Donald, Kim e la smania da bottone rosso
Prima
cosa. Vietato tirare fuori la solita storiella, che piace tanto alle subcultura rosso-bruna, gli sconfitti del ’45 e del ’91, del “perché
Kim non può avere il nucleare anche lui”. Dal punto
di vista, di una logica della potenza,
ma anche di quella della "pace non pacifista", il possesso delle armi atomiche va sempre limitato alle potenze maggiori ed eventualmente ai fedeli alleati di queste,
sotto controllo diretto, formale o informale, degli azionisti di maggioranza. La
democrazia atomica è una barzelletta, al pari dell’altra, pacifista, sullo svuotamento collettivo degli arsenali.
Seconda
cosa. Non sappiamo ancora se Donald
Trump, premerà, esista o meno, il bottone rosso. Insomma, sarà guerra? A prescindere dall'uso o meno di armi non convenzionali? Diciamo pure che Kim Jong-un, ce la sta
mettendo tutta, e al netto di qualsiasi propaganda mediatica occidentalista”. Probabilmente, la Cina , che finora ha protetto il dittatore, si sta stancando. La diplomazia celeste, che
ricorda tanto quella britannica dell’Ottocento - pace e
commercio - non vuole nemici ai margini dell’impero, ma
neppure sudditi troppo vivaci. Purtroppo Kim, che ha davanti a sé un altro discolaccio,
Donald, sta esagerando. Il nuovo Foreign Office di Pechino sa benissimo di dover tenere a bada due disadattati
della politica internazionale. Pertanto, la
soluzione pacifica della crisi è nelle mani della Cina. La questione è sempre la stessa, soprattutto per i regimi autoritari in via di modernizzazione: burro o cannoni?
Terza
cosa, l’Onu potrebbe essere il cappello legale, sulle basi però di un accordo politico a tre (USA, Cina,
Russia), per togliere di mezzo Kim. Potrebbe o poteva? Visto che Donald, con improntitudine degna del dirimpettaio coreano, ha
espulso dagli Usa un folto gruppo di diplomatici e cittadini russi. Per la serie, non farsi mancare nulla.
Quarta cosa, senza (almeno) il tacito consenso di Cina e Russia, si rischia grosso. Dal momento che le guerre - certo, quando e se possibile - andrebbero sempre preparate diplomaticamente, perché una volta premuto il bottone, il meccanismo del “salvare la faccia”, legato alla “sindrome del vicolo cieco” in cui rischiano di essere confinati gli attori, può incidere in chiave scalare sull’estensione del conflitto.
Quinta cosa. Nel caso dell' opzione militare concordata (tacitamente o meno), con chi sostituire Kim, “dopo”? E soprattutto,
quanta Corea del Nord far rimanere in piedi. Quanti soldati inviare? Come gestire la ricostruzione? Quale programma istituzionale? Due stati o
riunificazione? Dittatura militare o democrazia? Sono cose che non
si risolvono a colpi di tweet. O peggio ancora, premendo il famigerato bottone rosso, in preda alla smania, solo "per vedere di nascosto l'effetto che fa"...
Concludendo,
se Donald dovesse pigiarlo, prima o dopo
che Kim, abbia premuto il suo, il rischio
è quello di imbarcarsi in un conflitto dall’esito imprevedibile. Perché è
verissimo che tra Stati Uniti e Corea
del Nord, non c’è storia sul piano militare, ma come osservò Georges Clemenceau, la
guerra è cosa troppo seria per lasciarla ai generali. E Donald e Kim, ne hanno
fin troppi intorno.
Carlo Gambescia