martedì 12 febbraio 2019

Il voto in Abruzzo


A nostro modesto avviso il voto in Abruzzo non cambia di una virgola il quadro politico-culturale della situazione italiana, che non è proprio dei migliori (per usare un eufemismo).  Salvini è un populista (concetto che ingloba il sovranismo), è ha “populistizzato” il  centrodestra italiano. Berlusconi e la Meloni non dicono cose liberali e moderate, ma cose populiste. Tajani, pur   con il pedigree da Commissario europeo,  sulle   Foibe, ha detto cose degne dell’estrema destra  nazionalista; altro che liberale e moderato.   Se si sfogliano giornali, riviste e rivistine della  destra post-aennina, quella che in qualche modo ha governato (con e contro Berlusconi),  si leggono, su Francia, immigrati, interventismo statale,   cose tremende: più a destra di  Luigi Di Maio, roba da cultura della  tentazione fascista. Del resto, Marco  Marsilio, il trionfatore degli Abruzzi, proviene dalla destra missina e post-missina, con conseguente cursus honorum. Un Alemanno, più alto. Per inciso, anche Marsilio è un  docente della Link Campus University.
Cosa vogliamo dire?  Che culturalmente l’Italia è divisa tra populisti di sinistra e populisti di destra. L'arretramento del  M5S è una spinta verso la radicalizzazione e la tenuta del PD un calcione al riformismo.  Perciò  l’attesa taumaturgica delle elezioni europee è un viaggio verso il nulla.  Perché, una replica del risultato abruzzese, rafforzerebbe il populismo di Salvini, e di rimbalzo il populismo del Pd e del M5S.  Quindi anche se si dovesse arrivare a un governo di centrodestra, sarebbe Salvini a monopolizzarlo: uno, perché la sua leadership è in sintonia con  il mainstream culturale populista; due, perché Salvini  avrebbe i numeri per condizionare politicamente gli alleati, tra l’altro, come nel caso di Fratelli d’Italia,  ancora  più a destra di Salvini.
Il che significa una cosa:  che i moderati italiani continueranno ad essere  privi di  rappresentanza.   
Ma quando si parla di moderati a quali ceti  ci si riferisce?  Indagini ci dicono, che il moderato, cioè colui, che si pone al centro dello schieramento politico,  teme Salvini, teme Di Maio, teme la Meloni, persino Zingaretti e, dopo  il ruzzolone, addirittura Renzi.  Non disdegna, per educazione, l'Ue.   Attualmente è senza partito. Quanto al reddito si colloca nella fascia intermedia,  sui trentamila euro. Parliamo forse  di  quattro-cinque milioni di voti nel cassetto.  Un ceto che si compone di artigiani, insegnanti, impiegati, liberi professionisti, piccoli imprenditori, di età elevata, dai quarantacinque in su. Era, ed è per eredità psicologica,  il vecchio elettorato centrista della Dc, del partito socialdemocratico e liberale, che  stancatosi del fiscalismo democristiano e della rapacità politica socialista,  si è spostato, tra il 1994 e 2006, verso   Forza Italia, per approdare infine, deluso, al non voto.
Il moderato, non si occupa di politica, ma di famiglia, lavoro, consumi.  E teme gli eccessi.  In Abruzzo si è sicuramente astenuto. Ripetiamo,  come riportare al voto (non alla politica, alla quale il moderato è refrattario)  i moderati italiani? Il vero punto è come invertire il trend culturale populista, frutto di un percezione Social e sociale,  catastrofista.  Il che non è facile.  Perché, quanto  a guide intellettuali,   l’Italia è piena di liberali e borghesi vergognosi. Che temono di compromettersi con la politica. Altri invece  sono  liberali senza saperlo.
Insomma,  la potenziale base elettorale dei moderati italiani, resta tale, priva di guide intellettuali e politiche vaga solitaria da un centro commerciale all'altro, magari nutrendo sensi di colpa. Perché non sa che il consumo è un atto politico che  rinvia a una scelta di libertà.  Libertà che va difesa con il voto. Però nessuno dà loro spiegazioni al riguardo.  Sicché i moderati, in ultima istanza,  si vergognano dei loro consumi e non votano per difenderli. Un circolo vizioso.
E intanto in Abruzzo Salvini…

Carlo Gambescia