ma che può condurre alla conferma di Mattarella al Quirinale, e ovviamente alla permanenza di Draghi a Palazzo Chigi: il che significa, per capirsi, la prosecuzione delle attuali politiche welfariste in tutti i settori, dalla sanità all’economia, come pure, piaccia o meno, delle politiche limitative delle libertà individuali.
Mattarella è il Presidente del welfare, e la difesa del welfare è nell’agenda storica del centrosinistra, recepita attualmente da Draghi, autodefinitosi liberalsocialista.
Di conseguenza, quanto più Salvini si agita, e non stringe, tanto più la conferma al Colle di Mattarella, democristiano di sinistra, si avvicina.
Certo, nel caso, Salvini potrebbe anche far saltare il governo. Dopo di che però dovrà fare i conti con Mattarella rieletto al Quirinale. Attenzione, prima e soprattutto dopo le elezioni politiche. E con un Draghi – parliamo del dopo – politicamente sempre incombente, come possibile candidato al Governo o al Colle, in chiave, come durata, di Presidenza Napolitano bis. Con Mattarella al posto di Napolitano che passa il testimone a Draghi.
La politica, come ogni altro comportamento sociale, è reiterativa: se una cosa ha già funzionato, perché cambiarla?
Salvini, purtroppo per lui e per chiunque auspichi un centrodestra – semplificando – antiwelfarista, rischia di facilitare, con questo suo delirium tremens politico, di un “candidato all’ora”, il progetto conformista del centrosinistra sul Quirinale. Addirittura a lunga scadenza.
Carlo Gambescia
(**) In argomento si veda, chiedendo scusa per l’autocitazione, Carlo Gambescia, Il grattacielo e il formichiere. Sociologia del realismo politico, Edizioni Il Foglio 2019, pp. 76-84.
Nessun commento:
Non sono consentiti nuovi commenti.