mercoledì 19 gennaio 2022

Riflessioni. La crisi del liberalismo

 


In realtà il liberalismo, la cui crisi viene da lontano, non è mai stato compreso fino in fondo. Forse solo dai suoi nemici, che però ne hanno usato i punti deboli per combatterlo.

La richiesta ottocentesca di libertà nei riguardi dei rottami dello stato assoluto sembra oggi aver perduto qualsiasi significato. E per una semplice ragione: si riconosce al nuovo stato assoluto, assistenziale, scaturito da due guerre mondiali e da altre guerre immaginarie alla povertà, alla disuguaglianza, una legittimità che riconduce alle antiche monarchie prerivoluzionarie.

Sotto la maschera di un liberalismo che non è più tale, i governanti, di qualsiasi colore, oggi si distinguono per una politica di tipo semisocialista che invece di liberare opprime. Infine, la guerra all’epidemia, pardon alla pandemia, altra guerra immaginaria, ha reso i poteri dello stato ancora più potenti.

Probabilmente la nostra ricostruzione è schematica, tuttavia se si ripercorre la storia degli ultimi tre secoli, XIX, XX, XXI, lo spazio di libertà, dopo le conquiste ottocentesche ( diciamo dagli anni Quaranta dell’Ottocento agli anni Dieci del Novecento) si è fortemente ridotto.

Certo, va registrato, soprattutto nel Novecento (in particolare nella seconda metà), lo sviluppo dei diritti sociali, che però è avvenuto a spese delle libertà politica, civile ed economica, andando ad accrescere la spesa pubblica (all’inizio del Novecento era la decima parte di quella di oggi) e la pressione fiscale (anch’essa inferiore di un terzo a quella attuale), come mostra qualsiasi storia del mondo economico contemporaneo.

Poco più di cento anni di neoassolutismo statale (dal 1914 ad oggi) hanno fortemente ridotto la sfera d’azione del liberalismo classico, quasi scomparso dal proscenio politico, sociale ed economico. A parte un breve periodo di circa dieci anni, segnato dalle figure di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, subito demonizzato dai neoassolutisti e liquidato come l’età del “liberismo selvaggio”.

Si tratta di umorismo involontario. Ma quale età del “liberismo selvaggio”? In realtà, le acque dell’oceano antiliberale (neoassolutisti, neofascisti, neocomunisti, ecologisti, e fondamentalisti vari) si sono subite richiuse sopra due tentativi, in realtà timidi e brevi, di navigare controvento.

Il problema di fondo è che nell’Occidente euro-americano cinque generazioni di uomini e donne, di tutti i ceti, pur con alcune differenze politiche e culturali “locali”, hanno prima accettato e poi sposato una visione paternalistica della politica. Di qui, il ritorno, invocato persino dalla gente comune, del vecchio statalismo prerivoluzionario, nelle vesti del nuovo stato assistenziale che, come quello assolutista, dichiara di poter vedere e provvedere a tutto. E in particolare ai bisogni dei sudditi, al momento ancora chiamati cittadini.

Per il lettore distratto, ripetiamo che la guerra all’epidemia, pardon alla pandemia, altra guerra immaginaria, ha reso i poteri dello stato ancora più forti.

Questo anche grazie all’uso della tecnologia (che non è un male di per sé, attenzione).

Perché? Oggi persino nei paesi, dove il liberalismo nacque e si sviluppò, Gran Bretagna e Stati Uniti, senza il codice individuale, ora elettronico, della previdenza sociale non si trova lavoro perché non si esiste agli occhi dello stato e del mondo: o schedati o invisibili.

In Italia, notizia di oggi, si è completata l’anagrafe elettronica nazionale. Detta in modo brutale, siamo tutti schedati. Si scopra con quale “disinvoltura” Ansa pubblica la notizia. Come se fosse la cosa più naturale nel mondo (*).

Purtroppo, il cittadino, a causa del micidiale mix tra neoassolutismo e tecnologia, (quindi il problema è rappresentato dall’uso che l’uomo che fa della tecnologia) rischia addirittura, come già sta accadendo, di non poter più circolare liberamente. Proprio come un tempo accadeva a coloni e servi della gleba, prima delle rivoluzioni liberali.

Perché questa resa del liberalismo a una specie di socialismo di stato?

Trent’anni fa, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, con quella terribile ingenuità americana, Francis Fukuyama decretò il trionfo del liberalismo.

Ma di quale liberalismo? Quello macro-archico (**) venuto a patti, invece di combatterlo, con il nuovo stato assoluto. Un “patteggiamento” che viene contrabbandato come liberalismo. E che invece liberalismo non è.

Purtroppo, il fronte liberale è molto diviso, e purtroppo nessun politico se la sente di navigare controvento e di perdere il consenso di un elettorato che alla libertà preferisce sicurezza. Una scelta, quest’ultima, che rinvia all’antropologia politica, alle radici di ogni potere, fondate sullo scambio tra protezione e obbedienza.

In qualche misura, storicamente parlando, il liberalismo ha tentato di scorporare la protezione dall’obbedienza, puntando sull’idea di uno stato minimo e di una società massima, in cui ciascuno in linea di massima provvede in libertà alla sua protezione, riducendo l’obbedienza al minimo stabilito.

Di qui, l’impoliticità che gli avversari rimproverano al liberalismo. In che modo? Lo si accusa di violare i fondamentali dell’antropologia politica, trasformando le persone in esseri incapaci di obbedire come di comandare. Lo si accusa di minare le radici stesse dell’obbedienza come della protezione sociale.

Il che può anche essere vero, però si tratta del rischio, rischio antropologico, che ogni società libera, che si compone di liberi individui, deve accettare, se vuole essere tale. In questo rifiuto si possono ravvisare le origini della crisi del liberalismo.

Per dirla brutalmente, la maggior parte delle persone – la famosa schiavitù delle maggioranze giustamente teorizzata da Tocqueville – non se la sente di rischiare.

Ovviamente, come accade da circa un secolo, quanto più la cultura di tipo statalista, semisocialista, pseudo collettivista, come quella dello stato sociale, inculca nell’individuo la paura del rischio, tanto più il liberalismo si tramuta nel male assoluto. Di conseguenza gli spazi di libertà vanno di fatto riducendosi, rischiando di sparire, addirittura con il consenso dei cittadini. Diciamo tra gli applausi.

Cittadini che senza rendersene conto, a poco a poco, si stanno tramutando nei sudditi di un nuovo monarca assoluto: lo stato assistenziale.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.agi.it/cronaca/news/2022-01-19/anagrafe-elettronica-nazionale-15276477/ .

(**) Sul punto specifico si veda il nostro “Liberalismo triste. Un percorso: da Burke a Berlin”, Edizioni Il Foglio 2012( https://www.ibs.it/liberalismo-triste-percorso-da-burke-libro-carlo-gambescia/e/9788876064005 ) .

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