Luca Ricolfi, cattedratico di sociologia e firma di “Repubblica”, impersona, e in modo emblematico, una tragedia politica italiana. Quale? Di definire come liberismo tutto ciò che non sia statalismo.
Il che rivela, come ora vedremo, la sua totale incomprensione del liberalismo. E per giunta come presidente della Fondazione Hume, filosofo scozzese e padre nobile, sebbene per “rami” laterali, ma non minori, del pensiero liberale. Altrimenti Ricolfi non scriverebbe editoriali come quello di oggi (*) in cui le politiche del governo sono liquidate come liberiste. E per quale ragione? Per la decisione di riaprire le scuole dopo le vacanze di Natale…
Ricolfi, fin dall’inizio dell’epidemia, pardon pandemia, si è dichiarato favorevole, con accenti degni della peggiore tecnocrazia sociologica, alla segregazione sociale pura e semplice (**). Rivelando così una forte vena autoritaria, che non è proprio sua, perché rinvia alla sociologia di Comte e Durkheim: il primo molto apprezzato da Maurras, intellettuale che finì nelle braccia di Hitler; il secondo, invece fu il teorico dello statalismo in stile Terza Repubblica francese che portò alla Grande Guerra e al conflitto sulle riparazioni tedesche, che per vie traverse riconduce sempre a Hitler.
Di conseguenza, per Ricolfi, con due padri del genere, tutto ciò che risulta in contrasto con le sue idee collettiviste, non può non essere liquidato come liberismo.
Un sociologo, proprio perché tale, dovrebbe invece conoscere i pericoli della pretesa collettivista di controllare dall’alto i processi sociali. Come pure non dovrebbe ignorare l’impossibilità di innestare la marcia indietro quando i soldati della burocrazia sono usciti dalle caserme dei ministeri.
Ricolfi, insomma, sottovaluta il pericolo di un approccio collettivista, ossia di una forma mentis, soprattutto politica, che antepone la collettività all’individuo. Collettività rappresentata dallo stato, che in questo modo viene idealizzato e promosso a dio mortale, una specie di entità salvifica che vede e provvede. Qui, di nuovo, affiora il principio comtiano, del “Savoir pour prévoir, afin de pouvoir”. Se ci si consente la battuta, forse la fondazione da lui istituita doveva richiamarsi a Comte, padre di tutti gli statalismi, e non a Hume, piuttosto diffidente verso i poteri pubblici.
Si dirà, che a nostra volta, opponiamo allo statalismo di Ricolfi il liberismo. In realtà, il liberismo non esiste, come non esiste il libertinismo. O meglio, se e quando esistono, non sono che interpretazioni del liberalismo in chiave polemico-difensiva, come del resto notava acutamente qualche giorno fa l’amico Carlo Pompei.
Per capirsi, si pensi all’espressione “A brigante, brigante e mezzo”. Bene, in qualche misura, il liberismo, come il libertinismo, non sono altro che il brigante e mezzo che si oppone al brigante stato.
Ovviamente la nostra è una semplificazione. Che però ha uno scopo preciso: andare oltre il clima da guerra culturale, alimentato, al momento, da definizioni confuse, ma fortemente polemiche, come quella di Ricolfi. Che, a dire il vero, piuttosto che definizioni sono anatemi, perché gettano il bambino liberalismo, dopo il bagnetto, con l’acqua sporca del liberismo…
E qui sorge un altro problema. Esiste una autentica tradizione liberale in Italia? Capace di evocare nel cittadino, al tempo stesso, senso di responsabilità e gusto del rischio sociale? In tutta franchezza, il liberalismo politico, nonostante alcune nobili figure, è sempre sceso a patti con la realtà italiana. Adeguandosi, purtroppo, come il famoso sarto che cuce abiti per gobbi di giolittiana memoria, a certo collettivismo italiano, per alcuni familistico e opportunistico. Che continua a vedere nello stato il redistributore di provvidenze sociali in uniforme da generale dei carabinieri.
Del resto, l’Italia, paese di tardo capitalismo, prigioniero di un antico conformismo religioso e laico, non poteva fare altro, eccetera, eccetera. Insomma, scuse storiche esistono. A iosa.
Sotto questo aspetto, se si chiedesse a Ricolfi di esternare le sue simpatie politiche, si dichiarerebbe subito liberale, non liberista, né libertino. Ma, attenzione – qui il punto dolente – liberale all’italiana: una specie di carabiniere, come osservava Longanesi, dal quale gli italiani attendono il permesso per fare la rivoluzione. Insomma, una tragicommedia politica.
Il che però spiega le critiche di Ricolfi a un governo, che ne ha fatte di tutti i colori, colori statalisti diciamo. Che tuttavia sarebbe liberista solo perché vuole riaprire le scuole dopo le feste.
Carlo Gambescia
(*) Qui l’editoriale: https://www.repubblica.it/commenti/2022/01/07/news/ricolfi-333006516/ .
(**) Sul pensiero sociologico di Ricolfi rinviamo al nostro Metapolitica del Coronavirus. Un diario pubblico , postfazioni di Alessandro Litta Modignani e Carlo Pompei, Edizioni Il Foglio 2021, pp. 140-142, https://www.ibs.it/metapolitica-del-coronavirus-diario-pubblico-libro-carlo-gambescia/e/9788876068287 .
Nessun commento:
Non sono consentiti nuovi commenti.