lunedì 18 febbraio 2019

Caso Diciotti

Salvini a processo?  Yeeesss!




Caso Diciotti e processo a Salvini.  La mia  risposta politica è che se il governo dovesse cadere,  in seguito al  voto favorevole  della Piattaforma Robespierre (Rousseau per gli amici, Casaleggio per i parenti), e conseguente svolta parlamentare,  non  mi strapperei i capelli.

Ma il punto purtroppo  non è questo.   In gioco c’ è ben altro, e di più importante.   Per  capire occorre prenderla da lontano, partendo dal rapporto tra diritto e politica,  tra sovranità delle leggi e sovranità del potere.  

Semplificando al massimo.

La sovranità del potere imporrebbe un voto favorevole a Salvini, sia sulla Piattaforma, sia in Parlamento. La sovranità delle leggi, un voto sfavorevole. 

La sovranità del potere rinvia all’etica della responsabilità, che risponde alle seguenti domande: ci conviene far cadere il governo?  perdere il potere?  tornare a votare?  La risposta ovviamene è no, perché quel che conta, dal punto di vista dell’etica della responsabilità, è la continuità del potere, non della legge.

La sovranità delle leggi rimanda  invece all’etica dei principi che tratta la questione dal punto di vista morale, dei valori assoluti. Quindi la caduta del governo, la perdita del voto, sono obiettivi secondari rispetto a quello di garantire la continuità del principio dell’uguaglianza davanti alla legge.

Come si può osservare, in linea teorica,   la distanza tra etica della responsabilità ed etica dei principi è notevole. In linea pratica, invece si tenta sempre di trovare l' aggiustamento politico, capace di accontentare gli uni senza scontentare gli altri. È un segno di prudenza politica, madre di ogni buon realismo politico.  Pertanto, di regola,  la continuità del potere viene presentata come nell’interesse dei cittadini.

Infatti,  nel quesito posto agli iscritti di Cinque Stelle si attribuisce a Salvini  il “perseguimento di un  preminente interesse pubblico  nell’esercizio di una funzione di governo”. Si parla addirittura di “un interesse dello stato costituzionalmente rilevante”. Quindi, come si lascia intendere,  nessun reato compiuto per tornaconto personale.  E a dire il vero,  la sfera di competenza, come del resto si evince dalla natura del procedimento giudiziario, rinvia non all’articolo 68 della Costituzione, ma al 96. Per farla breve, nel quesito posto agli iscritti pentastellati, si evoca, se non la ragion di stato, un suo derivato:  la ragion pubblica. Che però coincide con le idee professate da un razzista come Salvini.

Il razzismo  introduce un’ ulteriore distinzione. E per due ragioni. Sul piano generale, perché il razzismo, è contrario alla Costituzione (art. 3), sul piano particolare, delle scelte politiche di Salvini Ministro dell’Interno,  perché il caso Diciotti, ideologicamente è il frutto avvelenato di una visione razzista dei fenomeni migratori, purtroppo pervenuta al  governo del Paese.

Sul punto non è perciò possibile nessuna mediazione. Etica dei principi, dunque? Sì.  Però, c’è etica ed etica…  Salvini deve andare a processo, non per un principio astratto di uguaglianza davanti alla legge, impregnato di giustizialismo  del tipo Tangentopoli forever, come predicano i grillini estremisti, né perché avrebbe tutelato presunti interessi pubblici, come sostengono i grillini, per così dire, realisti, ma  perché   è un razzista,  come comprova il suo comportamento politico. E il razzismo non è un “preminente interesse pubblico, né “un interesse dello stato costituzionalmente rilevante”.   

Qui però  - attenzione -  entra in gioco anche l’  etica della responsabilità.  Perché Salvini  è pericoloso,  costituzionalmente pericoloso, e deve essere esemplarmente  punito.  Affinché -   ecco il punto pratico -   l’esempio, sia di monito e favorisca  nei cittadini  comportamenti  responsabili. 

In caso di  processo e  condanna, Salvini si atteggerà a vittima? Probabilmente sì. Ma, esempi per esempi,  il suo  ammaestramento  razzista  quotidiano  giustifica   i peggiori istinti  dei suoi elettori. Sicché,  risulta  assai  più rischioso e pericoloso  "vezzeggiarlo" che  "spegnerlo", per dirla con Machiavelli.    

Carlo Gambescia