La politica è fatta anche di parole, parole magiche, nel senso che aiutano a giustificare, abbellendola, una certa realtà, sul piano del convincimento collettivo. Si pensi, come esempio, al prestigiatore, che distraendo gli spettatori, fa scivolare dalla manica del frac la carta che gli occorre. A poker però si parla anche di bari.
Ieri Draghi ha dichiarato che dal multilateralismo, inteso come decisioni prese liberamente dagli stati, in apposite strutture verticali, come ad esempio il G20, non si può tornare indietro. Draghi oppone, quasi in chiave biblica, il multilateralismo al bilateralismo, liquidato , non a torto, come una pericolosa protuberanza del nazionalismo, dell' egoismo, eccetera,eccetera.
Perciò la parola magica è multilateralismo.
Purtroppo, non basta accomodarsi allo stesso tavolo per eliminare i reali rapporti di forza. Certo, parlare è sempre meglio che sparare. Nessuno nega la grande lezione del liberalismo politico. Però, il parlare non esclude il nemico (cioè chiunque alle parole preferisca la pistola), né le differenti dimensioni geopolitiche e geoeconomiche tra gli stati, e quindi diversi rapporti di forza che ne discendono come elementi di fatto.
Si pensi al G20 che , come si legge sul sito,
« è il foro internazionale che riunisce le principali economie del mondo. I Paesi che ne fanno parte rappresentano più del 80% del PIL mondiale, il 75% del commercio globale e il 60% della popolazione del pianeta. Si tiene ogni anno dal 1999 e dal 2008 prevede lo svolgimento di un Vertice finale, con la partecipazione dei Capi di Stato e di Governo. Oltre al Vertice, durante l’anno di Presidenza si svolgono ministeriali, incontri degli Sherpa (incaricati di svolgere i negoziati e facilitare il consenso fra i Leader), riunioni di gruppi di lavoro ed eventi speciali» (*).
Ufficialmente, la logica è quella democratica: i paesi che “fanno maggioranza”, in ambito economico e demografico. Poi però se si va a guardare meglio, si scopre che i membri sono Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sud Africa, Turchia e Unione Europea, Spagna.
Cioè stati e nazioni che contano di più nelle rispettive aree geopolitiche, forse ad eccezione del Messico, del Canada, dell’Italia, della Spagna e dell’Indonesia. Probabilmente, come per Messico e Canada, perché imposti dagli Stati Uniti. O come per l’Indonesia, favorita dalla Cina. Quanto a Italia e Spagna, si tratta di un omaggio storico e culturale, e forse anche economico.
In realtà, al di là delle belle parole, siamo davanti a un naturale processo di selezione delle élite nazionali, che poi va a restringersi ulteriormente nel cosiddetto G7, che vede il predominio dell’Occidente, in quanto include, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stato Uniti. Il Giappone, ne fa parte, perché resta tuttora il più forte alleato dell’Occidente contro la Cina. Per inciso, la Russia post-sovietica, che dal 1997 era stata cooptata nel ristretto del G8 (G7 + Russia = G8), ne è stata esclusa dopo l'annessione manu militari in stile armata rossa della Crimea nel 2014.
Anche le date hanno però importanza. Le origini del G7 risalgono al 1975, la sua formalizzazione al 1986, quando l'Unione Sovietica era ancora in piedi. Il G20, invece nasce nel 1999, dopo la dissoluzione sovietica. Diciamo che il G20 va letto come una specie di gentile concessione “democratica” dell’Occidente al resto del mondo.
Di conseguenza, il multilateralismo, celebrato da Draghi, è letto da non pochi membri del G20, non occidentali (per non parlare degli esclusi) come di uno strumento per imporre le idee dell’Occidente, ad esempio sul clima, al resto del mondo. Certo, trattando, senza sparare. Il che è un bene. Anche se le ritorsioni economiche spesso possono fare più male dei missili.
Dicevamo all’inizio del multilateralismo come parola magica, In realtà dietro di esso, come la famosa carta che scivola dalla manica del prestigiatore o del baro, si nasconde la volontà per un verso, di trattare, più o meno sincera, evitando conflitti armati, e sull’altro, la necessità di piegare gli interlocutori alla volontà di potenza, per quanto economica, dell’Occidente.
Sarebbe preferibile dire le cose come stanno, senza tanti pomposi preamboli? No, perché trattare è sempre meglio che sparare. Però ecco, dipingere il multilateralismo come una specie di manna geopolitica, come l’ultimo miracoloso ritrovato della politica internazionale, è veramente troppo. Fa pensare a quei panettoni con troppa uvetta e canditi.
Perché, il multilateralismo non è frutto della bontà umana, ma riflesso di un quadro geopolitico pluripolare (come ad esempio dopo il Congresso di Vienna), e non bipolare (come nelle secolari guerre tra Asburgo e Borboni) o unipolare (come il dominio dell’Impero Romano). Un quadro geopolitico che impone e facilita l’uso dello strumento della trattativa ragionata, a partire, ad esempio, dall’economia. Insomma, il multilateralismo va storicizzato.
Se dovesse cambiare il quadro storico e geopolitico, da multipolare a bipolare, il multilateralismo, lascerebbe il posto ad aggressivi sistemi di alleanza, come durante l’ultima Guerra Fredda, o, ancora prima, durante le guerre di Luigi XIV.
La politica ha le sue regolarità, e una di queste rimanda al principio sociologico di egemonia e al conflitto per l’egemonia, che, a sua volta, rinvia al numero dei contendenti che si riflette sugli strumenti per conquistare l’egemonia. E il multilateralismo è uno di questi, diciamo quello più pacifico, che però non esclude l’uso della minaccia economica.
Servirebbe quindi maggiore laicità, da parte di Draghi, ma anche dei profeti della "governance mondiale" (altra parola magica).
Magnificare il ruolo del multilateralismo significa accrescere le aspettative, senza però riuscire a soddisfarle. Come ben spiegano i risultati minimi o nulli conseguiti in questi vertici internazionali, in cui la mondanità e il pettegolezzo sembrano prevalere sulla sostanza politica delle cose.
Per quale ragione? Perché, piaccia o meno, in ultima istanza è sempre la forza a decidere, o comunque la minaccia della forza. Una risorsa alla quale l’Occidente ha rinunciato.
Quindi si parla, si parla, si parla...
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://www.g20.org/it/il-g20.html</a