sabato 9 febbraio 2019

Rai Tre ha trasmesso il film di Maximiliano Hernando Bruno
In fondo alle foibe



Diciamo subito che per  la nuova Rai  sovranista e populista la trasmissione del film Red Land (Rosso Istria), di ieri sera,   potrebbe  essere  un autogol.  Certo, molto dipenderà  dall’occhio dello spettatore, dal grado di infantilismo nazionalista con cui lo si sarà guardato. E, soprattutto,  se lo si sarà guardato.  
In effetti, il film  mostra, con crudezza, il lato oscuro e feroce  racchiuso nel  nazionalismo. Di qui, la possibilità di riflettere su dove può portare, ad esempio, la dinamica che innerva quel  “Prima gli Italiani” sbandierato da Salvini.  Dove?  Solo  a  un meccanismo di  reazioni a catena,  segnate  dall' odio e dalla  vendetta.  La stessa dinamica  chiaramente mostrata  nella  pellicola diretta, sceneggiata e prodotta da  Maximiliano Hernando Bruno.
Nel film  si accenna alle vessazioni politiche subite dagli slavi, durante il fascismo. Meno, a quelle fisiche  subite   durante la guerra:  i fascisti - non parliamo delle truppe regolari italiane  - si distinsero per ferocia,  insieme a  nazisti e  nazionalisti croati di Pavelič.
Manifestino di fascisti friulani
Ovviamente, nel film -  perché nell’estate del  1943  i fascisti erano pochi e sulla difensiva  -  primeggia la crudeltà di un pugno di partigiani titini, nazional-comunisti. E qui, affiora  l’aggravante ideologica di una dottrina  totalitaria, il comunismo:  inasprimento che però vale anche per nazisti e fascisti.  Benché - e va detto -   nella pellicola,  la pressione narrativa sia  così ben congegnata che alla fine, addirittura l’arrivo dei tedeschi (non si capisce se SS o truppe regolari)  rischia di venire  accolto dallo spettatore  con un sospiro di sollievo.  Il che la dice lunga sulla pericolosa capacità evocativa del cinema,  in grado di andare al di là del bene e  del male, seguendo la logica, tutta cinematografica dell’ “arrivano i nostri”.
Il film, tratto da una storia vera,  è andato in onda, come noto,  in occasione del Giorno del Ricordo delle Vittime delle Foibe, istituito nel 2004, dal Governo Berlusconi, e che da allora  si celebra ogni anno,  il  10 febbraio. 
Troviamo questa celebrazione un giusto riconoscimento alla memoria delle vittime. E in questo senso il film  va visto.  Ma   anche per una  macabra e triste  ragione...   Perché,  nella sua parte finale  si ha, per così dire, un piccolo esempio  di quello che avverrà dopo, man mano  che i nazional-comunisti si impadroniranno dell’Istria:  il cosiddetto "infoibamento". Uomini torturati, donne stuprate, tutti  messi in fila sull’orlo delle cavità carsiche (le foibe), legati tra loro con  il  fil di ferro, per procedere a una rapida ed economica eliminazione. Come? Una semplicità, in qualche misura da uomini preistorici.  Bastava un colpo di pistola alla testa  del  primo della fila e tutti gli altri, spesso ancora vivi, precipitavano, trascinati dal loro stesso peso,  nel fondo delle grotte. Si tratta dello stesso metodo, usato dai fascisti ungheresi, le temibili Croci Frecciate, per eliminare ebrei  e resistenti, con la differenza che  invece che  nelle  cavità carsiche, si cadeva nelle gelide  acque del Danubio.
Partigiani comunisti a Pola 
Nel foibe perirono tra i cinquemila e i diecimila italiani. Però quel che vorremo evidenziare, al di là delle cifre, pur importanti,  è  la  necessità  di risalire (e  condannare) a  quel  contrasto tra brutali forme di  nazionalismo, dalle pronunciate venature totalitarie, che condusse  ai ciclici massacri di slavi e italiani. Alla cui origine c'era e c'è la terribile spirale sociologica  dell'odio etnocentrico. Una dinamica che sul piano della causalità sociologica (quindi non retorico-politica che è altra cosa...), non implica mai nettamente un prima e un dopo,  perché  tutti gli attori politici ne sono scalarmente  responsabili in pari misura. Si potrebbe dire che i vari attori sono al tempo stesso vittime e carnefici: prigionieri di un meccanismo di progressivo rinforzo sociale.  Insomma, siamo davanti a  una specie di   macchina sociale per "fabbricare cadaveri", che una volta avviata, assume sempre più velocità, travolgendo qualsiasi ostacolo che incontri sulla sua strada. Quindi chi conosce il funzionamento dei meccanismi sociali deve restare  sempre vigile. Che poi venga ascoltato, è un' altra storia. Purtroppo.
Concludendo, che cosa resta se   l’eccidio viene liberato, sfoltito se si vuole,  da tutte le polemiche sul silenzio politico durato quasi cinquant’anni?  Dalla diatriba sulla complicità dei comunisti italiani e istriani? Tra i quali,  è bene ricordarlo vi erano ex  giovani fascisti delusi che vedevano nel nazional-comunismo titino, una specie di superfascismo, che avrebbe fatto la vera rivoluzione?  Dagli impropri raffronti con la Shoah? Dalla voglia di rivalsa della destra neo-fascista e da  quella, altrettanto sgradevole, della sinistra neo-comunista? Che cosa resta, ripetiamo?  Rimangono  le fosche ombre di una tragedia provocata, come dicevamo all’inizio, dal conflitto tra opposti e spietati nazionalismi.  
In fondo alle foibe ritroviamo  lo stesso nazionalismo, che oggi, mascherato da pagliaccio  sovranista, imperversa e  illude gli italiani. Le foibe dovrebbero invece ricordarci,  che  tra  il “ Prima gli italiani”  e quel che  allora accadde, esiste  un  preciso legame. A noi, il dovere di impedire che si ripeta.

Carlo Gambescia                  
                       

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