Questa settimana abbiamo tutti letto del funerale nazi di Roma, con la bandiera a croce uncinata che copriva la bara di una giovane militante di Forza Nuova, con corredo, per così dire, di saluti fascisti.
Subito media, politica e magistratura sono intervenuti all’unisono, condannando e contestando ai presenti l’apologia di fascismo, l’uso di un simbolo di barbarie, eccetera, eccetera.
Esecrazione alla quale chi scrive si unisce.
Però, detto questo, ogni osservatore sociale dovrebbe porsi una domanda: perché la bandiera nazista su una bara, provoca il putiferio, ripetiamo anche giustamente, mentre una bandiera rossa evoca ben altri sentimenti, di commozione, elogio, comunque rispetto e comprensione?
Si dirà che nazisti e fascisti ne hanno commesse di tutti colori. Di qui il riflesso politico di repulsione e di repressione penale verso tutti i simboli che ne ricordano le nefandezze.
Il che non può essere negato. Tuttavia il comunismo, stando agli storici, ha oppresso e opprime milioni di individui, usando più o meno gli stessi vergognosi mezzi del nazifascismo. Eppure l’atteggiamento della politica, dei media, della magistratura è completamente differente.
La risposta ufficiale, addirittura filosofica, è sempre la stessa: che il nazifascismo propugna la disuguaglianza tra gli esseri umani, mentre il comunismo si batte per l’uguaglianza. Insomma, si riconosce ai comunisti una presunzione di innocenza sulla base delle intenzioni.
In sintesi: i nazifascisti perseguono il male, mentre i comunisti, il bene. Ai primi perciò non si può perdonare nulla, ai secondi invece si deve perdonare tutto, perché agiscono a fin di bene.
Ora, storicamente parlando, l’idea di uguaglianza, come disegno di costruzione di una società degli uguali, quindi dell’uguaglianza come punto di arrivo, ha un paio di secoli di vita. Per l’intera storia umana, i sommovimenti sociali hanno sempre rinviato alla liberazione dai debiti, dalle servitù, eccetera, ma non a un disegno complessivo di costruzione, ripetiamo, di una società degli uguali, da cima a fondo.
L’idea di rivoluzione sociale, come instaurazione di un nuovo ordine sociale, rinvia alla Rivoluzione francese e bolscevica. Si tratta insomma di un fenomeno moderno, ben individuato da Tocqueville, nella prima metà dell’Ottocento, che profeticamente parlò dell’ inesorabile marcia dell’uguaglianza sociale, nel senso dell’uguaglianza dei punti di arrivo. Quindi non solo dell’ uguaglianza dei punti di partenza, teorizzata dal liberalismo moderno.
Giacobinismo, nella sua versione “arrabbiata”, e comunismo marxista-leninista, si proposero di edificare un mondo nuovo in cui tutti sarebbero un giorno vissuti, liberi e uguali.
Che cosa c’era e c’è di più nobile? Se il liberalismo prometteva la libertà individuale e l’uguaglianza “formale” dinanzi alla legge, quindi ai blocchi partenza, il comunismo, andava oltre coniugando libertà ed uguaglianza “di sostanza”, promettendo a tutti di tagliare il traguardo nello stesso momento. Insomma, solo vincitori, nessun perdente. Una specie di Paradiso in Terra.
In realtà, questo progetto si è trasformato in un bagno di sangue, provocando nel Novecento la feroce reazione-imitazione dei movimenti nazi-fascisti.
Al centro della rivoluzione come della reazione si è collocato lo stato. Si è trattato di un fenomeno sociologicamente inevitabile, perché rivoluzionari e reazionari non potevano non ricorrere, per perseguire i propri fini, all’unica forza disponibile, reale, quella delle istituzioni politiche.
Di qui, la “motorizzazione” dello stato, con i suoi apparati repressivi, come potentissimo strumento di trasformazione sociale. Un processo inevitabile perché gli estremi ideologici finiscono sempre per toccarsi, dal momento che in ogni rivoluzionario si nasconde sempre un reazionario, nel senso dell’odio profondo e comune per il presente, in nome del passato o del futuro.
Sono cose fin troppo ovvie, eppure ci si guarda bene dal mettere sullo stesso piano nazi-fascismo e comunismo.
Purtroppo, viviamo in una società in cui predomina l’ideologia ugualitaria. In fondo, il welfare state ne è la prosecuzione con altri mezzi, per ora meno brutali, ma non meno oppressivi.
Di qui però la condiscendenza mediatica, politica, giudiziaria, spesso anche tra la gente comune, verso l’ideologia comunista, giudicata come un modo sbagliato di perseguire la causa giusta, quella dell’uguaglianza.
Ciò non significa che l’altra causa, quella della disuguaglianza sia la causa giusta.
Tuttavia, piaccia o meno, la società reale funziona in base a criteri selettivi e si fonda sulla divisione del lavoro e sulla differenza di doti e capacità individuali che non sono alla portata di tutti gli esseri umani.
La società, per dirla in modo grossolano, è un setaccio. E lo è a prescindere dal tipo di regime politico. Una società se vuole essere tale, deve funzionare. Di qui l’inevitabile riproduzione delle differenze su base sociale e professionale. Detto altrimenti, oltre l’uguaglianza formale dinanzi alla legge, non si può andare, né si può fare a meno di quest’ultima.
Magari fosse solo una questione di bandiere e funerali…
Carlo Gambescia
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